La conversation (così i protagonisti desiderano venga chiamata) fra Elon Musk e Donald Trump si è finalmente tenuta su X ieri notte alle 2 ora italiana (ed “europea”, vedremo il perché della precisazione) in un caos di polemiche, minacce e inconvenienti tecnici.
Ad accendere gli animi ore prima della “diretta” è stata una letterina di tale Thierry Breton, manager francese che nel tempo libero fa il Commissario europeo per i servizi, il quale si è sentito in dovere di ammonire l’omologo sudafricano (s’intende in quanto magnate) del fatto che la sua conversation avrebbe potuto infrangere il Digital Services Act (DSA) dell’Unione Europea, in merito a una presunta “amplificazione dei contenuti dannosi” [amplification of harmful content] la quale avrebbe rischiato di generare “effetti dannosi sul discorso civico e sulla sicurezza pubblica” (traduco in maniera letterale le formule dell’anglicorum europoide).
Tra infiniti giri di parole, l’eurocrate in sostanza ha minacciato Musk di oscurare X nell’UE se non avesse posto in essere degli argini alla “diffusione di contenuti che potrebbero incitare alla violenza, all’odio e al razzismo in concomitanza con importanti eventi politici o sociali in tutto il mondo, compresi dibattiti e interviste nel contesto elettorale”. L’imprenditore anglo-canadese, naturalizzato americano, non ha potuto far altro che rispondere “all’americana”, con un meme basato su una citazione dal film Tropic Thunder (in italiano doppiata come “Fai un passo indietro e cagati in bocca”, ma il gioco di parole yankee è più demenziale, perché implica che uno dovrebbe riuscire a “scoparsi la faccia”, cioè praticarsi del sesso orale, indietreggiando…):
To be honest, I really wanted to respond with this Tropic Thunder meme, but I would NEVER do something so rude & irresponsible! https://t.co/jL0GDW5QUx pic.twitter.com/XhUxCSGFNP
— Elon Musk (@elonmusk) August 12, 2024
In aggiunta, il famigerato collettivo Anonymous, col cui ribellismo romantico ci ammorbano da ormai vent’anni, ha annunciato azioni di sabotaggio contro i “fascisti”. Bisogna osservare che questa “organizzazione” di “hackers” dopo aver cavalcato il povero Assange fino allo sfinimento, nell’ultimo periodo è tornata alla ribalta sia in veste di comitato elettorale internazionale di Kamala Harris, sia come braccio informatico della psicopolizia laburista britannica. In fin dei conti, però, sembra che l’attacco hackers se lo sia fatto Musk stesso, che dopo il prevedibile tracollo della “diretta” (la quale ha raggiunto cifre da capogiro nei primi secondi), ha ripiegato per l’appunto su un massive DDOS attack ed è stato costretto a rallentare il suo debutto come intervistatore di almeno mezz’ora.
There appears to be a massive DDOS attack on 𝕏. Working on shutting it down.
Worst case, we will proceed with a smaller number of live listeners and post the conversation later.
— Elon Musk (@elonmusk) August 13, 2024
Anonymous ha prima sbeffeggiato il patron di X, poi ha pseudo-rivendicato l’attacco e infine si è ridotta puerilmente a irridere Trump e Musk per i difetti di pronuncia e gli biascicamenti, effetti evidentemente prodotti da difficoltà tecniche nella trasmissione e non da una mancanza di dentiera (per il candidato repubblicano) o corsi di logopedia (per il tycoon “neonazista”, il buon Elon s’intende).
Alla fine, bene o male, la discussione è durata tre ore ed è finita verso le sei di mattina ora euro-italiana (di seguito l’unica sintesi possibile): a questo punto è possibile ipotizzare che Musk abbia optato per un orario così “insolito” per il Vecchio Continente per convogliare una grossa fetta di pubblico verso la differita (che attualmente è sui 170 milioni di visualizzazioni) e mettere in difficoltà eurocommissari ed eurogiornalisti (per quanto riguarda la nostra classe scribacchinistica, è noto che essa copi direttamente dalla stampa anglo-americana e dunque per i suoi componenti non c’è stato alcun bisogno di far le ore piccole).
— Elon Musk (@elonmusk) August 13, 2024
Al di là della cornice patetica, sarebbe il caso di approfondire i contenuti: obiettivamente, però, non è che ci sia molto di cui discutere. E non c’è verso che qualcuno riesca a convincermi che le prime cause del degrado del dibattito siano l’ingenuità di un Musk o la grossolanità di un Trump, nel momento in cui uno stillicidio pseudosinistroide inquina qualsiasi confronto con pose da “commissari del popolo” che nessuno di queste mezze calzette potrebbe permettersi nemmeno davanti a uno specchio magico. Se ho ben compreso infatti l’essenza della contesa, a quanto pare l’internazionale medio-progressista si sarebbe posta come scopo di censurare, tramite diecimila disclaimer la presenza dei candidati “estremisti” sui media, e di sbattere in galera qualche boomer per un meme di troppo, allo scopo di difendere le proprie pecorelle dalle fake news.
L’isterismo anti-Trump sta assumendo coloriture da rito suicidario collettivo, a livelli forse peggiori che non quelli del 2016: probabilmente a livello inconscio cova tra i democratici una qualche disperazione nei confronti dell’impresentabile Kamala Harris, che comunque verrà fatta vincere con gli stessi metodi con cui è stato piazzato (e poi rimosso) il povero Joe Biden, per il quale The Donald ha avuto una qualche parola di pietà.
