13 marzo 2013 (3-3-3, evitare la tentazione di moltiplicare per due): da quella data molti amici e conoscenti cattolici hanno sospeso il giudizio, preferendo affidare l’ardua sentenza ai posteri e auspicando indirettamente che Bergoglio si togliesse di mezzo il prima possibile (ma solo per permettere una visione più obiettiva del suo magistero, ovviamente). Ora tuttavia l’epoché si prolunga nell’attesa del successore, nei confronti del quale non si sa più nemmeno cosa sperare…
Lasciamo allora da parte la religione, per concentrarci un minimo sulle conseguenze che il pontificato di Papa Francesco ha avuto sulla società. Un primo precipitato, di certo involontario, del magistero bergogliano è stato quello di far diventare anti-progressiste ampie porzioni dell’intellighenzia occidentale che per odio invincibile verso il cattolicesimo non potrebbero mai accettarne la “linea”, neppure se ne rispecchiasse interamente i loro desiderata.
E questo perché il papato di Francesco è stato il più politico degli ultimi decenni, tanto che a un certo punto ci si è chiesti se Bergoglio non si fosse messo nella disdicevole condizione di dover contare le proprie divisioni (e magari a dar ragione alla battutaccia di Stalin). Tale impostazione ha iniziato a intaccare il credito spirituale che una parte consistente dell’umanità ancora attribuisce al Vaticano.
L’effetto più minaccioso ma meno evidente (e forse talmente enigmatico da non poter essere ancora compreso) di tale approccio è il supporto teologico che Francesco ha offerto ad alcune istanze mondane, in particolare a quelle che vorrebbero da sempre che il cattolicesimo si togliesse di mezzo. È vero, come abbiamo appena osservato, che la perdita di autorità di Roma è reale, ma ciò non impedisce che prima dell’esaurimento completo del proprio ascendente spirituale il Vaticano non possa votarsi alla “consacrazione” di qualsiasi cosa (si è visto, per esempio, come leggendari miscredenti si siano avventati sulla Laudato si’ solo per dare una base dogmatica all’ecologismo, per non dire di tutto il guazzabuglio legato al fenomeno migratorio). Tale atteggiamento diventa pericoloso quando attraverso di esso si giunge a sacralizzare il nichilismo.
In fondo la posizione attuale che il “mondo” mantiene nei confronti di ogni pontefice è piuttosto semplice: finché un Papa contribuisce all’auto-sabotaggio, è giusto sostenerlo. Così facendo si finge però di ignorare che un Kulturkampf condotto dall’interno, usando le stesse armi del “nemico”, assume su di sé una sorta di investitura divina. Questo, a lungo andare, contribuisce a corrodere la legittimità anche di poteri (come quello mediatico) che si sentono immuni da qualsiasi contestazione.
Il giochetto di chiedere a un Papa di distruggere la propria Chiesa (o, più in generale, a un potere di autolimitarsi), non porta a una maggiore libertà o indipendenza, ma alla situazione paradossale in cui chi comanda è colui che è riuscito ad annichilire tutti gli altri senza tuttavia distruggere completamente se stesso. Per certi versi, è lo stesso schema seguito da Israele, che probabilmente in questi anni ha accentuato la sua avversione al Vaticano per timore di non potersi permettere una tale crisi di legittimità senza godere di un’adeguata base spirituale. Eppure ci si domanda se a lungo andare anche Roma possa permettersela, così come qualsiasi altro potere che voglia ancora dirsi tale.