Apologia dell’ostensione (Angelo Schwarz)

Torino: tre milioni di pellegrini e di visitatori per un’immagine, che si suppone di Cristo, ottenuta per contatto e con materiale amorfo
(Angelo Schwarz, “Il Diaframma/Fotografia Italiana”, dicembre 1978)

«Ancora qualche giorno prima di scrivere questa nota, un collega freelance mi diceva che sarebbe andato a Milano per proporre un fotoreportage sull’ostensione della Sindone di Torino. Punti qualificanti del servizio: le denunce del ridicolo misto a sacro e profano di certe vetrine della città e delle bancarelle, le quali vendevano due “lini” per mille lire; dei cortei dei cattolici-pellegrini intruppati da parroci e vescovi; del lancio turistico della metropoli FIAT da parte di una amministrazione comunista e socialista.

Non so come la cosa sia andata a finire, ma mi pare che un lavoro così impostato sarebbe stato non tanto di parte ma, dal punto di vista giornalistico, avrebbe corso il rischio d’essere bugiardo, la quale cosa non avrebbe certamente portato (anche se di poco) lustro a una società che vorremo pure laica. E scrivo subito il perché.

Le vetrine e le bancarelle. C’erano eccome, ma quante erano? Le vetrine erano cinquanta, per andare sul sicuro e in eccesso, ottanta in tutta la città. Ma quante vetrine ci sono nella torinese via Garibaldi, senza contare che il centro storico non conta una sola strada? Al più, esempi di cattivo gusto di un corso per vetrinisti e di paleo-distribuzione. Anche le bancarelle di “oggetti religiosi” non mancavano, ma pare che abbiano fatto magri affari e ciò che è stato venduto di più sono giocattolini, qualche “ricordo di Torino”, che era più comodo comprare lì che in altri negozi, e il francobollo emesso per l’ostensione.

I pellegrini. Per lo più facevano parte di comitive organizzate in sede diocesana e parrocchiale. In molte di queste, prima e dopo la coda e la visita in Duomo, si respirava aria di strapaese, ma ciò credo non sia imputabile alla predica da parte del parroco e del vescovo. Ciò che invece mi sembra sia il caso di sottolineare è come questo altissimo numero di cattolici e pellegrini abbia evitato con somma cura l’ostensione della propria fede religiosa, se non attraverso una presenza imponente e una preghiera, quando c’era, la quale non mancava di dignità (invece carente di quel folklore che piace, troppo smodatamente per essere autentico, a certi cultori della “religiosità popolare”).

Inoltre, personalmente, a differenza di altri cronisti, non ho registrato “colorati” casi di commozione e misticismo, nei quattro giorni durante i quali ho svolto il fotoreportage, né mi sembra il caso di celebrare troppo degli episodi che sicuramente ci saranno stati, ma rimangono comunque l’eccezione alla regola.

La presenza degli stessi ammalati, ai quali sono stati dedicati quattro pomeriggi nel mese di settembre, è stata estremamente composta: doveroso spazio lasciato dai “sani” a chi per necessità fisiche non poteva sfilare, soffermarsi a pregare di fronte alla grande teca che conteneva, per chi crede a una certa tradizione, la reliquia; per altri un reperto archeologico, e indubbiamente simbolico, di grande interesse. Di una fede la quale non disdice la ragione era pure testimonianza una eccellente mostra didattica, di “prelettura” della Sindone e l’annunciato, e poi avutosi, convegno scientifico.

Il lancio turistico. Anche qui, se solo si è onesti, non c’è stato un opportunistico “compromesso storico”, ma l’accoglienza da parte laica di un modo di vivere e confrontarsi con i cattolici e la religiosità secondo schemi culturali e politici, grazie al cielo o a chissachì, non più, e finalmente, improntati all’anticlericalismo (e al conseguente clericalismo) ottocentesco. Che l’amministrazione comunale, e quella provinciale e regionale, abbiano approntato strutture specifiche (dalle indicazioni stradali ai luoghi di ristoro), abbiano, tanto per fare alcuni esempi, ripulito palazzi storici e monumenti, oltre a riaprire il museo della Montagna, risistemare parzialmente il museo Egizio (comunque lavori questi che andavano fatti) ci sembra corretto. Il tutto, fatte le debite proporzioni (e tenendo conto delle proporzioni in quanto tali), non è difforme da quando si riassetta la casa perché si attendono ospiti. Inoltre comune, provincia e regione hanno preso il destro dell’occasione, non soltanto per proporre manifestazioni collaterali giustificare dall’avvenimento (per esempio, un ciclo di film dedicato alla figura di Cristo, alla cui visione hanno partecipato oltre ai pellegrini e agli spettatori comuni, studenti di cinema e cinephiles) ma hanno dato vita a una iniziativa di lato livello come il “Settembre musicale”, il quale ha avuto incidenza di pubblico, proprio torinese, inatteso.

Da questo quadro, ancora succintamente tratteggiato, si può constatare che semmai altri sono i discorsi da fare e non quelli di supposte denunce, le quali in realtà non denunciano che gli stantii stereotipi di chi le propone. La presenza dei cattolici nella società civile italiana sta mutando. In questo caso, quale sia il giudizio su questo mutamente, è una informazione e un giudizio su un fenomeno, che ci deve essere ridato dal giornalismo, anche per immagini. In una società dello spettacolo come è la nostra, proporre un fotogiornalismo che non sia spettacolo, ma informazione, non è facile. L’episodio della Sindone ci sembra riveli un fatto: quanto il fotogiornalismo (il giornalismo) manchi sul piano della descrizione, e quindi dell’informazione, che non sia cronachistica, enfatica e alla fine dei conti caricaturale. Il nodo da sciogliere è complesso, non risolvibile con il saggio-elzeviro letterario, sociologico, di costume e con una o più foto d’autore.

C’è una società che muta, deve mutare anche il giornalismo se non vuole perdere le sue principali funzioni che sono di stimolo e di critica (che alla resa dei conti è il fine dell’informazione). A Torino, dal 27 agosto all’8 ottobre 1978 qualcosa è successo, ma nessuno fino ad oggi in maniera appropriata ne ha scritto sulla stampa o fatto vedere, al di là della cronaca, seppure onesta, come è il caso, ma guarda un po’, del settimanale diocesano torinese “La Voce del Popolo”».

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