Julian Assange è stato arrestato, Notre-Dame brucia e anch’io non mi sento molto bene. La lunga assenza è dovuta a una specie di collasso nervoso, anche se ufficialmente ero in vacanza, così come ora ufficialmente farò finta di parlare di notizie dal mondo e non dei miei problemi.
Per il camerata Assange mi spiace molto, soprattutto per come è stato ridotto dalla cricca sinistroide che gestisce i media da simbolo del giornalismo indipendente a una sorta di “hacker russo”, nonché filibustiere e stupratore (per la nota accusa di aver fatto sesso consenziente ma senza preservativo). Il suo arresto in fondo non ha impressionato nessuno, non solo perché Wikileaks era caduta in disgrazia dopo aver toccato gli intoccabili (Hillary Clinton in testa), ma anche perché, forse proprio per l’estemporanea popolarità, Assange non è mai piaciuto nemmeno al suo pubblico d’elezione, quello complottista, che lo ha sempre tacciato di collusioni e omissioni. In ogni caso, personalmente non credo affatto all’idea di giornalismo indipendente né confido negli idoli che gli scribacchini si fanno e disfanno: al di là di ciò. riconosco però a Wikileaks diversi meriti dal punto di vista archivistico, per avere ad esempio trasformato i Kissinger Cables e i Carter Cables decresetati in un database agilmente consultabile. Da una tale mole di materiale così organizzata, uno storico dilettante avrebbe potuto trarre ispirazioni per un numero infinito di tomi: al contrario, nelle bibliografie il sito creato da Assange praticamente non compare mai, se non appunto in veste di “perturbatore”.
Notre-Dame invece è un capitolo a parte: vedendo le immagini della cattedrale a fuoco mi è tornata subito alla mente quella celebre citazione di Nietzsche alla notizia dell’incendio delle Tuileries sotto la Comune,
«Quando venni a sapere dell’incendio di Parigi, per alcuni giorni mi sentii completamente annientato, e mi scioglievo in lacrime e dubbi: tutta la vita scientifica, filosofica e artistica mi apparve un’assurdità, dal momento che basta un solo giorno per spazzar via le supreme meraviglie, anzi interi periodi dell’arte; e mi aggrappai con seria convinzione al valore metafisico dell’arte, che non può esistere per la povera gente, bensì ha da compiere ben più alte missioni. Ma nonostante il mio immenso dolore, non me la sentivo di scagliare anche solo una pietra su quei profanatori i quali, per me, non erano che i portatori della colpa universale, sulla quale molto c’è da meditare!…».
La “colpa universale” in questo caso è solo locale, cioè nazionale, di una Francia perpetuamente in lutto per se stessa (come disse quel famoso scrittore o giornalista), il Paese dei gilet gialli e di Paupaul, il cittadino medio che vorrebbe bruciare tutto. Non dimentichiamo, a proposito dell’arte che non può esistere per la povera gente, che i manifestanti durante uno dei weekend di protesta tentarono di dar fuoco alla Galleria d’arte contemporanea del Jeu de Paume. Un vandalismo comunque di stampo molto diverso, quasi opposto, rispetto a quello che sta letteralmente facendo a pezzi il patrimonio artistico transalpino: un mese prima dell’incendio a Notre-Dame, erano state deturpate e dissacrate almeno una decina di chiese per tutto il Paese e un altro importante edificio religioso parigino, Saint-Sulpice, aveva preso fuoco a quanto pare non in modo accidentale. Facendo risalire il conto solo all’anno scorso, abbiamo un totale di 875 chiese vandalizzate per motivi su cui la stampa è decisamente parca di particolari. Viene il sospetto che il sentiment degli anonimi profanatori sia lo stesso di quelli che auspicano una ricostruzione più “inclusiva” di Notre-Dame, in modo che possa accogliere i credenti di tutte le religioni (oltre che atei e bestemmiatori, penso). Come nota lo “Spectator” (Keep the modernists away from the Notre-Dame restoration, 20 aprile 2019),
«A nessuno verrebbe in mente di suggerire che la Mecca o il Tempio d’Oro dovrebbero abbandonare le loro caratteristiche islamiche e sikh per accogliere persone di diverse fedi, ma ai cattolici e ai francesi viene chiesto di rimodellare qualsiasi cosa esprima le proprie credenze e la propria tradizione».
Ad ogni modo, l’unico “complotto” di cui si può discutere in tal caso è quello governativo: il patrimonio artistico, monumentale e architettonico tradizionale viene lasciato decadere tra incuria e taglio di fondi. L’unica pensata di Macron è stata quella di mettere in vendita dei gratta e vinci per contribuire a raccattare un po’ di risorse. E lo chiamano ancora il “Mozart della finanza”.
Venendo alla Pasqua di sangue dello Sri Lanka, le divisioni etnico-religiose dell’isola a livello storico sono disposte orizzontalmente e verticalmente, nel senso che la presenza dei cattolici è sì una eredità del colonialismo portoghese, ma a diffonderlo nei secoli successivi contribuì anche la persecuzione a cui vennero sottoposti i credenti sotto i nuovi conquistatori olandesi. Poi ci sono i tamil, “importati” dagli inglesi per garantire che a Londra il tè venisse servito alle cinque del pomeriggio. Ci sono i pacifici buddhisti (70% della popolazione), che all’ultima Domenica delle Palme hanno assaltato una chiesa metodista. E infine i cari fratelli islamici, che essendo il 10% hanno deciso di prendersela con la minoranza più in basso di loro, i cattolici (6%). Nella situazione politico-religiosa attuale, dove un Pontefice sta smantellando rimodellando il cattolicesimo in nome di non si sa bene cosa, e dove, nel caso dell’Asia, i cristiani sono perseguitati più o meno da tutti i governi (secolari ma conservatori: vedi India, Birmania, Bangladesh, Indonesia), non è chiaro quale auspicio formulare: se il Vaticano continua a imporre il “dialogo” ormai senza alcun criterio né scopo, forse è il caso di confidare nel puro e semplice giurisdizionalismo (magari non di stampo cinese, sempre per rimanere in tema d’Oriente).