Assassination, Bribes and Smuggling Jews:
Inside the Israeli Mossad’s Long Secret Alliance
With Morocco
(Haaretz, 17 dicembre 2020)
Sei decenni di rapporti militari, politici, culturali -e anche di intelligence- tra Israele e Marocco hanno finalmente dato i loro frutti, con l’annuncio della normalizzazione delle relazioni tra i due paesi.
Ogni capo del Mossad dagli anni ’60 a oggi (Amit, Zamir, Hofi, Admoni, Shavit, Yatom, Halevy, Dagan, Pardo e l’attuale Yossi Cohen) ha visitato la nazione nordafricana per incontrarne i leader e capi dell’intelligence. Ma su cosa si fonda questa lunga amicizia, forse la più importante tra Israele e una nazione del mondo arabo? A fondamento della lunga relazione clandestina c’è sempre stata la consapevolezza che lavorando assieme i due Paesi avrebbero favorito al meglio i rispettivi interessi nazionali. I rapporti, nonostante alti e bassi, negli anni sono sempre rimasti solidi.
Già all’inizio degli anni ’50, Israele intratteneva qualche contatto con il Marocco occupato dai francesi, ma la relazione si intensificò dopo il conseguimento dell’indipendenza nel marzo 1956. Parigi aveva consentito agli ebrei marocchini di andare e venire (e 70mila se ne erano andati definitivamente), ma il nuovo re Mohammad V limitò il loro diritto allo spostamento e proibì l’emigrazione in Israele, fino a dichiarare illegale il sionismo nel 1959. Il re credeva, come gli altri governanti arabi, che chiunque si fosse trasferito in Israele non solo avrebbe rafforzato lo Stato ebraico, ma in quanto coscritto sarebbe finito a combattere contro i fratelli arabi, e persino contro l’esercito del Marocco e i suoi alleati.
Il Mossad entrò dunque in azione per aggirare il blocco del monarca, mobilitando uno stuolo di spie, molti dei quali ebrei marocchini di lingua francese e araba, per portar via i restanti 150.000 ebrei dal Marocco. Lo squadrone, chiamato Misgeret (מסגרת) – “la struttura” – era incaricato non solo di aiutare gli ebrei di immigrare illegalmente in Israele, ma anche di organizzare unità di autodifesa armate a protezione delle comunità ebraiche minacciate dalla maggioranza araba musulmana. Shmuel Toledano, agente di lunga data del Mossad, fu a capo dell’operazione, la quale durò cinque anni.
L’operazione Misgeret prevedeva che taxi e camion conducessero gli ebrei fuori dal Marocco. Qualora necessario, gli agenti israeliani erano pronti a distribuire mazzette a ogni uomo in divisa che si parasse lungo la loro strada. Una delle rotte preferite fu Tangeri, a quel tempo città internazionale, dove dal suo porto i battelli salpavano verso Israele. Successivamente, due città della costa marocchina rimaste sotto il controllo spagnolo, Ceuta e Melilla, furono utilizzate come basi per il progetto. In tal caso il Mossad ottenne la piena collaborazione del generale Francisco Franco. Secondo gli storici del servizio israeliano, il caudillo agì forse in preda ai sensi di colpa per i suoi legami con Hitler o addirittura per le espulsioni del 1492…
Il Mossad acquistò un ex campo militare inglese a Gibilterra, sulla costa meridionale della Spagna, e convertì terreni e baracche in un centro di transito per gli ebrei in fuga dal Marocco. A interrompere l’operazione fu però una tragedia occorsa il 10 gennaio 1961, quando un peschereccio carico di profughi ebrei si capovolse tra la costa marocchina e Gibilterra. Quarantadue tra uomini, donne e bambini annegarono, insieme a un operatore radio del Mossad. Il disastro suscitò simpatie nel mondo ma face saltare la copertura all’operazione segreta del Mossad, oltre che naturalmente irritare le autorità marocchine.
L’intera operazione era a rischio ma, fortunatamente per Israele, nel marzo 1961 Mohammad V morì e fu sostituito da suo figlio Hassan II. Il nuovo re, intenzionato a migliorare le relazioni con gli Stati Uniti, venne convinto da due importanti organizzazioni umanitarie ebraiche statunitensi, l’American Jewish Joint Distribution Committee e la Hebrew Immigrant Aid Society, che avrebbe suscitato una buona impressione oltreoceano se avesse permesso agli ebrei di andarsene liberamente.
