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Bestie, uomini, e ancora uomini

È una di quelle storie che ti capita di leggere mentre stai buttando via un vecchio giornale, e non puoi fare a meno di parlarne: La solitudine di Merlino, il lupo scampato al terremoto nelle Marche (“Corriere”, 3 giugno 2018). Un pezzo che, nonostante il taglio “zoocentrico”, riesce comunque a commuovere evocando il ricordo di quella tragedia non solo “materiale”, ma morale e spirituale, rappresentata dalla lunga stagione sismica che ha coinvolto il Centro Italia negli ultimi anni.

La vicenda del lupo scampato dal terremoto all’apparenza può sembrare uno di quei raccontini atti ad allungare la cronaca con un po’ di melassa: il cucciolo di due mesi denutrito e acciaccato salvato dal responsabile de Centro Faunistico del Parco Nazionale dei Monti Sibillini. Tuttavia c’è un elemento in più a rendere la scena meno scontata, cioè la chiamata in causa di quel responsabile, Massimo Dell’Orso. Un nome che purtroppo nella versione cartacea del “Corriere” viene continuamente storpiato (“Dell’Orto”, “Dall’Orto”), forse per quel perverso meccanismo che nega qualsiasi equivalenza nell’amore tra le creature e obbliga dunque gli “amanti degli animali” a odiare gli uomini (e viceversa).

Come ricorda il biologo del Parco Nazionale, il Dell’Orso era l’unico in grado di avvicinare quel lupo da lui stesso battezzato “Merlino”: «Merlino è molto timido, non si lascia avvicinare. Lo poteva fare soltanto Massimo, che però non ci provava mai per non alterare il suo comportamento selvatico». Il collega ne parla al passato perché Massimo Dell’Orso si è suicidato alla fine d’aprile, a 56 anni. Un “dettaglio” liquidato in poche righe dalla giornalista (che, sempre per il perverso meccanismo di cui sopra, ha consumato tutta la sua empatia per il lupacchiotto), ma che dice praticamente tutto su cosa è stato quel terremoto.

In una intervista al “Resto del Carlino”, la moglie di Massimo non ha avuto timore di fare nomi e cognomi, di mettere sotto accusa non soltanto una generica “burocrazia”, ma l’intera classe dirigente che l’ha gestita nei modi che purtroppo ricordiamo:

«Noi l’avevamo chiesta la Sae (soluzione abitativa d’emergenza), prima che uscisse la legge che comprendeva anche i bed and breakfast. Poi, quando sono appunto stati inseriti, ci è stato detto che dovevamo rinunciare alla Sae se volevamo chiedere la delocalizzazione delle nostre attività, che stavano a Vallinfante. E così abbiamo fatto. Ma pensavano che l’iter per la delocalizzazione fosse più veloce, invece ci siamo trovati in mezzo alla strada. […] Abbiamo cercato di andare per gradi, abbiamo anche scritto una lettera al commissario alla ricostruzione De Micheli, ma lei ha risposto sul tema alla Regione dicendo che le leggi sono quelle. Noi, semplicemente, avevamo chiesto la possibilità di stare nella casetta finché non fosse arrivato l’ok alla delocalizzazione. Ma siamo rimasti tagliati fuori. Abbiamo perso anche il Cas, il contributo di autonoma sistemazione. […] Noi non abbiamo scelto di rinunciare alla Sae, e questo va detto. Siamo stati costretti. Se fossimo stati nella casetta a Castelsantangelo, questo non sarebbe successo. Ce lo devono avere sulla coscienza, mio marito. […] Ci restava solo il piccolo contributo del centro faunistico dove lui lavorava, era anche responsabile dell’ecomuseo e faceva attività di ricerca faunistica. Ultimamente tornavamo in paese circa due volte a settimana a dare da mangiare al lupo Merlino. Ma il centro faunistico era tutto da sistemare. E lui aveva perso la speranza, aveva perso la fiducia. Si è visto come vanno le cose lassù. Pare che non ci sia proprio la volontà di far ripartire il territorio distrutto».

La vicenda è straziante ed è sintomatico che il “Corriere” sia riuscito a parlarne solo riducendola al “lupacchiotto solitario”. Se non altro, il giornale più importante d’Italia è finalmente riuscito a scrivere qualche riga su Dell’Orso: ma è una vergogna che davvero non si sia potuto “fare di più” per ricordarlo.

Non è solo responsabilità del mondo del’informazione (perlopiù composto da “camerieri” del potere): sono gli intellettuali ad aver completamente “disertato” su questa tragedia. Evidentemente in Italia non c’è più nessuno degno di definirsi come tale, essendo rimasta solo una massa di radical chic ritardati che si credono “scrittori”. La severità è necessaria, perché il caso di Dell’Orso non è isolato, anzi, personalmente mi ha subito richiamato alla mente quello del generale Guido Conti, anche lui suicida (a 58 anni) il 20 novembre 2017, altra vittima delle conseguenze di quel sisma.

Il paragone non deve sembrare fuori luogo, poiché è ovvio che le due storie, per quanto diverse, sono almeno accomunate da una “somiglianza di famiglia”. Il generale Conti, protagonista di storiche inchieste contro i colossi dell’energia, si è tolto la vita, almeno da quanto si apprende dalle lettere che ha lasciato, per il “rimorso” di non aver “fatto di più” riguardo all’hotel di Rigopiano: non che avesse alcuna responsabilità nella distruzione del celebre albergo di Farindola; semplicemente si sentiva in qualche modo responsabile. Come scrive nella lettera d’addio:

«Pur sapendo e realizzando che il mio scritto era ininfluente ai fini della pratica autorizzativa mi sono sempre posto la domanda: potevo fare di più? Nel senso: potevo prestare attenzione in indagini per mettere intoppi oppure ostacolare in qualche modo quella pratica? Probabilmente no, ma avrei potuto forse creare problemi, fastidi. Pur non conoscendo neppure un rischio valanghe, anche perché il Cta non ne notiziava neppure all’ufficio di Pescara, e ignorando la cosa del tutto, vivo con il cruccio. Potevo fare di più? Non lo so. Vivo con questa domanda».

