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“Altro che Italia! Questa è Affrica!” Gli amici di Cavour su Napoli e il Meridione

Lettere, dispacci e memoranda tratti -tranne dove indicato- da carteggi di Cavour (tutte le citazioni provengono da N. Moe, Altro che Italia! Il Sud dei piemontesi, “Meridiana”, 1992/15, pp. 53-89).

«Ma, amico mio, che paesi son mai questi, il Molise e Terra di Lavoro! Che barbarie! Altro che Italia! Questa è Affrica: i beduini, a riscontro di questi caffoni, son fior di virtù civile. E quali e quanti misfatti! Il Re dà carta bianca: E la canaglia dà il sacco alle case de’ Signori e taglia le teste, le orecchie a galantuomini, e se ne vanta e scrive a Gaeta: i galantuomini son tanti e tanti: a me il premio. Anche le donne caffone ammazzano; e peggio: legano i galantuomini (questo nome danno ai liberali) pe’ testicoli, e li tirano così per le strade; poi fanno ziffe zaffe: orrori da non credersi se non fossero accaduti qui dintorno e in mezzo a noi. Ma da qualche dì non è accaduto altro: ho fatto arrestare molta gente; alcuni ho fatti fucilare alle spalle (ne domando scusa a Cassinis); Fanti ha pubblicato un bando severo. Giunto che io sia a Napoli, vi manderò un rapporto con documenti sopra questa gesta della Corte di Gaeta, la quale ha mantenute incontaminate le tradizioni della Regina Carolina e del Cardinale Ruffo»
(Luigi Carlo Farini, 27 ottobre 1860)

«Tutte le città di Napoli e Sicilia sono in uno stato di indecenza, quasi inferiore a quelle delle antiche tribù dell’Africa. Le prigioni ed i luoghi penali sono locali dove appena si possono tenere le belve. Non vi sono fontane pubbliche, non orologi, e tutt’altro che a civili contrade si conviene»
(Lady Mary Holland, ottobre 1860)

«La nostra annessione con Napoli e con quelle provincie appestate e guaste dal dispotismo più assurdo è già un’ardita pruova che noi facciamo, ma almeno con la nostra forza, col nostro coraggio più grande, con la nostra superiore intelligenza e superiore morale, con la nostra esperienza e il nostro carattere, possiamo sperare di governarle e domarle»
(Diomede Pantaleoni, 6 novembre 1860)

«Credimi, non siamo noi che profittiamo nell’unione, ma sono queste sciagurate popolazioni senza morale, senza coraggio, senza cognizioni e dotate solo di eccellenti istinti e d’un misto di credulità e di astuzia che le dà ognora nelle mani dei più gran farabutti»
(Diomede Pantaloni [a M. d’Azeglio], 21 agosto 1861)

«Dirò due parole sulla tanto decantata Napoli dal bel clima. La popolazione è la più brutta ch’io abbia veduta in Europa dopo Oporto, ma sorpassa questa nella mollezza e nel vizio, nel sudiciume. […] Abbiamo acquistato un cattivissimo paese, ma sembra impossibile che in un luogo ove la natura fece tanto per il terreno, non abbia generato un altro Popolo»
(Paolo Solaroli [diario], 12 dicembre 1860)

«In tutti i modi la fusione coi Napoletani mi fa paura; è come mettersi a letto con un vaiuoloso»
(Massimo d’Azeglio [a D. Pantaleoni], 17 ottobre 1860)

«È colpa mia, caro Conte, se i Napoletani non hanno sangue nelle vene […], se sono, per così dire, abbrutiti?»
(Marchese di Villamarina, 28 agosto 1860)

«Oh! Quella Napoli come è funesta all’Italia! Paese corrotto, vile, sprovvisto di quella virtù ferma che contrassegna il Piemonte, di quel senno invitto che distingue l’Italia centrale e Toscana in ispecie. Creda a me; Napoli è peggio di Milano» (Giuseppe Massari, 23 agosto 1860)

«Qui si continua a rubbare negli officii pubblici come sotto i Borboni e come sotto la Dittatura; e ci vorrà ferro e fuoco per estirpare questa cancrena. Altra piaga letale è la cupidità degl’impieghi: le anticamere de’ ministeri e le scale sono così affollate che senza l’intervento de’ nostri Carabinieri riesce impossibile a una galantuomo di attraversarle.È una specie di accattonaggio, non meno molesto, impudente e schifoso di quelle delle vie pubbliche, nelle quali si vedono le più orribili e laide infermità umane portate in mostra come réclame di elemosina! Ma ciò che a me soprattutto spaventa è il distacco della vita morale e politiche che esiste tra queste provincie con quelle della media e dell’alta Italia. Fuori del suo nome, non v’è nome piemontese che qui sia conosciuto: del Piemonte nessun ne parla, nessuno ne chiede; la sua storia è ignorata, delle sue condizioni politiche, delle sue leggi non se ne ha notizia alcuna: insomma l’annessione morale non esiste. Io credo che il Governo del re dovrebbe fare ogni sforzo ed ogni sacrificio per accrescere le comunicazioni tra queste e le antiche provincie […]. I Borboni cinsero Napoli di una muraglia della China, ed i Napoletani si sono così abituati a considerare la loro città come un mondo a sé, che per farli entrare nella vita comune della nazione bisogna non solamente invitarli, ma costringerli»
(Giuseppe La Farina, 21 novembre 1860)

«Questa moltitudine brulica come i vermi nel corpo marcio dello Stato: che Italia, che libertà! Ozio e maccheroni, nessuno invidierà a Torino o Roma il decoro ed il lustro della Capitale d’Italia, purché questa [Napoli] seguiti ad essere la capitale dell’ozio e della prostituzione di tutti i sessi, di tutte le classi»
(Luigi Carlo Farini, 14 novembre 1860)

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