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Angela Carini è diventata un’icona internazionale della battaglia contro i transessuali negli sport femminili

Il gesto della pugile Angela Carini di abbandonare la sfida con l’avversaria algerina Imane Khelif alle Olimpiadi parigine ha ispirato a livello internazionale una rivolta inaspettata contro la presenza dei transessuali negli sport femminile.

Elon Musk dal suo X ha lanciato l’hashtag #IStandWithAngelaCarini, seguito da centinaia di migliaia di profili che hanno pubblicato le immagini dell’atleta in lacrime o i video del momento in cui veniva già travolta dal primo destro di una donna biologicamente uomo e correva dal suo allenatore a dire “Mi fa malissimo”.

A difendere la Carlini anche la scrittrice J.K. Rowling, che ha voluto rinverdire la sua ormai annosa battaglia veterofemminista contro il transfemminismo definendo brutal injustice quanto subito dall’atleta.

Credevo che la stampa russa avrebbe dedicato titoloni all’affaire, anche perché come vedremo Mosca è indirettamente coinvolta, ma è evidente che all’opinione pubblica del Paese interessano poco delle Olimpiadi a cui i propri connazionali non possono partecipare, oltre al fatto che nel mondo stanno accadendo cose molto più importanti (ma noi vogliamo parlare del trans algerino!).

Al contrario, è l’anglosfera ad aver preso a cuore le vicende della nostra Carini (per esempio una giornalista del Telegraph ha citato in italiano uno dei labiali della pugile, Non è giusto, trasformandolo in uno slogan per la battaglia anti-trans), principalmente per questioni politiche: ricordo solo che nel 2021 il primo atto dell’Amministrazione Biden appena insediatasi, il quale diede poi il la a tutte le forze progressiste occidentali, fu quello di consentire agli atleti transessuali di competere negli sport femminili. Per questo persino Donald Trump ha postato il video dell’incontro sul suo social Truth promettendo agli americani di tener fuori gli uomini dagli sport femminili:

Dopo aver dato un quadro generale della situazione, vorrei approfondire alcuni punti che mi sembra siano stati trascurati. In primo luogo, nessuno ha notato che la Carini si sia presentata all’incontro con un foulard in testa e lo abbia tenuto anche gareggiando.

È una mia ipotesi, probabilmente campata per aria, ma potrebbe averlo fatto per affermare che l’avversario, in quanto biologicamente uomo, non avrebbe potuto indossare un velo del genere nonostante fosse di fede islamica?

Un dato di fatto è che Angela Carini conosceva già da tempo Imane Khelif perché quest’ultimo/a si era allenato/a ad Assisi assieme ad altre pugili italiane: da quanto hanno affermato i telecronisti della Rai, sembra che la Carini si fosse rifiutata di “fare i guanti” (come si dice nel gergo della disciplina) con Khelif, nonostante si fosse comunque esercitata con altri uomini. Evidentemente il motivo di tale diffidenza risiedeva anche nell’ambiguità della natura sessuale dell’algerina, che sentendosi al 100% donna non ha alcun motivo di trattenere tutta la propria potenza fisica.

Veniamo perciò al punto principale della questione, cioè se Imane Khelif sia un transessuale o meno. In questi giorni c’è una sospetta negazione all’unisono sul fatto che l’atleta sia stata squalificata dai Campionati mondiali di pugilato femminile del 2023 in quanto in possesso di cromosomi XY: si è parlato di “intersessualità”, “iperandroginia”, DSD (disordini dello sviluppo sessuale, disorders of sex development), “ermafroditismo” o addirittura “ipersessualità” (?), come a voler confezionare una real news “istituzionale” da contrapporre alle bieche accuse degli omobitransfobici.

In verità, nessuno di questi “convintoni” possiede prove di quanto afferma (come un attestato di nascita, un certificato medico, un test del DNA o che altro): costoro si limitano a negare la validità degli esami dell’International Boxing Association (IBA) e a prendere come oro colato le affermazioni del Comitato Olimpico Internazionale (CIO), il quale ha stabilito che l’anno scorso la Khelif sia stata squalificata solo per gli alti livelli di testosterone riscontrati nel sangue.

Nessuno però osserva che l’IBA sia stata ostracizzata non per motivi di “corruzione” o che altro, ma perché il suo attuale presidente, Umar Kremlev, è russo. A quanto pare Kremlev sarebbe in qualche modo “legato e Putin” e dunque la sua presenza sarebbe di per se stessa criminogena: eppure i suoi colleghi dell’organizzazione, atleti provenienti da tutto il mondo, devono considerarlo un professionista stimabile se hanno resistito alle enormi pressioni del CIO in questi anni per indire nuove elezioni e spodestarlo in quanto presidente.

Quindi non è da escludere radicalmente, come fanno i “padroni della voce”, che la Khelif si sia sottoposta a transizione di genere in adolescenza. In Algeria la transessualità non è esplicitamente proibita dalla legge (qui tutti i dettagli al riguardo) e non è affatto vero che non ci si possa sottoporre a terapia ormonale o direttamente a cambio di sesso tramite operazione chirurgica. Ad attestarlo, giusto per fare un esempio, sono le memorie di una transessuale algerina (che si firma “Randa”) le quali, nonostante siano state pubblicate solo in arabo hanno suscitato grande interesse da parte dei media anglofoni (cfr. Algerian transsexual’s memoirs reveal life of discrimination, CNN, 9 luglio 2010).

Il rimando ossessivo a una presunta diagnosi di “intersessualità” ha lo scopo palese di eludere, da parte di chi è al potere, di affrontare la questione della presenza di atleti dotati di cromosomi XY nelle competizioni femminili. Sì, d’accordo, “scacco matto ai fasci”, ma quando non potrete più improvvisarvi endocrinologi o para-gonadologi, cosa direte? Accetterete la cancellazione dello sport femminile in nome dell’inclusione? Probabilmente sì.

In conclusione, il gesto di Angela Carini merita di rimanere negli annali come una testimonianza di chi rinuncia a tutto pur di affermare che Non è giusto. E dal momento che il/la Khelif si è trovata su quel ring per motivazioni prettamente politiche, non vedo cosa ci sia di immorale sull’eventualità che anche l’atleta italiana si costruisca una nuova carriera in veste di icona anti-trans. È il minimo che si meritano le transfemministe (e ancor più le femministe).

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