Il modo migliore per persuadere il nuovo sovrano furono le mazzette, distribuite oltre che a lui anche ai suoi alti funzionari, una specie di tassa per ogni ebreo espatriato camuffata da “indennizzo” al governo marocchino per gli investimenti nell’istruzione ebraica locale. Sostenute dalle donazioni degli ebrei statunitensi, le due associazioni hanno sborsato quasi 50 milioni di dollari per oliare le ruote e consentire a circa 60.000 ebrei del Marocco di andarsene.
La nuova fase del progetto, sempre gestito dal Mossad, venne ribattezza Yakhin (uno dei pilastri che sostengono il Tempio di Salomone) e attraverso di esso altri 80.000 ebrei tra il 1961 e il 1967 fecero aliyah in Israele. La piccola comunità ebraica rimasta in Marocco ha funzionato da allora come ponte per i legami israelo-marocchini, soprattutto durante le crisi.
L’operazione Misgeret, che si occupava di immigrazione e auto-difesa a suon di tangenti, sarebbe servita da modello per future operazioni di collaborazione clandestine tra il Mossad e l’American Jewish Joint Distribution Committee per conto di altre comunità ebraiche in difficoltà in tutto il mondo, dall’Argentina all’Iraq, dall’Europa occidentale allo Yemen e all’Etiopia.
Il governo di Hassan II rappresenta l’epoca d’oro delle relazioni segrete tra i due paesi, relazioni coltivate sia dal Mossad che dalla sua controparte marocchina, guidate da due funzionari dell’intelligence e dell’esercito: il generale Mohamed Oufkir e il colonnello Ahmed Dlimi. Entrambi gli ufficiali sarebbero stati poi giustiziati per ordine del re, con l’accusa di aver ordito un golpe contro di lui. Il duo dei servizi marocchini ha permesso al Mossad di aprire una base in una villa di Rabat, gestita da agenti esperti, tra cui Yosef Porat e Dov Ashdot.
Quando il Marocco ospitò il secondo vertice della Lega Araba nel 1965, i servizi di sicurezza decisero di mettere spie nelle stanze d’albergo e nelle sale conferenze di Casablanca di tutti i leader arabi, re, presidenti, vertici militari. Sebbene questa fosse una pratica standard per i servizi di sicurezza di tutto il mondo, l’iniziativa marocchina fu alimentata anche dalla sfiducia verso alcuni membro della Lega Araba e incoraggiate dalla CIA, che aveva buoni rapporti con re Hassan. Il dato più insolito fu il coinvolgimento di uno stato ufficialmente ostile nell’operazione di intercettazione: Israele. Secondo i rapporti stranieri, ad assistere le loro controparti locali nell’operazione di spionaggio c’erano agenti del Mossad. In cambio, il Marocco avrebbe aiutato il Mossad a installare agenti in paesi come l’Egitto, allora acerrimo nemico di Israele.
Ma il Mossad si rese presto conto che nell’universo dello spionaggio niente è gratis: i marocchini si aspettavano una ricompensa, qualcosa di così “compromettente” quasi da far naufragare decenni di lavorio segreto. Nel 1965 Oufkir e Dlimi chiesero infatti al capo del Mossad Meir Amit di assassinare Mehdi Ben Barka, leader carismatico dell’opposizione ad Hassan II. Amit dovette parlarne col primo ministro Levi Eshkol: era complicato accettare di diventare mercenari del Marocco per un problema di politica interna.
Eshkol pose il veto alla richiesta, ma consentì al Mossad di aiutare i marocchini a scovare Ben Barka. “Sono rimasto stupito per quanto è stato facile”, ha ammesso anni fa Rafi Eitan, allora capo delle operazioni del Mossad in Europa (deceduto nel 2019). “I marocchini ci hanno detto che Ben Barka era a Ginevra. Ho chiesto a uno dei nostri aiutanti e lui… ha trovato l’indirizzo nell’elenco telefonico locale”. Agenti marocchini, assistiti da ex poliziotti francesi e agenti di sicurezza cammuffati da troupe cinematografica, hanno attirato Ben Barka al Café Lippi di Parigi e lo hanno rapito in pieno giorno.
