Esiste ancora qualcuno in grado di resistere alla macabra tentazione di prevedere il luogo della prossima strage terroristica in Europa? In verità a farsi prendere dalla sindrome di Cassandra sono stati anche i media internazionali, che avevano paventato gli attentati di Bruxelles semplicemente ipotizzando che l’ipotetico “patto di non belligeranza” tra governo belga ed estremisti locali (e internazionali) fosse saltato.
Non si può però avere alcuna certezza sull’esistenza di tale accordo (anche soltanto in forma “ufficiosa”); esiste tuttavia un sospetto che qualcuno abbia tentato di garantire l’immunità alla capitale dell’Unione attraverso una sorveglianza “morbida” dei propri jihadisti. Una prova indiretta di ciò potrebbe essere rappresentata dalla reazione dei simpatici abitanti di Molenbeek, che credendo di vivere ancora in una roccaforte hanno aggredito la polizia per difendere il proprio “paladino” (un kamikaze riluttante).
Altrettanto sospetto è il fatto che l’operazione sia stata gestita con strumenti ordinari (come la polizia federale), ma probabilmente si tratta solo di un sintomo dell’incapacità di affrontare la situazione da parte di chi ci governa. Un pericolo che in effetti non viene nemmeno avvertito è che l’equiparazione fra terrorismo e crimine comune potrebbe portarci direttamente a uno stato di polizia, dal momento che l’ordinaria amministrazione assumerebbe i caratteri dell’eccezionalità (sembra che in Francia stia accadendo proprio questo).
Cerchiamo però di non esagerare con le recriminazioni, perché si rischia di fare la figura degli sciacalli. Del resto provo grande imbarazzo per coloro i quali, dopo aver approfittato senza ritegno della morte in un incidente stradale di sette studentesse italiane per proclamare il proprio europeismo d’accatto, hanno provveduto all’istante a dirottare gli intenti propagandistici sulla nuova tragedia, evidentemente più “spettacolare”.
Ormai qualsiasi occasione è buona per invocare il fatidico “Più Europa”: eppure credo che insistere in modo eccessivo sul terrore, il dolore e la paura (cioè promettere “sangue, sudore e lacrime” senza essere dei Churchill) sia una strategia poco lungimirante, tanto più che ormai essa è completamente slegata dalla realtà.
Ricordo, ad esempio, quando la Scozia indisse il referendum per la secessione e il nostro più importante quotidiano mise sul tavolo la “minaccia dell’Isis” come uno dei motivi principali per opporsi all’indipendenza del Paese. Ciò mi fa supporre che se in quel di Bruxelles fosse precipitato un meteorite, probabilmente ci saremmo trovati di fronte alle stesse reazioni (e gli stessi discorsi): sembra che per le divinità che ci comandano l’unica cosa importante sia che il sangue continui a scorrere, non importa in che modo.
La paura di morire salendo su un autobus è dunque diventato l’unico motivo per cui dovremmo aspirare a essere “più europei”? E questo, si badi bene, senza nemmeno trovarci in guerra: esiste un destino più ridicolo per una collettività umana?
Il problema infatti è proprio questo: che noi non siamo in guerra (nonostante presidenti, papi e pubblicisti si ostinino a proclamare il contrario). A tal proposito mi sovviene una considerazione beffarda che negli ultimi tempi ho sentito esprimere a molti miei concittadini: se dei terroristi decidessero di fare un attentato nella metropolitana di Milano, finirebbero per uccidere un numero non indifferente di potenziali simpatizzanti.
È per questo che, alla fine, nessuno di noi riesce a darsi una spiegazione: che motivo c’è di continuare a farsi saltare in aria? Per fare una guerra bisogna almeno essere in due: come rileva il buon Clausewitz, Der Eroberer ist immer friedliebend («Il conquistatore è sempre un amante della pace»). L’Unione Europea ha manifestato chiaramente l’intento di non voler combattere (per migliaia di motivi: vigliaccheria, inettitudine, paranoia, mal de vivre…), dunque perché questi conquistatori continuano a punzecchiare l’avversario, invece di stenderlo con un solo colpo?
Questo stragismo senza scopo in ultima analisi rischia di scatenare una reazione altrettanto spropositata. Altro che fiaccare il morale della popolazione, qui accade il contrario: una comunità che afferma chiaramente di non voler la guerra (e lo proclama in lacrime), continua a essere “stuzzicata”.
Forse il motto Qualis rex, talis grex vale anche per i nemici: ognuno ha quelli che si merita. I più vili e incapaci conquistatori apparsi nella storia dell’umanità tentano l’assalto a un’Europa che incredibilmente riesce a superarli in viltà e incapacità: in effetti non è così facile prevedere come andrà a finire.