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Arrivano i dazi di Donald Trump: gli americani non mangeranno più gabagool!

FULL: Major Trump announcement on worldwide tariffs

Donald Trump ha appena concluso il suo discorso del 2 aprile 2025, un proclama di quasi un’ora che a suo parere passerà alla storia come “Dichiarazione di indipendenza economica”, in virtù della quale l’industria americana rinascerà più bella e più superba che pria.

Partiamo da un fatto: è inutile che gli altri Paesi facciano la voce grossa, perché la strategia di Trump è obiettivamente onesta, dato che l’imposizione dei dazi si basa su un paradigma di specularità/reciprocità. Piuttosto pacifica anche l’introduzione di una tariffa del 25% su tutte le automobili di fabbricazione estera, misura anticipata e sostenuta dal sindacato United Auto Workers (UAW). Il Presidente in ogni caso ha usato un criterio piuttosto mite, circa la metà dei dazi imposti dagli altri Paesi agli Stati Uniti (per esempio, il 34% alla Cina contro il 67%; il 20% all’Ue contro il loro 39%; il 46% al Vietnam contro il 90%, e così via per Taiwan, Giappone, India e Sud Africa, mentre per Regno Unito e Brasile la risposta è simmetrica, 10% ad entrambi, che è poi la cifra atta a indicare la “tariffa minima”).

Trump ha ricordato che gli Stati Uniti dal 1789 al 1913 hanno costruito la propria prosperità sui dazi, e che allo stato attuale è necessario occuparsi immediatamente di ricostruire la propria base industriale piuttosto che “sostenere i deficit di altri paesi” tramite una politica di “resa economica unilaterale”. Ora il tycoon vuole che le multinazionali tornino a investire in America e contribuiscano al rilancio economico, del quale a suo dire il popolo statunitense aveva già avuto un assaggio con le sue precedenti politiche commerciali (NAFTA, Cina, Partenariato Trans-Pacifico), godendo in cambio di un tessuto produttivo all’avanguardia e dei “più grandi tagli fiscali nella storia americana”.

L’obiettivo sulla lunga distanza è di tornare produrre in America, tra le altre cose, auto, aerei, navi, chip e medicinali. In Italia invece stiamo parlando, letteralmente, di prosciutto e formaggio, cioè di quei prodotti che, secondo il “Corriere” di oggi (nel solito pezzo involontariamente comico della Gabanelli), ci avrebbero trasformati in una “superpotenza” (del gabagool?): ma tutta questa mania del cibo “griffato” DOP e IGP vale a malapena per spedire qualche mozzarella o vinello nei territori dell’Unione, mentre gli americani nonché il resto del mondo si affidano volentieri al cosiddetto italian sounding.

Cioè, siamo solo noi che stiamo parlando di cibo, cibo e solo cibo. E col tipico tono del “piangere sul latte versato” (per rimanere in tema). La globalizzazione era già finita indipendentemente da Trump, dunque se il nostro settore agroalimentare continuare a fondare la propria stabilità solo sulle esportazioni vuol dire che esso è destinato a diventare insostenibile nel giro di pochi anni.

Cos’altro ci rimane? Scartabellando i giornali, si nota la grande assente nel discorso pubblico italiano, l’industria automobilistica. In compenso, Milano piange per l’inevitabile flessione nell’export farmaceutico: per carità, è sempre un dramma soprattutto per chi è impiegato nel settore, ma non parliamo come se il capoluogo lombardo ospitasse la sede dell’EMA, la famigerata Agenzia Europea per i Medicinali che per i fratelli europei non siamo stati degni di ospitare. Noi non abbiamo nemmeno un colosso farmaceutico nazionale in grado di competere con Bayer, Novartis, Sanofi o AstraZeneca (per rimanere in ambito europeo), dunque di che stiamo parlando?

Per discutere di cose serie, da quel che si evince sembra che a rischiare molto più di noi sia la Slovacchia, il Paese che è stato trasformato in un santuario per il dumping salariale dai colossi dell’automotive europeo: forse gli slovacchi avrebbero più diritto a lamentarsi, ma non è che possono farsi difendere da Berlino nel momento in cui l’intera Unione non ha praticamente alcuno strumento economico (e tanto meno politico) per minacciare Washington.

Io non sono di quelli che stigmatizzano l’Italia continuamente nella tipica espressione di ottusissimo auto-odio, tuttavia l’idea che una nostra eventuale “rappresaglia” sia solamente rappresentata dal fatto che l’americano medio mangerà più parmesan (come del resto fa da sempre) e meno Parmigiano DOP-IPG-GPPP-SUPER è indice di un Paese davvero allo sbando, che purtroppo a questo punto meriterebbe davvero di andare a gambe all’aria.

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