Sarebbe scorretto strumentalizzare questa tragedia contro il sistema di potere che ha “sgovernato” l’Italia negli ultimi anni, se non fosse che il generale Conti nell’ottobre de 2016 scrisse una durissima lettera all’allora Presidente del Consiglio Matteo Renzi, stigmatizzando le sue pose da bulletto nei festeggiamenti per lo scioglimento del Corpo Forestale:

«Sig. Presidente del Consiglio,
NOI siamo il CORPO FORESTALE DELLO STATO,
Mio Padre era un Ispettore Generale del Corpo Forestale dello Stato. Ed ha dedicato 40 anni della propria vita al CFS. Trasmettendo a me nessuna ricchezza. Ma un testimone morale. Fatto di passione, rettitudine, amore per la natura e il Corpo che la difende. All’epoca ha rimboschito, piantato e fatto piantare milioni di alberi. Srotolava tutto contento progetti su progetti di rimboschimenti di montagne brulle e arse in ufficio e a casa sul tavolo in tinello. Resuscitandole a nuova vita. Ricordo l’energia e l’attenzione che poneva nel percorrere, ispezionare, consigliare, dettare, manco fosse roba Sua. Ma poi capii che lo era. Anche Sua. Nostra. Compresi lì, osservando, il concetto di Bene Comune. E di sacralità del lavoro. Migliaia gli operai impiegati nei cantieri a far buche in montagna. A rinverdire, sistemare, proteggere.
Ero ragazzino, e un giorno mentre eravamo nella faggeta di Val Fondillo in Abruzzo mi permisi di chiedergli come mai andava poco a messa. Avevo 10 anni. Stette un istante, mi guardò sorridendo che ancor mi pare di vederlo, poi serio aggiunse: “Io Nostro Signore lo incontro qui. Queste sono colonne, e guardò gli alberi, di una cattedrale talmente potente che mai nessun essere umano potrà edificare”. Si girò, e proseguì il collaudo di quel bosco. Come se niente fosse. Come se fosse normale, parlare così, ad un ragazzino di dieci anni. Io ho continuato, umilmente, a percorrere le Sue orme. In quello stesso bosco ideale.
Districandomi però non tra selve, ma tra leggi, indagini, intercettazioni, fascicoli, che parlano di traffici di rifiuti pericolosissimi, di acque avvelenate, di corruzioni e tanta tanta fatica, per il bene di tutti quei bimbi, di quegli uomini e donne, che lottano ogni giorno contro malattie nuove, Oncologiche le chiamano, senza sapere come l’abbiano contratte. Noi, Sig, Presidente, io e i miei soliti quattro gatti, crediamo di saperlo, come. Al sentire Ella, giorni fa decretare con animo lieto e, mi consenta, assoluta misconoscenza, lo scioglimento di una istituzione benemerita bisecolare e carica solo di DIGNITA’, abnegazione ed efficienza, mio Padre è morto due volte.
Ed insieme a lui decine di migliaia di uomini che nella nostra Missione, perché tale è lo spirito che ci anima, hanno creduto e credono. E questo non posso permetterlo. Senza battermi fino in fondo. Perché trionfino equilibrio e buon senso. Me lo chiedono la Sua memoria e la dignità di uomini e donne che hanno creduto e credono in quello che fanno. A volte fino al sacrificio della propria vita. Che fosse tra le fiamme o in conflitto a fuoco, a soccorrer sepolti tra le macerie o roteando spericolatamente sulle fiamme alte a bordo di mezzi aerei.
Rifletta, Sig. Presidente, unitamente magari a qualche Suo cattivo consigliere. Perché tra l’altro Ella sta tagliando l’unica fdp con il bilancio in pari. Che non costa nulla. E non ha debiti. Al contrario di infinite e voraci partecipate regionali e statali ad esempio, o dei tanti carrozzoni sacche di sperpero e sottopolitica. Noi non si fa questo mestiere per un piatto di lenticchie. Né viceversa per trenta denari.
Non si fa per speranza di chissà qual premio. Né per timor di punizioni. Si fa per INTIMO convincimento. Le cose buone non si gettano, soprattutto le poche rimaste. Si migliorano, si accudiscono e fortificano. A maggior lustro della Nazione, ed in amore e in difesa delle cose più belle e sacre del Creato. E dei fratelli Italiani.
Io e i miei collaboratori Le auguriamo tutti di cuore buon lavoro. E migliori consigli.
Viva il Corpo Forestale. Viva l’Italia».

Non si può far finta che questo suicidio non abbia anche un significato “politico”: prima o poi andrà posta la questione di quanto la soppressione della Forestale abbia influito sulle conseguenze del terremoto. Ci sono già esposti e ricorsi, ma essendo consapevoli di cosa sia la magistratura italiana, forse sarebbe necessario una maggiore attenzione da parte degli “addetti dell’informazione”, nonché di qualche intellettuale, se è rimasto: affinché si ponga un’argine a questo contagio della disperazione, che forse non è risolvibile solo per via elettorale.

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