I due contatti marocchini più stretti del Mossad, Oufkir e Dlimi, interrogarono e torturarono a morte Ben Barka. Non era chiaro se avessero intenzione di ucciderlo. Dlimi fu preso dal panico e si precipitò a chiedere a Eitan un altro favore: un aiuto per far sparire il cadavere. Secondo i rapporti stranieri, Eitan avrebbe identificato su una mappa un’area boscosa del Bois de Boulogne e consigliato loro di procurarsi un bel po’ di acido, avvolgere il corpo e seppellirlo lì. Il corpo di Ben Barka non è mai stato ritrovato, ma l’assassinio ha provocato una tempesta diplomatica e politica in Francia, Marocco e Israele.
Il presidente francese Charles de Gaulle chiese spiegazioni a Israele e minacciò di chiudere la base del Mossad a Parigi, allora snodo principale per le operazioni europee. In Israele, è stata istituita una commissione d’inchiesta per scoprire chi avesse dato l’ordine di partecipare al complotto. Il capo del Mossad Amit e il primo ministro Eshkol hanno ammesso un coinvolgimento solo indiretto di Israele nell’omicidio, ma l’opinione pubblica internazionale si è rifiutata di credere alla loro versione. Quella fatidica richiesta marocchina sarebbe diventato un doloroso precedente per il Mossad, che da quel momento in avanti si è rifiutato di aiutare altri servizi a sbarazzarsi degli oppositori politici.
Due anni dopo, Israele ottenne una vittoria su tutti i fronti nella Guerra dei Sei Giorni del 1967. Il prestigio acquisito dallo Stato ebraico contribuì a migliorare le relazioni con il Marocco, che ripreso con la vendita di armi -carri armati e artiglieria francesi- all’esercito marocchino.
Eppure le relazioni segrete non hanno impedito al re Hassan II di inviare truppe a sostegno di egiziani e siriani contro Israele nel 1973. Per rappresaglia, il capo del Mossad Yitzhak Hofi in quell’occasione interruppe la cooperazione con il Marocco, ma il dissidio lite non durò troppo a lungo. Nel 1977, il re Hassan favorì gli incontri segreti tra il Mossad e l’Egitto che hanno propiziato poi lo storico discorso di Sadat alla Knesset e al trattato di pace tra i due Paesi, il primo del genere tra Israele e una nazione araba.
Le relazioni israelo-marocchine sono presto tornate alla ribalta in tutti i campi: consiglieri ed esperti israeliano hanno insegnato alle controparti marocchine le tattiche anti-ribelli per contrastare il Fronte Polisario, milizia separatista in lotta per l’indipendenza nel Sahara occidentale, ex colonia spagnola annessa dal Marocco nel 1976.
Dopo il processo di pace tra Israele e l’OLP e gli accordi di Oslo, sulle orme di altri stati arabi e musulmani, il Marocco ha aperto una sede diplomatica a Tel Aviv. Dopo la seconda intifada del 2000, il re Mohammed VI, che nel frattempo aveva ereditato la corona dal defunto padre Hassan, ne ordinò la chiusura.
I legami informali sono però sempre rimasti in vigore. Si stima che un milione di israeliani possa rivendicare un’ascendenza marocchina, e a loro e ad altri israeliani è stato permesso di volare e viaggiare in Marocco per anni. Il commercio bilaterale è in costante aumento. I rapporti di intelligence e militari dei due paesi sono migliori che mai.
Il recente annuncio di normalizzazione formalizza, pubblicamente, una lunga relazione clandestina tra Israele e Marocco, per tramite del Mossad. Classico esempio di come il servizio rappresenti la longa manus della politica estera di Israele, e non sarebbe una sorpresa se le relazioni con altri stati come l’Oman, l’Arabia Saudita e l’Indonesia, dove i servizi segreti israeliani hanno preso l’iniziativa, venissero finalmente alla luce del sole con l’instaurazione di relazioni diplomatiche formali.