«Inizialmente il potere seduttivo si basa su elementi fisici. Per questo motivi anche da adulti l’appeal aiuta, poiché in genere alla bellezza vengono associate alcune caratteristiche positive che nella realtà sono indipendenti, come la bontà, la competenza, la credibilità. È l’effetto What is beautiful is good (Ciò che è bello è buono). “Solo le persone superficiali”, diceva Oscar Wilde “giudicano in base all’apparenza”. Infatti il saper guardare oltre l’immagine corporea è frutto di maturità».
Questo è l’incipit del quarto capitolo (“La seduzione della bellezza”) di un saggio dello psicoterapeuta Giacomo Dacquino, Seduzione. L’arte di farsi amare (Mondadori, Milano, 2004, p. 61). Nessuna svista tipografica: Dacquino, credendo che la citazione fosse davvero quella (la conferma pure con un’improbabile nota: «Opere, trad. it. Mondadori, Milano, 1984»), imbastisce un discorso antitetico a quel che realmente Wilde sosteneva ne Il ritratto di Dorian Gray: «Solo le persone superficiali non giudicano dalle apparenze» [It is only shallow people who do not judge by appearances].
Si tratta peraltro di un classico espediente retorico del Poeta per farsi invitare alle feste: To ensure he kept getting invited to parties, he perfected a verbal trick: replacing a word in a sentence with its unexpected opposite (cit. da un volume che attribuisce a Wilde la catastrofe del divismo americano).
È curioso che un autore citato appunto solo per sembrare originali venga qui richiamato per avallare un’idea banalissima (giudicare le persone per come son fatte dentro eccetera).
Molte sentenze derivanti dallo stesso modello hanno del resto enorme successo perché il paradosso, a livello retorico, è sempre appagante (come sosteneva Aristotele, o forse Platone), mentre il buon senso fa sentire banali, ordinari, stupidi (in Italia l’industria culturale degli ultimi decenni è nata proprio in contrapposizione alla ragionevolezza).
Sarebbe tuttavia possibile “disinnescare” altre citazioni invertendone il senso. Per esempio:
– «Non sono d’accordo con quello che dici, e non difenderò fino alla morte il tuo diritto a dirlo»;
– «Il sonno della ragione non genera mostri»;
– «Beato quel popolo che ha bisogno di eroi»;
– «Su ciò di cui non si può parlare, non si deve tacere»;
– «Chi non conosce la storia, non è condannato a ripeterla»;
– «Quando non sento la parola cultura, metto mano alla pistola».
Il pericolo tuttavia è che, anche in tal guisa, certe formule verrebbero ancora riproposte all’infinito come apologie dell’eroismo, del dilettantismo, del volontarismo o del menefreghismo… Perciò, come (non) fare? Ai post l’ardua sentenza (Risate a denti stretti 2.0).