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Alberto Stasi nella cultura popolare italiana

Dal momento che la cronaca ci obbliga a discutere dell’eventuale riapertura del caso Garlasco, è interessante ricordare il modo in cui è stata rappresentata la figura di Alberto Stasi nell’ambito mediatico italiano. Si può partire dalle due inchieste, obiettivamente coraggiose, della trasmissione Mediaset “Le Iene”, che hanno intervistato l’assassino (si intende per la “verità giudiziaria” o “giudiziale”) nel 2022 e nel 2025. Abbiamo visto un “ragazzo” del 1983 con i suoi tic e i suoi innumerevoli difetti cercare di affrontare la tragedia che gli ha distrutto con una calma non tanto olimpica quanto dostoevskiana.

Una cosa che ho notato è l’inevitabile imbolsimento che ha riguardato il soggetto nel fatidico passaggio agli “-anta”: dai 39 anni, in cui tutto sommato Stasi conservava ancora quella “peculiare somatica” che lo avrebbe reso immediatamente sospetto, ai quasi 42, in cui invece il volto del “figlio di papà rigido e fighetto” ha accentutato tutte le caratteristiche aberranti, rendendolo inevitabilmente un’ombra di se stesso.

Alberto Stasi, nell’ultima intervista dal carcere rilasciata all’ottimo Alessandro Di Giuseppe, ha parlato degli “strumenti interiori” con cui affronta quella che a suo dire è l’ingiustizia suprema rappresentata dalla macchina giudiziario-mediatica mossa contro di lui, annoverando tra essi la fede, che interpreta la sua sciagura come un “segno” dall’alto, in maniera profondamente cristiana.

Devo ammettere di non aver mai provato eccessiva simpatia per il personaggio, tuttavia odio che mi si venga imposto di giudicarlo da prospettive “lombrosiane” rifiutate per qualsiasi altro criminale. È noto che Alberto Stasi fosse un consumatore compulsivo di pornografia, con un’assiduità talmente eccessiva che l’accusa ebbe gioco facile a trasformare in un movente. Si dà il caso però che in Italia non è reato consumare certo “materiale” video, anche qualora avessero come attori donne incinte, anziane o disabili, dunque l’ipocrisia di chi lo condanna solo in base a questo è a dir poco spregevole.

Vorrei parlare del ruolo che uno come Stasi si è ritagliato nella cultura popolare. Non vorrei però soffermarmi sulle disgustose canzonette che gli sono state dedicate, per esempio quella di tale Immanuel Casto che lo definisce una Killer Star in un brano di 2011, paragonandolo a Pacciani, Michele Misseri, Olindo e Rosa e il serial killer Michele Profeta: queste sono denuncie finto-intellettuali di un mondo al quale si vorrebbe appartenere e che colpisce a caso riducendo l’attenzione mediatica verso taluni processi a “spettacolarizzazione” (sulla stessa linea il Fabri Fibra di Controcultura, che lo cita in modo -il che è tutto dire!- di certo più intelligente, sempre però paragonandolo a individui che non hanno nulla a che fare con lui come Pietro Maso, ma si sa che il buon Fabrizio Tarducci a suo tempo ebbe ottimi consiglieri).

Qui non c’entra la morbosità del pubblico, perché il caso di Garlasco è a tutti gli effetti un mistero italiano che nella sua complessità sfiora quasi le vette se non dell’affaire Moro, almeno di decenni di speculazioni su quel che rimane il più grande caso -irrisolto- di cronaca nera nella storia recente, nel quale i vari Pacciani e Vanni rimangono ancora colpevoli di comodo. Chi si crede tanto furbo nello snobbarlo dovrebbe invece rendersi conto che il suo livello di intelligenza è ben inferiore a quello di sartine e commesse che traggono le proprio informazioni dalla televisione mainstream pomeridiana.

