“Anarco-tirannia” è un sinonimo di liberalismo

Alla fine del 2023 ho incominciato a utilizzare l’espressione “anarco-tirannia” perché la ritenevo allo stato attuale una delle più atte a rappresentare l’incomprensibile (almeno all’apparenza) tendenza da parte di chi detiene il potere nelle società occidentali a utilizzare il crimine come strumento di controllo sociale.

La definizione ormai “classica” di tale sistema è quella del politologo paleoconservatore americano Samuel Todd Francis (1947–2005):

«[Il sistema politico che vige oggi negli Stati Uniti] è sia anarchia (l’incapacità dello Stato di far rispettare le leggi) sia, allo stesso tempo, tirannia: l’applicazione delle leggi da parte dello Stato per scopi oppressivi; la criminalizzazione degli onesti e degli innocenti attraverso una tassazione esorbitante; la regolamentazione burocratica; la violazione della privacy e l’ingegneria sociale contro istituzioni come la famiglia e la scuola; l’imposizione del controllo del pensiero attraverso programmi di “formazione alla sensibilità” e al multiculturalismo; leggi sui “crimini d’odio”; leggi sul controllo delle armi che disarmano cittadini altrimenti rispettosi della legge ma non hanno alcun impatto sui criminali violenti […]. In una parola, anarco-tirannia».

Nel corso di questo 2024 sempre più convulso e instabile (intendo l’anno), ho preso a servirmi del termine in maniera esagerata, fino quasi ad abusarne: l’ho utilizzato infatti per parlare dell’America di Joe Biden, dell’affaire George Floyd (sul quale in precedenza avevo provato a forgiare un nuovo concetto, fluidismo, per indicare la liquidazione delle strutture sociali esistenti allo scopo di renderle un fattore costante di instabilità, ma risultava oggettivamente un po’ troppo “trollante”), degli ergastoli comminati a chi si difende dai rapinatori  (così come della condanna di Rosa e Olindo), dell’immigrazione selvaggia (con particolare riferimento alla situazione di Milano, nonché al “caso” di Monfalcone e alla condotta dei controllori dei treni nei confronti dei migranti), eccetera eccetera (inutile continuare la carrellata: posso solo ricordare che l’ultima occasione in cui me ne sono servito è stata quando ho parlato della reazione dei laburisti britannici alle rivolte scoppiate in Inghilterra nella prima settimana di agosto).

Ora, dopo aver ricevuto qualche -sparuta- critica sull’adozione di un concetto tipicamente “americano” (lato sensu), paternità sulla quale io stesso avevo espresso più che un rilievo, alla fine mi sono deciso a non servirmene più, non tanto per un’avversione preconcetta agli yankee, quanto perché a lungo andare tutto questo discutere di “anarco-tirannia” rischia di trasformarsi in un colossale alibi per il vero colpevole, a livello ideologico, della catastrofe attuale: il liberalismo.

Nella stessa esposizione di Francis che ho citato sopra, del resto, è implicita quell’ottusità tipicamente liberale (appunto) che vede lo Stato come organizzazione naturaliter tirannica, incapace di provvedere in alcun modo al benessere dell’individuo, assunto peraltro come unico soggetto politico meritevole di diritti. L’anarco-tirannia dunque è solo una forma degenerata di liberalismo e bastano davvero poche osservazioni per rendersene conto.

In primis, il liberalismo nutre un pregiudizio teorico e pratico, cioè ideologico e storico, non solo verso il concetto di Stato ma verso tutto ciò che tale concetto potrebbe rappresentare. Esso parte dalla riduzione metodologica di un unico elemento, questo fantomatico “Stato”, all’espressione di un’associazione volontaria tra uomini: tale impostazione obbliga al contempo l’ideologo liberale a mitizzare l’origine di qualsiasi altro elemento, dalla famiglia alle istituzioni religiose, dal mercato fino all’idea stessa di “individuo”, riconducendoli artatamente a una radice “naturale” che manifesterebbe la vera essenza umana.

