In Turchia, nel distretto di Melikgazi della città di Kayseri in Anatolia Centrale, il 1° luglio è andata in scena una sorta di “caccia all’immigrato”, in particolare al siriano, con l’assalto ad abitazioni private e attività commerciali gestite da questi ultimi, dopo che si è diffusa la notizia che uno straniero avrebbe molestato un bambino (o una bambina, le fonti non concordano) di cinque anni.
🚨 Homes, cars and businesses belonging to Syrian refugees in Kayseri, #Turkey were burned down last night by Turkish nationalists. #Turkiye pic.twitter.com/TlO3y11vZ4
— DOAM (@doamuslims) July 1, 2024
Il pedofilo avrebbe subito un tentativo di linciaggio da parte di alcuni turchi, dopodiché la folla ha dato fuoco a veicoli e cassonetti. In tutta risposta, ad Afrin, dall’altra parte dei confine, cittadini siriani hanno assaltato le postazioni delle forze speciali turche presenti nelle zone occupate da Ankara, scatenando una sorta di guerriglia urbana che ha causato almeno 4 vittime.
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#Afrin
PÖH noktasına girmeye çalışan biri bacağından vurularak uyarıldı.Bir sonraki kafasına … pic.twitter.com/1N1bI5sr58
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In seguito agli attacchi, il governo turco ha provveduto a chiudere il principale snodo al confine nord-occidentale della Siria, il valico di Bab al Hawa. Inoltre sono state arrestate circa 474 persone coinvolte negli scontri con la comunità siriana nella provincia di Kayseri. Nei giorni successivi le violenze si sono estese alle province di Hatay, Gaziantep, Konya, Bursa e a un distretto di Istanbul.
Le proteste in Siria si sono verificate nelle aree sotto il controllo dei cosiddetti “ribelli”, che sin dall’inizio del conflitto sono in realtà occupate dall’esercito turco e da qualche anno sono ufficialmente diventate “zone cuscinetto” con l’avallo dell’Occidente.
Nella confusa situazione politica della nazione, dove l’attuale governo, seppur “conservatore”, tollera una massiccia immigrazione siriana per ovvi motivi di Realpolitik, un dato di fatto è che la Turchia è il primo Paese al mondo per numero di rifugiati presenti sul territorio, di cui il 90%, oltre tre milioni e mezzo, sono per l’appunto siriani.
Le opposizioni si trovano dunque in difficoltà nell’affrontare in tema, perché da destra i nazionalisti non possono chiedere il ritiro dalla Siria e l’espulsione di tutti i rifugiati, mentre da sinistra la retorica pro-immigrazione intrisa dell’ormai noto dogmatismo fatica a formulare obiezioni credibili a un esodo incessante.