Alberto Stasi non è del resto nemmeno un Filippo Turetta ante litteram perché sul caso di Garlasco la verità non è stata ancora scritta: gli episodi macabramente “goliardici” con cui l’attenzione dei media verso l’assassino di Giulia Cecchettin (meme eccetera) è stata in un certo senso denunciata sono gli stessi che all’epoca contraddistinsero, visto che l’abbiamo citato, il parricidio di Pietro Maso, che gli ultras dell’Hellas Verona incastonarono in alcuni cori evidentemente volti a denunciare una generalizzazione del “bravo ragazzo” veneto pronto a saziare la sua brama di soldi scannando i suoi stessi genitori (con le stesse modalità, mutatis mutandis, con cui un Turetta è stato fatto diventare simbolo di un’improponibile “patriarcato”).

Al povero Stasi, giusto per ricordare, alla fin fine vennero solo dedicati alcuni “inni” dai parte dei tifosi del Motta Visconti durante una partita col Garlasco (“Alberto salta il cancellino, uccidi Chiara con il coltellino. Stasi alè alè”), sempre nello stile idiota e provocatorio che caratterizza le curve calcistiche.

Lasciando da parte la feccia del sottobosco circense, l’unica prospettiva dalla quale Alberto Stasi potrebbe assurgere a “simbolo” di alcunché si attuerebbe nel momento in cui venisse in un modo o nell’altro sancita la sua innocenza (se non processuale, almeno “morale”), e di conseguenza emergessero in tutta la loro assurdità kafkiana le dinamiche della macchina giudiziaria italiana, che come ha dichiarato un ingegnere forense proprio a “Le Iene” prima “lancia una freccetta” e poi “disegna un bersaglio” sulla schiena del “presunto colpevole”.

Sorvolando altresì sulle considerazioni riguardanti il sistema penale italiane (approfondite in altri luoghi), visto che si parlava della figura di Alberto Stasi in ambito mediatico, mi viene la tentazione di citare una puntata della nota (?) trasmissione Mediaset “Mistero” che la giornalista Gabriella Ambrosio ha evocato nel suo indispensabile Il Garbuglio di Garlasco, oltre a uno altro “speciale” a cui non sono potuto risalire:

«[In questo programma televisivo] la sua vicenda veniva introdotta da un uomo mascherato che si faceva chiamare Adam Kadmon. O di uno che titolava Stasi e l’inferno del sesso, alternando immagini di lui a mani che aprivano file pornografici, al suo doberman Yura che dal giardino di casa abbaiava per tenere lontani gli estranei, a due attori impersonanti lui e Chiara che si litigavano un computer, e poi lui che la massacrava, e la trascinava fino a gettarla giù per le scale della cantina».

Nel caso di “Mistero”, la puntata dedicata al caso di Garlasco risalente al 2013 (peraltro all’epoca in cui Stasi era stato assolto in base agli stessi elementi che poi porteranno, al “quinto grado”, alla sua condanna) non è disponibile in alcun archivio virtuale ma alcuni portali ne riportano delle tracce, per esempio Il Sussidiario:

«Tanti gli argomenti che verranno affrontati nell’appuntamento di Mistero di oggi, il team investigativo torna a Garlasco per parlare dell’omicidio della giovane Chiara Poggi, delitto irrisolto per cui l’ex fidanzato, Alberto Stasi, è stato assolto. La famiglia della 26enne vuole conoscere la verità e Mistero analizzerà la contorta vicenda ovviamente avanzando ipotesi al limite del paranormale».

Più esaustivo, il sito Blogtivvu:

