Sono davvero tempi cupi per Parigi, se un Presidente non riesce a riscattare i disastri in politica interna con una tradizionale dimostrazione di machismo in Medio Oriente. Oggi Macron ha avuto un alterco con la guarda di frontiera israeliana nella città vecchia di Gerusalemme, considerando i metodi troppo invadenti e invitandoli ad abbandonare all’istante la basilica di Sant’Anna dove era in visita, ma la notizia non ha entusiasmato proprio nessuno.
“Please respect the rules that have been practiced for centuries”, ha intimato il premier francese alla polizia israeliana in un inglese dalla “r” particolarmente marcata, riferendosi alla consuetudine di considerare l’antica chiesa romanica territorio francese dal 1856, in seguito alla donazione a Napoleone III da parte del sultano Abdülmecid per il soccorso all’Impero Ottomano nella guerra di Crimea.
Eppure lo spettacolo, come dicevamo, non è riuscito a incantare alcuno strato dell’opinione pubblica, con la complicità della stampa che si è precipitata a ricordare l’episodio pressoché identico che nell’ottobre del 1996 ebbe come protagonista Jacques Chirac per accusare l’attuale Presidente non solo di opportunismo, ma addirittura di plagio, sudditanza culturale e paraculismo (non so come si dice in francese).
Vicenda incredibilmente triste perché anche a un enarca di infima risma il giochetto sarebbe riuscito, in virtù dello sciovinismo, la geopolitica e il testosterone. A dimostrarlo proprio l’incidente appena evocato che coinvolse Chirac oltre vent’anni fa, in circostanze politiche tutt’altro che differenti da quelle attuali, tra gollismo di ritorno ed europeismo spinto, istante nazionalistiche e mondialisation, guerra allo stato sociale mascherata da tecnocrazia, periferie devastate da recessione, disoccupazione, immigrazione eccetera.
Il tour gerosolimitano del docteur Chirac (come lo chiamava Arafat) lavò ogni peccato: acclamato dalle folle palestinesi, esaltato dalla stampa araba per il suo “coraggio da templare” (lol) e temuto dalle autorità israeliane, nelle vesti dell’inossidabile Netanyahu (l’eterno, in senso buono) che si precipitò a porre le più sentite scuse, invocando “lo zelo eccessivo nel proteggere un caro amico” sulla scorta dell’emotività suscitata dal recente assassinio di Yitzhak Rabin.
In quell’occasione Chirac, sfoderando un inglese tutt’altro che froggy, riuscì a offrire all’opinione pubblica internazionale un decoroso triumphus gollista. A onor del vero, è giusto ricordare che la sua protesta non ebbe i connotati “monarchici” di Macron ma riguardò solo l’irruenza del servizio d’ordine israeliano, intenzionato a impedirgli persino di avvicinarsi ai palestinesi convenuti nella città vecchia di Gerusalemme per accoglierlo.
Macron invece, come è andato, così è tornato: ma se non può nemmeno salvarlo la Syndrome de Jérusalem, allora sembra proprio che il suo destino politico sia segnato.