Ha generato ilarità il video in cui il proprietario della Realbotix presentando la sua ultima creazione, un robot con le fattezze di una bionda in perfetta forma (chiamato -allusivamente?- “Aria”), cerca di far capire in tutti i modi all’intervistatore che la macchina non è stata programmata per fare i mestieri di casa ma per “creare un legame genuino con l’umano” ed essere “come una fidanzata”:
O God…
I think we can all see where this is going… 🤦🏼♂️ pic.twitter.com/tBbO3lXvyw
— RŌNIN (@ronin21btc) January 9, 2025
Questo è il momento in cui entrambi gli interlocutori sono finalmente riusciti a sintonizzarsi sulla stessa lunghezza d’onda:
E questo è in generale l’aspetto di questi nuovi robots “da compagnia”.
Sulla questione “sesso con i robot” negli ultimi vent’anni sono stati scritti davvero troppi volumi: se proprio tenete ad avere un panorama delle posizioni al riguardo, da una parte potete rifarvi a Love and Sex with Robots di David Levy del 2007 (mai tradotto in Italia probabilmente perché, nonostante la degenerazione imperante, argomenti come questo devono rimanere tabù) e dall’altra al volume del filosofo Maurizio Balistreri (giusto per non citare sempre gli americani), Sex robot. L’amore al tempo delle macchine, uscito per Fandango nel 2019.
Il libro di Levy è all’insegna dell’ottimismo, e nonostante all’epoca gli esemplari più avanzati di sexbot fossero ancora le bambole in plastica della RealDoll, l’Autore è perfettamente in grado di prevedere le evoluzioni tecnologiche nel campo e confidare nel fatto che l’umanità riuscirà benissimo a gestire “relazioni sentimentali” con le macchine.
Un professore italiano, ovviamente, deve avere un approccio diverso, perché bene o male siam fatti così: certo è comprensibile che di fronte al filoneismo d’oltreoceano si tenti di essere riflessivi e critici, ma un intellettuale non può sempre ridursi, senza offesa, al ruolo di vecchia zia bigotta.
Mi pare che Balistreri tenti di affrontare il tema senza perdersi in ghirigori femministi, sociologizzanti e pseudo-marxisti, tuttavia, per esempio, dare troppo attenzione ai fatidici “stereotipi di genere” potrebbe risultare ridicolo. I sexbot attualmente in commercio riproducono, infatti, perlopiù prototipi di esseri femminili passivi, sottomessi e sempre disponibili al sesso. Sì, beh, stiamo parlando di creazioni di imprese commerciali che devono presentare un prodotto appetibile al maggior numero di utenti possibile, e del resto il fatto che degli OGGETTI SESSUALI promuovano “l’immagine della donna come di un oggetto sessuale“ è piuttosto inevitabile.
A parte che certi discorsi sono sempre a senso unico, ché altrimenti ci si indignerebbe per il modo in cui i feticci sessuali per donne sole riducano i maschi a ciò che hanno in mezzo alle gambe, ad ogni modo è proprio l’argomento in sé che dovrebbe far sentire in imbarazzo le “vecchie zie”, perché anche nel migliore dei casi ci fosse un’azienda interessata a produrre solo robot femministi con i cappelli azzurri-viola in sovrappeso e che decidono loro quando fare sesso (ed eventualmente in quali “modalità”), staremmo sempre e comunque discutendo di una macchina che è stata acquistata in quanto macchina.
Balistreri sembra abbastanza consapevole di tali risvolti (come del fatto che se i sexbot comportassero una presunta “normalizzazione della violenza e del controllo”, sarebbe ipocrita proporre una censura solo contro di essi e non, per esempio, su musica o videogiochi), perciò alla fin fine si può dire che la sua disanima giunga ad approvare nemmeno troppo timidamente il fenomeno, anche se non può fare a meno di ridurne l’accettazione sempre in una prospettiva “politicamente corretta”, pensando a quanto giovamento possano trarne donne, anziani, disabili o generalmente gli individui con problemi relazionali.
Quando parlavo di “vecchie zie”, in verità mi riferivo proprio a questo: il rifiuto o l’accettazione dei sexbot si basa esattamente sugli stessi paradigmi che vogliono il sesso come un elemento in sé positivo, legato esclusivamente al piacere e quasi una sorta di “assoluto” che si eleva sulla storia e sulle circostanze. Uno quindi può accettare il robot sessuale o respingerlo praticamente in base a una medesima prospettiva.
Per questo, non esiste uno studioso (nemmeno chi simula un approccio “spregiudicato”) che si azzardi a discutere, per esempio, di conseguenze demografiche, di tenuta della stabilità sociale o anche di moralità in senso tradizionale, e non solo in termini di “consenso” o “parità di genere” o altre amenità. La questione dei sexbot probabilmente riguarda tutto tranne che il sesso, tanto è vero che il discorso che predomina è perlopiù quello “terapeutico” lato sensu, costretto ambiguamente a ridurre il sesso a un “diritto” ma solo per chi si trova in una posizione subalterna dal punto di vista sanitario, sociale, psicologico o che altro.
Ti giuro che non ti dimenticherò mai Fry… Memoria cancellata.
L’analisi più lucida della questione è stata fatta da Futurama nell’episodio in cui Fry si innamora della versione robotica di Lucy Liu
State attenti ai catto-comunisti e alle femministe radicali.
Rompono sempre le scatole.
Ma visto ormai la nuova onda “New wave” destroide in giro al momento credo verranno poco ascoltati.
Sembra Patty Pravo negli anni 70 all’uscita del Piper… quindi per me è un SIIII!!!!