Per il filosofo ungherese (naturalizzato americano) Thomas Molnar, studioso misconosciuto in quanto “pecora nera” del pensiero conservatore statunitense nonostante sia forse il più brillante interprete di Russell Kirk (proprio nella misura in cui assunse posizioni critiche verso taluni dogmi del pensiero liberale/libertario), l’idolatrizzazione di taluni elementi da parte dell’ideologia liberale rappresenta

«una razionalizzazione adulterata, elaborata posteriormente da teorici ansiosi di legittimare, mediante un procedimento che si rivela analogo nell’Atene del V secolo e nell’Inghilterra del XVII, i privilegi di una particolare classe, costituita da mercanti ed intellettuali».

(Questa e le altre citazioni che seguono sono tratte da Lo stato debole, opera scritta originariamente in inglese ma edita solo in traduzione italiana dalla casa editrice palermitana Thule nel 1978).

Secondo Molnar, un altro “peccato originale” del liberalismo nella prospettiva dei bisogni cosiddetti “naturali” dell’uomo è, da un lato, negare la necessità da parte dell’essere umano a “inserirsi in una comunità che lo trascenda” (il che produce come conseguenza il sorgere di quelle che definisce feudalità, cioè aggregazioni di singoli uomini che rappresentano “istituzioni selvagge” o addirittura “contro-istituzioni”), e dall’altra ridurre comunque tutte le presunte libertà che conferisce all’individuo alla pura e semplice libertà economica, le cui conseguenze sono il conferimento di una natura prettamente materialistica all’inevitabile formarsi di feudalità e, soprattutto, il paradosso della continua evocazione dell’intervento statale nel campo delle finanze per, di volta in volta, garantire piena occupazione, adeguare i salari, ridurre il debito pubblico, abbassare il “costo del lavoro”, far crescere il PIL ecc…

La presenza delle feudalità per Molnar annulla altresì il valore del voto (altra libertà, oltre a quella economica, concessa dai liberali), dal momento che

«il potere effettivo si è trasferito nelle mani dei partiti, degli organi di informazione, dei sindacati, degli intellettuali insediati nelle Università, i quali dispongono di mezzi più diretti che non il voto, per far pesare la propria volontà».

Tutte le conseguenze negative che i conservatori vorrebbero dunque attribuire a una fantomatica “anarco-tirannia” non sono dunque che inevitabili contraccolpi degli inganni liberali (o liberal o libertari, a seconda dell’orientamento sinistroide o destrorso): tali presupposti generano una “contestazione perenne del potere” speculare a quella del versante opposto.

È perciò la dittatura liberale ad aver prodotto la situazione in cui ci troviamo attualmente, in quanto essa è esattamente la stessa che il buon Molnar poteva descrivere quasi cinquant’anni fa. Il filosofo parte da un’assunzione semplice: se il liberalismo teorizza iniquamente la possibilità che uno Stato “forte” possa farsi “debole” trasferendo all’individuo il suo potere “con la pretesa di rafforzarlo”, siccome l’individuo “forte” non esiste come soggetto politico (e nemmeno economico a ben vedere), allora l’unico esito di tale contraffazione è il rafforzamento di un soggetto politico ontologicamente “debole” qual è l’individuo tramite l’unico mezzo del raggruppamento in collettività che, come osservato, lo studioso definisce feudalità.

«Nella prospettiva liberale […] gli individui si raggruppano in potenti associazioni, che fanno capo al denaro, all’influenza che sono in grado di esercitare, o a [qualche] idea di moda e, forti del potere in tal mondo acquisito, dichiarano guerra ai deboli, la cui debolezza consiste proprio -dal punto di vista politico- nell’incapacità di aggregarsi o nel rifiuto di farlo. […] In senso eminentemene concreto, i partiti moderni costituiscono [delle] feudalità, giacchè presentano potenti aggregazioni di forza aventi per scopo la conquista dello Stato».

