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Ai cinesi non dispiace il terrorismo anti-islamico

Brenton Tarrant, il 28enne australiano che ha perpetrato la strage in moschea in Nuova Zelanda, ha lasciato scritto nel suo “manifesto” che “la nazione coi valori politici e sociali” più vicini ai suoi è la Cina e più in generale ha espresso ammirazioni per le nazioni “non-multietniche” [non-diverse].

Se però il terrorista non ha approfondito le sue analisi sulla Cina –che in verità sembra uno dei tanti riferimenti internazionali buttati lì, sul quale gli inquirenti vogliono comunque far chiarezza– il suo odio per l’Islam è riuscito a riscuotere una certa simpatia nell’internet cinese.

Un post anonimo comparso sul social network WeChat intitolato Le scritte sulle armi dell’attentatore neozelandese manifestano l’angoscia profonda dei maschi bianchi europei –riferimento agli slogan apparsi sui fucili di Tarrant– ha ottenuto al momento almeno centomila visualizzazioni, un record per la piattaforma. Il post attribuisce la colpa alle autorità di Christchurch per aver permesso la costruzione di moschee, le quali avrebbero contribuito a portare più musulmani in città. In esso inoltre si insinua che l’attentato sia stato organizzato dai politici di sinistra.

Alcuni commenti al post suggeriscono che i seguaci della “religione verde” –termine dispregiativo usato sull’internet cinese per riferirsi all’Islam– abbiano indirettamente invocato l’attacco: “La religione verde porta il terrore ovunque, e finalmente gliene viene restituito un po’… La religione verde è arretrata, stupida, barbara e violenta”.

Sul social network Weibo, molti commenti esprimono l’idea che l’attentato sia un sottoprodotto dell’eccessiva correttezza politica dell’Occidente, una prospettiva che negli ultimi anni si riflette negli attacchi alla cosiddetta “sinistra bianca” [báizuǒ], etichetta usata per descrivere i progressisti occidentali (analogo all’espressione americana social justice warrior).

Un utente di Weibo ha scritto: «Questo è un raro atto di resistenza da parte di un uomo bianco. Dobbiamo incoraggiare i bianchi a tributare tutti gli onori a quest’uomo, compreso il premio Nobel per la pace». Un altro sostiene che «la retorica del “giorno buio” non è che correttezza politica. Un promemoria per i “fedeli verdi”: non tutti sono disposti a tollerare le vostre spregevoli azioni». Il commento si riferisce alle dichiarazioni del primo ministro neozelandese Jacinda Ardern, la quale ha affermato che l’attacco verrà ricordato come uno dei giorni più bui del paese.

Secondo un sondaggio comparso sempre su WeChat, l’81% dei votanti approverebbe le azioni del terrorista australiano.

1. Come definiresti l’attacco alla moschea?

Vendetta – 61%
Terrorismo – 10%
Autodifesa – 14%
Crimine – 3%
Intrigo politico – 10%

2. Ti trovi d’accordo con le affermazioni del terrorista dopo aver letto il suo manifesto?

Molto – 56%
Poco – 25%
Pochissimo –13%
Assolutamente contrario – 4%

Il sentimento anti-Islam è piuttosto diffuso nel web cinese, diviso tra il risentimento per i presunti favoritismi verso le minoranze, così come per gli attacchi compiuti dagli uiguri. Una delle sue espressioni più significative utilizzate è halalificazione, che esprime la preoccupazione di chi credere che la disponibilità di prodotti halal possa minare l’unità della nazione. L’iniziativa dello scorso anno di Meituan (una delle più grandi app di consegna di cibo del paese) di vendere cibo halal è stata considerata discriminatoria nei confronti dei non-islamici, così come la scelta dell’Università di Pechino di offrire torte lunari halal per la Festa di metà autunno.

Un altro sintomi di questo comune sentire è la straordinaria popolarità dell’account dell’ambasciata israeliana su Weibo, che lo scorso anno, secondo uno studio dello Strategic Policy Institute, si è classificata come l’ambasciata straniera con il maggior numero di seguaci sul social network. Una ragione di tale popolarità è che i follower cinesi utilizzano il profilo per esprimere opinioni contro l’islam. Uno dei commenti più votati su un post Weibo dell’ambasciata israeliana negli Stati Uniti dedicato al suo trasferimento da Tel Aviv a Gerusalemme è stato “Date un bel calcio a questo cancro dell’umanità”, probabile riferimento ai musulmani.

L’ascesa dell’islamofobia nell’internet cinese si scontra con l’intensificarsi della repressione del governo contro i 23 milioni di musulmani del Paese. La maggior parte dei musulmani cinesi è rappresentata dagli uiguri dello Xinjiang, ma esiste un’altra minoranza conosciuta come Hui, che appartiene all’etnia Han dominante in Cina e vive nella regione autonoma di Ningxia, a lungo considerata ben assimilata. A gennaio, il governo ha approvato una nuova legge che potrebbe rivoluzionare il modo in cui l’islam viene praticato nel paese.

Negli ultimi anni la Cina ha istituito “campi di rieducazione” su larga scala nello Xinjiang dove, secondo una stima, sono stati incarcerati un milione e mezzo di musulmani, mentre quelli che vivono fuori dai campi sono soggetti a una onnipervasiva sorveglianza. La Cina paragona i suoi campi a “collegi” o istituti di formazione e afferma che le sue misure sono necessarie per prevenire la radicalizzazione dei musulmani e per contrastare gli attacchi terroristici, argomento ampiamente supportato in Cina a seguito di attacchi coi coltelli da parte di uiguri che nel 2014 a Kunming hanno fatto 31 vittime.

La repressione dell’islam da parte di Pechino si è estesa infine anche alla minoranza Hui: i rapporti dicono che le autorità stanno perseguitando simboli e pratiche arabe e islamiche.

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