America First vs Israel First

La stampa israeliana è in subbuglio per le dichiarazioni rilasciate da Donald Trump durante la sua visita a sorpresa in Iraq: «Ne ho parlato con Bibi [Netanyahu], sapete che diamo quattro miliardi e mezzo a Israele ogni anno, mi sembra che gli israeliani siano in grado di difendersi da soli» (Trump: We give Israel billions, it can defend itself in Syria, “Times of Israel”, 27 dicembre 2018).

Più chiaro di così si muore (talvolta anche letteralmente): del resto anche i media americani sono sul piede di guerra (no pun intended) per le dichiarazioni del Presidente repubblicano. Donald Trump è un male per Israele, avverte allarmato il “New York Times”: l’opinionista di turno (un neo-con ebreo, ma è solo un caso) definisce la politica di Trump nei confronti di Israele “peggiore di quella di Obama” e mette in chiaro che nemmeno aver trasferito l’ambasciata americana da Tel Aviv a Gerusalemme è sufficiente a farsi perdonare la defezione.

Tuttavia Trump sembra sbattersene abbastanza, tanto da rilasciare dichiarazioni ancora più infuocate sul suo profilo Twitter. In primo luogo, citando un’affermazione “isolazionista” di un anonimo repubblicano bushiano:

«Il popolo americano sa di esser stato ingannato da soggetti stranieri che vorrebbero farci combattere le loro guerre. Il Presidente invece dice “Questa è la tua zona, devi imparare a difenderti da solo. Non cercare sempre l’America».

A chi si starà riferendo? La fonte della dichiarazione non è chiara, dunque non è nemmeno possibile contestualizzarla: è certo che se il minimo sospetto di un’allusione a Israele consentisse comunque a Trump di “passarla liscia”, ciò vorrebbe dire che gli Stati Uniti sarebbero davvero entrati in un nuovo evo politico.

I sospetti di uno scontro di basso livello tra America First e Israel First è confermato indirettamente dal tweet successivo del Presidente, nel quale sostiene la giustezza del suo “muro” evocando proprio quello israeliano.

Il riferimento potrebbe essere più velenoso di quanto appare, alla luce di un passaggio del discorso alle truppe in Iraq («Voi state combattendo per i confini di altre nazioni ma i democratici non vogliono che combattiate per i confini della vostra nazione, non ha senso!»), che sembra proprio un attacco al maggiore oppositore delle politiche immigratorie di Trump, il leader della minoranza democratica al senato Chuck Schumer.

Il senatore newyorchese è infatti noto per essere un fervente sostenitore dello stato ebraico “senza sé e senza ma”, fino al punto di dichiararsi “guardiano di Israele” e di esaltare lo stesso muro che proposto da Trump gli fa invece storcere il naso: «Finché i palestinesi fanno saltare in aria autobus pieni di studenti e discoteche, Israele non ha altra scelta che costruire il muro» (Famed attorney lays out plan for peace, “The Jewish News”, 26 gennaio 2007).

I nodi creati da decenni di filosionismo scontato stanno inevitabilmente venendo al pettine: sarà da vedere chi avrà più faccia tosta (chutzpahin yiddish) da trionfare nello scontro in atto.

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