Cambio Bianco: populismo, immigrazione e futuro delle maggioranze bianche

Eric Kaufmann, “Whiteshift: Populismo, immigrazione e futuro delle maggioranze bianche”
(Gog&Magog, 29 luglio 2019)

Eric Kaufmann è un canadese originario di Hong Kong che vive in Gran Bretagna, dove è docente di Politica al Birkbeck College, Università di Londra. In Whiteshift: Populism, Immigration and the Future of White Majorities, uscito nel 2018 per la Penguin sviluppa tre importanti ragionamenti, su temi cui spesso viene dedicata poca attenzione: 1. l’immigrazione è il motore dell’avanzata dei populisti in Usa e in gran parte dell’Europa occidentale; 2. l’estensione quantitativa di questi sconvolgimenti politici è meno rilevante rispetto alla velocità del cambiamento demografico; 3. il multiculturalismo ha un costo pesante in termini di conseguenze indesiderate e l’antirazzismo può facilmente sfociare in un più generico autorazzismo anti-bianco.

“Il braccio di ferro fra etno-tradizionalismo bianco e moralismo antirazzista sta ridefinendo la politica occidentale”, sostiene Kaufmann. “Tra i bianchi liberal, le considerazioni morali prevalgono così completamente sul nazionalismo che la mutata composizione etnica delle città e dei paesi occidentali viene a malapena notata”.

Kaufmann, invece di ricorrere alle consueto mantra della “chiusura mentale” che genera “le paure”, sostiene che la catena di causalità va ricostruita esattamente nella direzione opposta: è proprio considerare i timori su questi temi come non aventi dignità politica, impedendo a leader mainstream e “responsabili” di affrontarli, che crea spazio per i demagoghi.

Anche un recente saggio di David Frum su The Atlantic era sulla stessa linea d’onda: Se i liberal non difendono le frontiere, lo faranno i fascisti. Parafrasando il refrain de “gli immigrati fanno i lavori che non vogliamo più fare”, si può dire che Trump e Farage stanno cercando di fare i lavori che non fanno Jeb Bush e Theresa May.

Per Kaufmann, anche i conservatori classici e “di sistema” sono stati colti di sorpresa dalla potenza del tema immigrazione. “Circolano molte definizioni di termini come ‘estrema destra’, ‘populista’, ‘fascista’ e ‘nazionalista’. “Considero la divisione destra-sinistra come vertente sull’economia, fra chi è per tassare e spendere di più o di meno”, scrive. “Ma i partiti populisti di destra, come nota lo scienziato politico Cas Mudde, non si occupano principalmente di economia. Invece il loro focus è culturale”.

Trump, a detta di Kauffmann, ha vinto la presidenza con questa attenzione culturale, arrivando alla candidatura in un partito ancora principalmente interessato all’economia, un motivo principale per cui lui e il Congresso a controllo repubblicano sono stati in grado di mettere in atto così poche politiche populiste durante i suoi primi due anni di mandato.

Kaufmann cita il rapporto American National Election Studies del 2016, che mostra come l’immigrazione sia stata un fattore decisivo per Trump nelle primarie repubblicane. “Nel sondaggio ANES del gennaio 2016, il 70 per cento dei bianchi sostenitori di Trump si è detto molto contrario ad una emigrazione di rifugiati siriani”.

Anche nel voto Brexit, l’immigrazione è stata una questione chiave, ma non necessariamente una linea di demarcazione fondamentale. Kaufmann racconta il risultato di un sondaggio da lui commissionato due mesi dopo la vittoria della Brexit: Circa la metà di coloro che hanno votato Remain voleva ridurre l’immigrazione, rispetto al 91% dei Leavers. Ciò che realmente distingue i Leaver dagli elettori Remainer è la loro disponibilità a sacrificare i benefici economici per ridurre l’immigrazione”.

Qui Kaufmann indica un sondaggio che mostra che il 70 per cento dei Leavers erano disposti a vedere diminuire il proprio reddito per ridurre l’immigrazione dalla UE, cifra che scende al 19 per cento fra i Remainer. Un 35% degli elettori Leave era disposto a perdere il 5% del loro reddito per portare l’immigrazione a zero.

“È il cambiamento etnico guidato dall’immigrazione, non l’umiliazione della sovranità nazionale, ad essere il fattore principale dietro l’ascesa della destra populista nell’Europa occidentale — proprio come lo è stato nei casi Trump e Brexit”, scrive Kaufmann, aggiungendo poi: “Gli immigrati portano differenze etniche, alterando la composizione della popolazione di un paese, regione o città”.

