Assad sconfitto da lesbiche, pagliacci e tagliagole

La guerra civile siriana fu inaugurata da una fake news, ai tempi in cui l’espressione nemmeno veniva usata. Mi riferisco alla notizia riportata in prima pagina, tra gli altri, dal “Corriere” di una blogger lesbica rapita dagli sgherri di Assad (Sequestrata la blogger Amina attivista gay e dissidente,8 giugno 2011). Dopo qualche giorno emerse che l’attivista era in realtà una… coppia di americani residenti in Scozia, Tom MacMaster e Britta Froelicher, che si erano inventati quella storia per una sorta di art project.

O almeno così avevano fatto intendere alla stampa, nonostante le circostanze facessero pensare a una “operazione sporca” dell’esercito americano, nota come Metal Gear, lanciata all’epoca dall’amministrazione Obama attraverso la creazione di bot per influenzare l’opinione pubblica nazionale e mondiale.

Negli stessi gironi infatti saltò fuori che la stessa piattaforma di “lesbismo militante” che rilanciava le battaglie dell’inesistente Amina era gestita da un pensionato sessantenne dell’Ohio, “ex pilota dell’Aviazione Usa ed ex carpentiere, che ha ammesso di avere usato l’identità della moglie per dare vita al sito, lanciato nel 2008″.

Dopo qualche mese uscì sui giornali la storia di Ibrahim Qashoush, un altro attivista (questa volta poeta) autore dell’inno anti-Assad Yalla Erhal Ya Bashar (“Forza Bashar, vattene”).

Qualche giorno dopo aver composto ed eseguito il pezzo in pubblico i giornali riportarono che il poeta era stato brutalmente ucciso dagli squadroni della morte di Assad (i famigerati shabiha), che gli avevano pure tagliato la gola e asportato le corde vocali come ultimo sfregio.

Bene, dopo qualche anno emerse che nemmeno questa storia era vera. Come sostiene la stessa Wikipedia (indicando come fonte un articolo di GQ),

«Il creatore del pezzo non era Qashoush ma un certo Abdul Rahman Farhood, già all’epoca fuggito dalla Siria verso l’Europa. Qashoush era invece una guardia di sicurezza uccisa dai ribelli come presunto informatore del regime, e i ribelli avevano fatto pressioni sulla sua famiglia dopo che Qashoush era stato identificato come autore della canzone».

Esistono centinaia di storie di questo tipo, confezionate nell’ultimo decennio all’Osservatorio siriano per i diritti umani. Per esempio, c’è quella del “clown di Aleppo”, un ventiquattrenne che si vestiva da pagliaccio per far divertire i bambini siriani e che sarebbe morto in un bombardamento nel novembre 2016, ma sulla cui esistenza in verità non esiste alcuna informazione attendibile (eppure se n’è parlato per anni).

Oppure, la “bambina siriana di 7 anni” Bana al-Abed, il cui account è naturalmente gestito dalla madre (come notava il New Yorker in un articolo peraltro a favore, “le dichiarazioni della piccola sembrano seguire una sceneggiatura, come se fosse istruita da sua madre per comunicare i suoi pensieri in una lingua, l’inglese, che ha appena iniziato a imparare“) e alla quale erano state fatte scrivere cose del tipo “Meglio iniziare la Terza guerra mondiale piuttosto che lasciare che la Russia e Assad commettano un olocausto ad Aleppo“.

Infine, mi piace ricordare il dottor Hamza Al Kateab, attivista “ribelle” legato agli elmetti bianchi (ricordate?), protagonista del documentario pluripremiato Alla mia piccola Sama (girato dalla consorte Waad Al-Kateab) che si faceva fotografare con il tagliagole Maayouf Abu Bahr della fazione Harakat Nour al-Din al-Zenki.

Il 19 luglio 2016, durante l’offensiva di Aleppo, i combattenti dell’al-Zenki si ripresero mentre sgozzavano un bambino palestinese di nome Abdullah Issa, sostenendo che avesse combattuto per le forze governative ad Aleppo con il gruppo Liwa al-Quds, il quale invece sosteneva che il bambino provenisse da una famiglia di rifugiati e che fosse stato rapito da un ospedale.

Questo è quanto: i grandi campioni della resistenza siriana. o non esistono, o sono spietati assassini le cui imprese fanno impallidire il famigerato “regime” di Assad.

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