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Bacha Bazi a Brooklyn: anche in Occidente abbiamo iniziato a far vestire i ragazzini da donna

In seguito all’ormai ventennale occupazione dell’Afghanistan da parte occidentale, la stampa internazionale, seppur a intermittenza, ha iniziato a indirizzare i riflettori sulla disgustosa pratica del bacha bazi, una forma di prostituzione minorile maschile che nello Stato dell’Asia Centrale è praticata da secoli, in alcuni settori della società accettata socialmente e talvolta giustificata in base alla tradizione.

La pratica è in particolare divenuta nota alle opinioni pubbliche occidentali attraverso il best-seller Il cacciatore di aquiloni di Khaled Hosseini, dove il nipote del protagonista è costretto a diventare uno schiavo sessuale di un talebano, il quale aveva a sua volta violentato il padre del ragazzo.

Nel 2010 il documentario The Dancing Boys of Afghanistan di Najibullah Quraishi ha contribuito  a far emergere la pericolosa complicità tra le forze di occupazione e i “signori della guerra” alleati della NATO, i quali dopo la sconfitta dei talebani si sono sentiti liberi di tornare a gareggiare su chi avesse predato più prostituti pubescenti: uno di essi, un ex comandante mujaheddin che ha combattuto contro i sovietici, devoto musulmano, sposato e con 2 figli, ammette di aver fatto sesso con migliaia di ragazzini e vanta anche una protezione speciale da parte delle forze dell’ordine afghane.

Sfortunatamente non solo l’invasione americana non è servita in alcun modo a interrompere il bacha bazi, ma anzi in certi casi essa ne ha indirettamente favorito il ritorno in auge. Per esempio, nel 2015 il New York Times riportò la testimonianza di un caporale dei Marines, Greg Buckley Jr.: “Di notte sentiamo i ragazzini urlare, ma non ci è permesso intervenire”. I soldati americani sono obbligati a voltarsi dall’altra parte di fronte ai reati di pedofilia commessi dagli ufficiali della polizia e dell’esercito afghano: “L’ordine è di non interferire in un fenomeno che, seppur odioso, è radicato nella cultura locale, soprattutto tra gli uomini di potere”.

Il fatto più grave è che “la regola valeva anche quando gli ufficiali afghani portavano i bambini nelle basi americane”. Per la sua opposizione intransigente al bacha bazi, il caporale Buckley (cattolico newyorchese) venne assassinato il 10 agosto 2012 assieme ad altri due marines in una base militare nel Sud del Paese, da un giovane afghano che faceva parte di un gruppo di “servitori di tè” (schiavi sessuali) al seguito di un comandante della polizia.

Abbiamo portato al potere gente peggiore dei talebani: questo mi continuavano a ripetere gli anziani del villaggio”, ricorda Dan Quinn, ex comandante nella provincia di Kunduz, cacciato dalle forze armate per aver aggredito un comandante afghano, Abdul Rahman, che teneva un ragazzino incatenato al letto del suo alloggio.

Una recente inchiesta di Russia Today mostra come in Afghanistan nulla sia cambiato e che il reclutamento di ragazzini per le strade prosegue indisturbato. Nel filmato si vedono musulmani in abiti tradizionali che parlano tranquillamente di quanto siano eccitati dai ragazzini e di come gli piaccia truccarli per il ballo, baciarli e poi violentarli. “Non è facile per la polizia prenderci. Siamo tutti uomini, nessuno può capire se c’è qualche prostituto qui”. Durante i  “festini”, come nel documentario di Quraishi, si beve un sacco di Coca Cola

Ora, da una “guerra umanitaria” ci si aspettava almeno che ponesse fine a un sistema endemico di sfruttamento della prostituzione minorile. Come a dire: non vi abbiamo dato la libertà, le elezioni, le strade asfaltate o il cibo, ma almeno abbiamo interrotto un ciclo di violenze che andava avanti da secoli. Invece no, gli afghani non hanno ottenuto nemmeno questo.

Ancora peggio, per “contraccolpo” (o contrappasso), sembra quasi che le società occidentali abbiano iniziato ad accettare la pratica del bacha bazi inglobandola nel più ampio ventaglio dell’attivismo LGBT, nonostante le fazioni dell’acronimo si indignino ogni qualvolta venga evocata la “pedofilia”, pratica sessuale ampiamente accetta dall’ambiente prima della ripulitura di inizio anni ’90.

Un esempio è Desmond Napoles, ragazzino americano nato nel 2007 che dall’età di 11 anni si esibisce come drag queen nei locali di striptease per omosessuali. Il bambino si definisce grande sostenitore della comunità LGBT e la stampa naturalmente celebra la sua intraprendenza mostrandolo in atteggiamenti provocatori e allusivi. Con il successo mediatico sono giunte centinaia di denunce ai genitori, ma i servizi sociali americani finora “non hanno riscontrato violazioni” (anche alla luce dei sospetti che al bambino vengano anche fatti assumere stupefacenti).

La stampa conservatrice ha esplicitamente definito il ragazzo The Bacha Of Brooklyn e così ne ha parlato la rivista “American Conservative”:

“La drag queen superstar di undici anni che si fa chiamare Desmond Is Amazing si è esibita sul palco di un bar gay di Brooklyn, mentre gli avventori gli lanciavano dollari come a una spogliarellista. […] Secondo la legge dello Stato di New York, un minore può essere in un bar se accompagnato da un genitore o tutore. I genitori di Desmond erano probabilmente lì con lui, permettendo al loro bambino di esibirsi in un locale per uomini che desiderano uomini. Andrew e Wendy Napoles sono stati partner a pieno titolo nello sfruttamento del loro bambino e hanno ricevuto molti elogi da parte dei media per il loro atteggiamento progressista”. 

Fa specie questa coincidenza di usanze sessuali tra una delle società più conservatrici al mondo (donne coperte da capo ai piedi, gogna pubblica per gli appartenenti ai due sessi che si frequentano al di fuori del matrimonio, separazione dei luoghi pubblici e privati in base al genere) e una delle più libertine. La spiegazione più semplice, che emerge anche dai documentario di cui sopra, è che in Afghanistan le donne sono come fantasmi e dunque gli uomini si “arrangiano”, quasi come in una versione pornografica e violenta del teatro elisabettiano tra pastori e mullah.

Uno dei “papponi” del bacha bazi tuttavia invece sostiene che “gli afghani preferiscono i ragazzini”, dunque sembra quasi ribaltare il rapporto tra causa ed effetto: non è il burqa ad aver portato alla pedofilia di massa, ma la “tendenza innata” (culturale? etnica?) da parte di quel popolo di prediligere gli imberbi.

Non si può in effetti negare che la rimozione completa del femminile, se non del femminino, possa costringere una collettività a riproporlo in queste maniere distorte e inaccettabili. Bisognerebbe però domandarsi quali siano i veri fattori che stanno facendo emergere in due società all’apparenza opposte una comune pratica tabù per entrambe. La risposta forse sta nel fatto che sia in Occidente che in Asia Centrale si assiste a una medesima forzatura del “normale” rapporto con i sessi, dove con “normale” si intende corrispondente ai naturali istinti della specie opportunamente mediati dalla cultura. Ed ecco perché si arriva ad accettare l’inaccettabile, nonostante il disgusto per tali pratiche vari a seconda della latitudine.

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