Queste “contro-istituzioni” preparano la loro ascesa al potere tramite la contestazione permanente dell’autorità dello Stato e delle istituzioni:

«Conseguentemente, il potere politico continua a travasarsi dalle istituzioni nella feudalità, per coagularsi, durante la fase decisiva, nelle mani di agitatori professionisti, camuffati da pubblicisti, insegnanti, studenti. Gradualmente, altre categorie di “fuori-legge”, costituite da gruppi minoritari, socialmente aberranti, basso clero ecc., si uniscono al gruppo già esistente. Lo Stato ne risulta continuamente indebolito, per la ragioni che si tratta ancora di quello Stato liberale, fondato sul presupposto che la finalità dello Stato consiste nell’assecondare indiscriminatamente la libertà individuale, indipendentemente dalle eventuali prevaricazioni a questa imputabili».

In conclusione Molnar giunge al nocciolo del problema, riportando l’anarco-tirannia nell’alveo del liberalismo con una descrizione ai limiti del profetico (ricordo che era la fine degli anni ’70 del secolo scorso) della nostra situazione:

«L’attuale anarchia è conseguenza dell’applicazione successiva, in tutti i settori della vita pubblica, del principio liberale, proiettatosi oltre il campo economico, dal quale aveva tratto la sua iniziale ed in larga misura legittima aspirazione, per investire i settori pertinenti all’istruzione, alla moralità, alla cultura, alla vita religiosa e istituzionale. […] Lo Stato, costretto dall’ideologia a limitare il proprio intervento alle questioni che interessano la soddisfazione dei bisogni economici, ha praticamente cessato di governare, rassegnandosi a diventare, alternativamente, una appendice dell’una o dell’altra feudalità, di preferenza le più prepotenti, mentre i poteri repressivi ancora considerevoli di cui dispone sono sollecitamente utilizzati solo per colpire le categorie più costruttive della cittadinanza. Così le misure fiscali puniscono severamente lo slancio imprenditoriale, la legislazione in materia sessuale -aborto, contraccezione- danneggia la famiglia, le leggi demagogiche sulla disciplina scolastica minano alla base la scuola, quelle penali favoriscono la criminalità».

Nella crisi a cui lo ha condotto il liberalismo, lo Stato non può più nemmeno delegare alcunché alle istituzioni, in quanto esse, divenute feudalità, sono “corrose e indebolite, parzialmente parassitarie e, d’altro canto, parzialmente tendenti a degenerare […] in gruppi di pressione anti-statali e anti-sociali”.

Non esiste quadro più vivido del regime anarco-tirannico, cioè liberale, in cui siamo obbligati a vivere: l’arma del delitto era ben visibile sin dall’inizio, ma occultata in bella vista come la “lettera rubata” di Edgar Allan Poe. Pertanto, d’ora in avanti non sarà più necessario inventarsi le definizioni più astruse per salvare il liberalismo da se stesso.

8 thoughts on ““Anarco-tirannia” è un sinonimo di liberalismo

    1. Ormai il discorso politico è al 99% intaccato dal liberalismo, con le sparute eccezioni di alcune correnti marxiste (ultraminoritarie) e della teologia politica cattolica preconciliare. E parlo a livello teorico, perché in concreto non saprei nemmeno nominare un politico che non sia “liberale” anche solo nell’ispirazione, o che sia “anti-liberale” ma per meri motivi accidentali (praticamente tutti quelli che vengono definiti “dittatori” allo Stato attuale). Perciò sono ancora restio a farne la radice di tutti i problemi nel momento in cui non c’è alcuna alternativa, se non nel passato. Per quanto riguarda il tema specifico del mio intervento, le uniche obiezioni (anche espresse in modo aspro) ricevute sull’utilizzo del concetto di “anarco-tirannia” è che fosse di matrice puramente americana e non che nascondesse in sé un alibi per il liberalismo. Anche questo mi sembra esprima una critica al liberalismo che è talmente sottintesa da non venire, a conti fatti, mai espressa in maniera netta ed esplicita. O magari è solo una mia impressione.