Va bene, visto che stiamo lambendo i contenuti dell’intervista, tanto vale sintetizzare in poche parole quel che si sono detti i due Gran Visir della reazione globale: Musk ha cercato sin da subito di far ammettere all’interlocutore, almeno tra le righe, che l’attentato da egli subito fosse stato organizzato dal Deep State, senza ricevere alcuna soddisfazione dal sempre più saggio e istituzionale Trump, il quale dal canto suo si è concesso solo qualche insulto di troppo verso gli avversari (ha definito i componenti dell’Amministrazione Obama dei dopey suckers, cioè dei “fessacchiotti raggirabili”, poiché a suo dire si sarebbero fatti ingannare da aziende private come la Boeing interessate a gonfiare i prezzi dei contratti con Washington, mentre ha tacciato la Harris di essere una radical left lunatic), per poi dedicarsi ai suoi pezzi forti: immigrazione, guerra e reputazione americana nel mondo.
Sui migranti, Trump ha sostanzialmente elaborato una nuova teoria del complotto che deve aver travolto i fact checkers come un malore improvviso, in quanto ha sostenuto che Paesi come il Venezuela, il Congo (From the Congo they are a-comin’…!) e generalmente le nazioni “asiatiche” starebbero approfittando del lassismo democratico sulla frontiera meridionale statunitense per svuotare le carceri e i manicomi e spedire in America certa “gentaglia” [rough people] al cui confronto i criminali autoctoni sono “bravi ragazzi”. In tal modo Caracas e altre capitali un tempo afflitte da violenza endemica godrebbero oggi di un crollo delle statistiche criminali esportando la propria feccia al confine messicano.
Sulla guerra, Trump ha ripetuto un paio di volte la sua battuta sul nuclear warming che sarebbe ben più pericoloso del famigerato global warming, presentandosi come l’unico candidato in grado di trattare con gli altri leader internazionali, apostrofati tutti come vicious (“aggressivi”, “crudeli”) ma altresì tenuti in considerazione poiché interessati al bene delle rispettive nazioni. Obiettivamente il suo modo di affrontare anche la questione iraniana è stato più che diplomatico e penso che la politica estera possa rappresentare uno dei punti forti della sua campagna elettorale, al fronte della confusione bideniana ereditata a forza dal settore avversario.
Il tema della reputazione americana a livello globale, chiaramente collegato a quello della guerra, ha consentito a Trump, fra le altre cose, di stigmatizzare i comportamenti dell’Unione Europea presentandola come un antagonista degli Stati Uniti (seppur “non così duro come la Cina”!), in particolare in settori come gli scambi commerciali, l’agricoltura e naturalmente la difesa.
Non si capisce, in finale, se Musk sia riuscito in qualche modo a ottenere le risposte che cercava, in specie su immigrazione illegale (un argomento che si è preso a cuore da mesi), energia (Trump ha fatto un discorso interessante, ovviamente non ripreso da nessuno, sul Nord Stream 2 e su come egli lo avesse chiuso anni prima del suo “misterioso” sabotaggio) ed “efficienza”; in compenso ha strappato a Trump un posto come impiegato in una futura efficiency commission -guarda caso- in veste di “tagliatore” [cutter] d’eccellenza per la sua capacità di licenziare in massa i lavoratori in sciopero. In particolare il repubblicano vorrebbe “un Musk” per decentralizzare il settore dell’istruzione e ridurne il budget.
Taluni argomenti, come si vede, sarebbero facilmente confutabili senza necessità di servirsi di strumenti extrademocratici in un momento in cui il decadimento del civic discourse, per usare la formula dell’eurocommissario (che forse intendeva parlare di civil discourse o public debate), non è attribuibile interamente, come si è detto, a due arruffapopoli che non appena tentato di competere a livelli di visibilità con i media tradizionali (quelli della difesa della verità dalla post-verità) devono simulare un cyberattentato per coprire pietosamente la povertà dei propri mezzi.
Certo che, in ogni caso, l’ansia di voler arrestare la corsa di Trump in ogni modo, dalle pallottole all’oscuramento, resta un atteggiamento estremamente sospetto il quale fa sorgere qualche dubbio sulla perfetta equivalenza, a livello di potere profondo, fra repubblicani e dem, e anche sulla buona fede dei “difensori della democrazia”.
Se dovesse vincere Kamala Harris mi chiedo se gli americani starano bravi e buoni oppure si arrabbieranno parecchio visto ormai la polarizzazione degli stati uniti e eventuale spettro di guerra civile.
Trump forse avrebbe potuto cambiare le cose nel 2016 quando gli hanno rubato le elezioni che era veramente un outsider ma adesso la vedo dura con tre fonti aperti per gli stati uniti, Europa, Medio Oriente, e Pacifico.
Resta comunque troppo sospetto questa guerra alla rielezione e ricandidatura di Trump, forse troppo scomodo a qualcuno.
Ma vedremo gli scenari futuri.
Kamala Harris e molto aggressiva nei confronti della Russia, quindi problemi per noi europei.
kamala Harris pare non sia particolarmente amata e apprezzata da Israele , ma sono sempre dichiarazioni pubbliche poi non sappiano cosa succede in segreto.
In ogni caso credo che l’America con una altra vittoria dei democratici oppure con il proseguimento di una certa politica si avvierà definitivamente verso il viale del tramonto e un probabile futuro tipo U.R.S.S 1989 con l’America che si dividerà in piccoli stati separati tra loro con differenze giganti tra uno stato a l’altro.
Tipo la California super Woke completamente diversi da più conservatori Texas e la Florida.
Riguardo l’Europa ormai siamo in pieno delirio schizofrenico, quindi non mi stupisce più niente.