Bergoglio, il Papa di Putin?

Ora che Papa Francesco è stato sepolto, si possono valutare in retrospettiva alcune caratteristiche del suo pontificato, senza ovviamente voler mancare di rispetto né tanto meno “maramaldeggiare”. L’incredibile esposizione mediatica di cui ha goduto, che in verità è la stessa di cui i pontefici degli ultimi decenni hanno potuto “godere” ma solo in senso metaforico (avendo semmai subito una demonizzazione, e parlo di un Paolo VI così come di un Benedetto XVI), ha portato a un indebito fiorire di dichiarazioni, “a braccio” o meno, che se non fosse stato per l’aura che le parrocchiette liberali hanno costruito attorno a Bergoglio sin dal principio del suo magistero, gli avrebbero ben meritato l’ostracizzazione.

Non voglio star qui a ricapitolare tutte le affermazioni di Francesco che, dalla prospettiva delle gazzette, potrebbero essere definite “filoputiniane”: certo fa specie che nessun foglio le abbia raccolte in un paginone (anche dopo il trapasso del Pontefice), considerando che la stessa operazione è stata fatta sia per i fanti che per i santi.

Il primo problema è che molti “espertoni” di Vaticano hanno per anni voluto teorizzare il paradigma che chi è critico verso Francesco sarebbe automaticamente da considerare un adoratore di Putin, e viceversa, giusto per citare un icastico titolo de “La Stampa” del tempo che fu.

In quel caso, il vaticanista del quotidiano torinese riportava le dichiarazioni di un sociologo noto nell’ambito conservatore italiano, il quale senza uno straccio di prova sosteneva perentoriamente che “con il dissenso anti-Francesco collaborano fondazioni russe legatissime a Putin“.

Già all’epoca il “teorema accusatorio” faceva acqua da tutte le parti, considerando l’impostazione anti-americana di Bergoglio, che in particolare nei confronti del conflitto in Siria (e in Iraq) si traduceva in un elogio indiretto del Presidente russo come difensore delle comunità cristiane in Medio Oriente.

Non a caso, è stata la stessa “Stampa” ad aver pubblicato nel marzo 2024 un duro intervento del benedettino polacco Paweł Gużyński (Bergoglio idealizza la Russia di Putin), che riprende tutti i malumori del clero varsovino repressi in questi anni, peraltro sorti ben prima che scoppiasse il conflitto in Ucraina.

Per dire, padre Gużyński ha sostenuto che nel momento in cui Bergoglio si è rivelato come un “vescovo sudamericano”, egli (testualmente) per la prima volta nella sua vita ha sentito la mancanza di Giovanni Paolo II. Tra i numerosi -e azzardati- rilievi, il polacco ha rinfacciato a Bergoglio di “rifiutarsi totalmente di essere il Papa della Nato e degli Stati occidentali“, per poi aggiungere subito dopo che “I polacchi ricordano che Papa Gregorio XVI condannò l’insurrezione polacca contro la Russia del 1830“.

Posto che stiamo parlando di questioni ormai sepolte con lo stesso Francesco (giusto per dire, Trump e Zelenskij hanno discusso in San Pietro seduti su due siede praticamente durante i funerali del pontefice senza che nessuno avesse nulla da ridire, nemmeno per la natura blasfemissima e per niente “simbolica” dell’atto), bisognerebbe dare qualche lezione, oltre che di teologia, anche di storia, al buon Gużyński, perché nell’enciclica Cum primum del 1832 con cui Gregorio XVI condannava la famigerata “rivolta cadetta” di polacchi e lituani, egli proclamava che “l’obbedienza, dovuta dagli uomini ai poteri voluti da Dio, è un precetto a cui nessuno può sottrarsi”.

Insomma, per farla breve, se all’epoca per i polacchi Gregorio XVI non poteva essere il “Papa di Metternich”, oggi invece egli dovrebbe essere il “Papa della Nato”. Paradossalmente, se nella prima metà del XIX secolo i riottosi varsovini avessero avuto un Bergoglio d’antan che avesse proclamato che “[Nell’Est Europa] ci sono interessi imperiali, non solo dell’impero russo, ma degli imperi di altre parti” (dichiarazioni testuali alla Radiotelevisione Svizzera), e non il “Cappellano d’Occidente” che invocano ora, forse avrebbero avuto più possibilità di ottenere “in tempi non sospetti” la loro benedetta indipendenza.

Lasciamo però perdere la politica, e veniamo alla questione fondamentale per cui le famigerate “fondazioni russe legatissime a Putin“, anche qualora Papa Francesco avesse stramaledetto il Cremlino per il suo intervento in Ucraina, si sarebbero comunque premurate di promuovere l’immagine di Bergoglio a livello internazionale. Il motivo è tanto brutale quanto semplice: una parte del mondo ortodosso legata allo “Zar” ha da sempre guardato con simpatia all’autodemolizione messa in atto dalla Chiesa cattolica, proprio considerando le opportunità che essa potrebbe aprire nell’Europa Orientale. D’altro canto, abbiamo tutti presenti (polacchi o meno) il ruolo che ebbero i servizi sovietici nel favorire l’aperturismo vaticano (senza rivangare, ricordiamo solo il movimento Pax). Non si vede, sempre partecipando di questa dose di cinismo consentito, perché la Russia allo stato attuale avrebbe dovuto stigmatizzare un Papa “amico” da una prospettiva realista e non ideale (in fondo, l’eventuale “benedizione delle coppie gay” -o che altro- danneggerebbe solo i cattolici e gli ortodossi sarebbero nel caso tenuti solo ad accettare il depotenziamento obiettivo dell’autorità pietrina)

Dunque, volente o nolente, Papa Francesco è stato effettivamente il Papa di Putin, ma da una prospettiva meno politica di quanto non pensino i sempliciotti.

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