  1. Non me ne voglia mister Totalitarismo ma io penso che i mercanti abbiano fatto anche cose buone, soprattutto ridimensionando il regime dei preti, (Nietzsche e Céline) tuttavia è empiricamente dimostrato con abbondanza di evidenze di ogni genere che ogni comunità per sussistere all’intemperie del tempo e della vita debba tenere in debito conto un mutualismo e una prossemica di base, perso questo l’entropia non può che consumare tutto, hai voglia poi ad elevare i manager come demiurghi risolutori per governare le emergenze vere e presunte.

  2. E se invece dietro tutto quanto ci fosse la tecnica?

    In concreto non troverai mai alcun anti-liberale nelle democrazie occidentali perché suona brutto e soprattutto perché non è pratico definirsi anti-liberale in opposizione all’anarco-tirannia. Peraltro alla massa superficiale parole come liberale e libertario sembrano intrinsecamente belle.

    Nell’ottocento l’anarchismo poteva avere molti punti in comune col marxismo e gli anarchici partecipavano agli stessi scioperi dei socialisti. Gente come Kropotkin si era interrogata sul problema della morale anarchica, trovandosi di fronte alla solita questione del materialismo ottocentesco: se la natura è darwinismo, la società senza stato è spencerismo spietato? Molti di quegli anarchici tentarono di rigettare questa conseguenza, con le ingenuità ottimistiche sulla bontà umana.
    Più tardi è emerso l’anarco-capitalismo, che non si preoccupa di essere praticamente anomico e può accettare a cuor leggero le conseguenze sociali dell’anarchismo con la stessa sicumera di un adolescente, anche senza dover ricorrere all’argomento del darwinista sociale che fa coincidere natura e società, per cui il predominio dell’individuo o del gruppo finanziariamente più forte sarebbe giustificato dagli stessi meccanismi della sopravvivenza naturale.
    All’anarco-capitalismo non basta che lo stato sparisca, serve che spariscano la morale e il sentimento, il senso di appartenenza, l’amor di patria e persino la ragione e la giustificazione.

    Il liberale in ciò è utile (idiota o infame), quale miglior modo per sgretolare i popoli e distruggere i sentimenti di fratellanza e cooperazione tra una comunità di simili se non quello di dislocare e mischiare le etnie e le culture, parificarle col relativismo e il consumismo, e imporre un’improbabile convivenza che in realtà produce contrasti crescenti di valore tattico. Nessuno stato democratico ben organizzato e finanziato può realisticamente gestire questo scenario caotico, e poiché per l’opinione corrente lo stato o è democratico o non è, allora che lo stato non sia, visto che non riesce a funzionare più.

    Infine non dovrà esserci più legge scritta, ma dato di fatto. Finché il potere è quello finanziario, una legge a sua tutela serve. Quando il potere starà tutto nel possesso effettivo dei mezzi tecnici, la legge non servirà più perché il denaro non avrà più una funzione. L’unica funzione è della tecnica, il cui unico fine è proprio quello di funzionare.

  3. Non vorrei uscire dalle riflessioni interessanti ma mi sembra che anche il filosofo De Sade nelle sue opere avesse espresso concetti simili.
    De Sade ha espresso che se elimini tutti i valori rimane solo materialismo ecco che si pare una filosofia e un pensiero estremamente nichilista.
    Riguardo il pensiero anarchico gli anarchici sono sempre stati in anticipo sui tempi, purtroppo sono sempre stati perseguitati o poco ascoltati tipo in Spagna dove i comunisti uccisero più anarchici delle forze franchiste.

  4. Per una volta non concordo (e ritengo questa riformulazione un passo indietro): con “Anarco-Tirannia” sappiamo esattamente di cosa stiamo parlando (l’esempio principe è il gioielliere piemontese che spara ai ladri e oltre a finire in galera deve risarcire le famiglie degli stessi). Se invece puntiamo il dito su un generico “Liberalismo” ci stiamo incartando ed è impossibile venirne a capo. Peraltro ci sono Stati, persino nel blocco NATO, dove l’Anarco-Tirannia non c’è mai stata (es: Ungheria) o è stata combattuta ed eliminata (es: Florida): sono Stati meno liberali, per esempio, della Francia? Più liberali? Non trovo sensato questo approccio.

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