«Nel corso dell’attuale stagione di Mistero, la trasmissione di Italia 1, abbiamo spesso assistito ad alcuni interessanti servizi relativi ai casi di cronaca nostrana, dal delitto di Yara Gambirasio a quello di Serena Mollicone. Ieri sera, nel corso del nuovo appuntamento, la trasmissione si è dedicata al delitto di Garlasco, interrogandosi sull’uccisione di Chiara Poggi. Ad occuparsene, è stato l’inviato Marco Berry, partendo proprio dall’assoluzione di Alberto Stasi dall’accusa di aver ucciso la fidanzata. A breve, la Cassazione pronuncerà l’ultimo atto di giudizio su una delle vicende di cronaca che ha sconvolto l’Italia intera e, nel frattempo, Mistero ha deciso di recarsi a Garlasco per fare il punto sugli aspetti misteriosi legati al caso di Chiara Poggi.
[…] Berry ha intervistato il primo giornalista giunto sul posto nel giorno del delitto, il quale ha dato la sua spiegazione in merito alla presenza di un solo indagato, Alberto Stasi, per lui e per la Legge innocente.
“Sappiamo che è l’unica persona che abbia incontrato Chiara nelle ultime 24 ore”, ha dichiarato il giornalista, sottolineando però i tanti buchi neri nel caso, tra cui l’ora precisa della morte di Chiara. Tanti i misteri ed i dubbi che hanno portato l’Italia a dividersi tra innocentisti e colpevolisti: chi ritiene Stasi colpevole e chi innocente dell’omicidio di Chiara. Ma chi ha ucciso realmente la giovane 26enne? E soprattutto, perchè?
Berry ha poi intervistato una testimone, la quale avrebbe visto una bicicletta nera nelle vicinanze dell’abitazione di Chiara proprio nel giorno del delitto. La signora intervistata, tuttavia, non sarebbe l’unica testimone; una seconda donna avrebbe visto la stessa scena per poi ritrattare tutto successivamente. La donna però, nel corso del processo non è stata presa come prova.
Anche nell’affrontare questo caso, Mistero ha fatto riferimento ad una medium, Maria Grazia, amica della famiglia Poggi, che ha asserito di rivivere i pensieri di “chi vive nella luce” e di Chiara spesso ne ha percepiti e consegnati alla famiglia. A detta della medium, infatti, la ragazza avrebbe cercato spesso di mettersi in contatto con la famiglia ed avrebbe sostenuto in particolare la madre per aiutarla a capire ed essere forte perché la verità sarebbe stata rivelata.
La medium ha rivelato inoltre di non aver mai ricevuto, da Chiara, il nome e cognome del killer, “però ha fatto intendere che le cose erano ben diverse da quelle che son venute fuori, soprattutto che c’era molta menzogna fino ad arrivare a parlare di un complotto che stava in qualche modo offuscando la verità”.
Mistero si è quindi spostata a Vigevano dove ha incontrato un noto criminologo che ha spiegato quelli che sono stati, a sua detta, gli errori compiuti nel corso delle indagini».

Sembra che queste testimonianze, nell’era in cui il mainstream si nutriva praticamente solo di “complottismo”, siano poi confluite nell’inconsistente “pista satanica/esoterica” di cui abbiamo già discusso.

Il cuore oscuro di Garlasco: (ri)emerge la “pista satanica”

Il mio modesto parere è che tutti i coloro i quali avrebbero potuto affermare qualcosa di significativo sul caso Garlasco hanno preferito fare i finti moralisti sguazzando in quel fango da cui si riterrebbero non contaminati. È davvero ridicolo voler stigmatizzare le opposte “tifoserie” di colpevolisti e innocentisti nel momento in cui le dinamiche con cui si è giunti alla carcerazione di Stasi non possono essere prese sul serio da chi abbia un minimo criterio su come dovrebbe funzionare la “giustizia”.

Invocare, con formule ormai frustrate, una fatidica “sentenza passata in giudicato” è come mettersi una benda sugli occhi. La brava Ambrosio ha sintetizzato il problema in una battuta tranchant: «Il ragazzo si chiamava Stasi come il famigerato corpo di agenti torturatori dell’Est, e nomen omen». Lo stesso “colpevole perfetto” si è presentato alle telecamere con una sentenza altrettanto lapidaria: «Gli innocenti non scappano».

Stasi non è fuggito nemmeno di fronte alla mal parata, e anche ora che gli è stata comminata una pena ridicola per un omicidio così brutale (perché, come afferma il noto brocardo, Poca prova, poca pena) ci tiene comunque a uscire di galera da innocente. Se per qualche miracolo il marchingegno diabolico che definiamo “giustizia italiana” ricominciasse a funzionare almeno nel 2025, forse Stasi riuscirebbe a dare un senso non solo ultraterreno a tutte le sue sofferenze.

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