Sullo “scandalo Weinstein” finora non ho scritto praticamente nulla perché ero troppo impegnato a ingozzarmi di popcorn: ebrei contro femministe, clintoniani contro ebrei, trans contro femministe, attricette contro trans ed ebrei, eppoi Louis CK sputtanato e distrutto ancor prima di diventare famoso in Italia, e Kevin Spacey cancellato dalla faccia della terra per aver giocato la victim card… ah ah ah.
Ora però è tutto finito, tanto che si possono già tracciare i confini cronologici della vicenda: dall’ottobre 2017, quando parte la valanga d’accuse contro Harvey Weinstein, al 2 febbraio 2018, quando viene arrestato Tariq Ramadan. Lo psicodramma del politicamente corretto si è arenato di fronte a una forza più potente: l’islamicamente corretto. Grazie al cielo Allah è intervenuto nella contesa, altrimenti queste oche avrebbero continuato a starnazzare all’infinito; ormai la divinità maomettana sembra rimasta l’unica in grado di difendere noi poveri maschi (questo dettaglio andrà pur ricordato nella prossima crociata).
Visto che quindi è tutto finito, finalmente possiamo parlarne a palle ferme (soprattutto quelle di Weinstein, ah ah ah). Provo a spiegare nel modo più (cir)conciso possibile come è partita questa caccia alle streghe: i media americani nell’autunno dell’anno scorso credevano di avere per le mani lo scandalo in grado di far cadere Trump, ovvero la testimonianza di una pornostar su una possibile “relazione” col Presidente appena eletto. Per creare il clima adatto nell’opinione pubblica, hanno lanciato il ballon d’essai degli “stupri” del povero Weinstein, ricevendo un contraccolpo inaspettato, che ha praticamente travolto una buona fetta di simpatizzanti democratici nell’industria cinematografica.
Sia chiaro, da me non sentirete mai una sola parola contro il camerata Weinstein (un vero leone di giuda, aveva assoldato pure degli ex-agenti del Mossad) per il semplice motivo che il comportamento da egli tenuto è perfettamente in linea con quel che fin dall’inizio Hollywood ha rappresentato, cioè la possibilità per degli ebrei brutti e tarchiati di ripassarsi centinaia di shiksa. Il celebre produttore era peraltro contributore netto del Partito Democratico, patrocinatore dei Clinton sin dai tempi del sexgate (“il simile conosce il simile”, sosteneva Empedocle) e sfegatato sostenitore dei diritti delle donne in pubblico (si definiva letteralmente “il più grande femminista di tutti i tempi”!). L’ultima cosa di cui doveva preoccuparsi è che un’attrice sarebbe andata a denunciarlo, poiché quello che oggi chiamiamo “stupri” nella mentalità della rivoluzione sessuale non erano che il coronamento dell’emancipazione femminile. Nel frattempo, però, il paradigma è cambiato, e fondamentalmente solo perché Trump è diventato Presidente: se avesse vinto la Clinton, oggi Weinstein sarebbe probabilmente alla Casa Bianca a organizzare festini col suo compare Bill.
Senza dubbio uno dei momenti più ridicoli di questa faccenda è stato quando la Manchester Art Gallery ha rimosso dalle sue pareti il capolavoro preraffaellita Hylas and the Nymphs (1896) di J.W. Waterhouse perché ritenuto “offensivo” nei confronti delle vittime di Hollywood (sì, è successo veramente)… Tornando però un attimo seri, alla fin fine è doveroso osservare che l’unica vera vittima femminile dello “scandalo” si è rivelata essere la produttrice Jill Messick, che il 7 febbraio scorso si è tolta la vita dopo esser stata pubblicamente accusata di aver coperto Weinstein. In verità se la storia fosse andata avanti, sarebbero finiti sulla graticola anche Woody Allen e Dustin Hoffman, perché solitamente gli “stupratori” sono solo i brutti (non sentirete mai un’accusa contro Tom Cruise o George Clooney), e forse avremmo dovuto assistere a qualche altro suicidio: per fortuna, come dicevo, il Misericordioso ha deciso di intervenire dando in pasto ai mass media uno dei suoi figli prediletti, Tariq Ramadan.
Il predicatore islamico più amato dai media internazionali finisce alla sbarra? Basta, il #metoo si ferma qua! È vero, le testimonianze sono numerose e impressionanti, c’è di mezzo una disabile («Ramadan affonda un calcio contro le stampelle della donna poi l’apostrofa minaccioso: “Mi hai fatto aspettare, ora la pagherai cara” […].“Mi ha trascinata per i capelli per tutta la stanza, poi mi ha portata nella vasca da bagno per urinarmi addosso”»), delle studentesse («Mi ha strangolata talmente forte che pensavo di morire») e qualche minorenne, ma tutto ciò ai musulmani francesi non interessa: oltre a minacciare di morte le testimoni, hanno anche raccolto centomila euro in un paio di giorni per la difesa del loro paladino. #FreeTariqRamadan è il nuovo hashtag che atterrisce i giornalisti occidentali (fatevi due risate con la “copertura” dell’Huffington Post – un articolo apologetico e due righe per annunciarne l’arresto), evidentemente terrorizzati più dai Fratelli Mussulmani che dal Mossad (abbiamo quindi scoperto che non sono la stessa cosa – è solo una battuta!).
Prima che le accuse si concretizzassero nel fermo, persino quel gran paraculo di Edgar Morin era intervenuto in difesa di Ramadan, per poi eclissarsi quando l’affaire si è intrecciato con gli schiamazzi d’oltreoceano: dopodiché, le cheerleader progressiste del predicatore islamico hanno dovuto lasciare spazio ai pezzi da novanta, come i rettori di decine di moschee francesi che invocano ora la “scarcerazione immediata”.
Perciò è difficile che del Weinstein Effect sentiremo ancora parlare: ce ne faremo una ragione! Tuttavia, ricordatevi perlomeno di avvisare attricette, femministe e invasate varie – Femen incluse, ché magari non hanno ancora imparato la lezione…