Più provocatoriamente, Kaufmann sostiene che il modo migliore per limitare il “razzismo bianco” sia quello di trovare un qualche accomodamento con la paura bianca di un cambiamento demografico troppo veloce, specialmente attraverso una moderazione dell’immigrazione. Questo non è un argomento del tutto nuovo: Carol Swain, poi alla Vanderbilt University, aveva fatto una raccomandazione simile nel suo libro del 2002, The New White Nationalism in AmericaMa ciò è esattamente l’opposto della strategia preferita dalla maggior parte dei liberal, che credono che tali timori siano essi stessi una manifestazione di razzismo bianco e debbano essere sradicati, insieme al concetto stesso di whiteness. Si continua ostinatamente, insomma, a seguire la linea dettata da un consigliere di Blair, “far sbattere il muso alla destra sulla realtà della diversità e rendere obsolete le loro argomentazioni”.

Kaufmann contesta fortemente questa “strategia” perché non fa che rendere i bianchi ancora più spaventati, perché non si vedono più considerati come parte del futuro del loro paese. È così che si ottiene, per reazione, la nascita della “destra alternativa”.

Prestare più attenzione alle istanze della maggioranza, e una immigrazione più lenta, consentirebbero un futuro di maggiore integrazione.

Tuttavia, è difficile non rilevare che i liberal sarebbero i primi a rifiutare questo approccio, che pone troppo accento sulle differenze fra gruppi razziali. E ciò è particolarmente vero nel contesto statunitense. La defunta Barbara Jordan, leader per i diritti civili e prima donna nera del sud eletta al Congresso, non stava combattendo solo per una maggioranza bianca quando ha guidato una commissione per le riforme degli anni ’90 che raccomandava tagli all’immigrazione. Nemmeno Cesar Chavez quando ha combattuto contro l’immigrazione clandestina, che rendeva vani i suoi sforzi per sindacalizzare i lavoratori latini.

Kaufmann stesso ricorda come la Proposition 187 — una iniziativa elettorale californiana del 1994 volta a impedire che i fondi pubblici finissero ai clandestini, un primo segno di quanto l’immigrazione sarebbe diventata una questione centrale — ha ottenuto il sostegno della maggioranza tra i neri e gli asiatici e più un terzo degli ispanici, un risultato migliore di quelli raggiunti fino a quel tempo da da un candidato presidenziale repubblicano. Valori, lingua, perdita di costumi condivisi ed identità nazionale, la convinzione che l’immigrazione illegale sia ingiusta e violi lo stato di diritto: tutto questo sta alla base dell’atteggiamento migratorio restrittivo, senza che ciò debba avere un carattere intrinsecamente razziale.

L’immigrazione attuale, con i suoi volumi e le sue modalità, produce guadagni economici sorprendentemente piccoli per gli americani, ha un costo anche per la classe operaia nera e latina, e può andare a discapito anche di alcune categorie di immigrati recenti.

L’americanità supera di gran lunga l’”essere bianco” come caratteristica unificante di base per il popolo degli Stati Uniti. Ciò non significa che un “nazionalismo civico” in una società multietnica e multiculturale sia facile. I discendenti degli schiavi la pensano in modo parecchio diverso sui Padri Fondatori rispetto ai bianchi. Ma c’è un popolo non indigeno più americano degli afroamericani? Inoltre, quando una maggioranza nazionale storica si considera distinta dalla nazione, non si finisce solo per impedire una politica identitaria, ma si cessa, in un senso molto reale, di avere una nazione.

Si potrebbero contestare altre parti di Whiteshift. Il fatto che Trump abbia parlato apertamente della costruzione di un muro e della messa al bando dei musulmani e abbia comunque vinto avrebbe “spostato la cosiddetta Finestra di Overton di idee politiche accettabili all’interno dei media di destra”, scrive Kaufmann. “Ciò ha indebolito il tabù antirazzista tra i conservatori americani e ha reso accettabile una campagna elettorale apertamente incentrata su una piattaforma di riduzione dell’immigrazione. In Canada, al contrario, il tabù è ancora presente, quindi parlare di ridurre l’immigrazione va oltre i limiti del consentito. L’unica domanda è se i livelli debbano rimanere i medesimi, o aumentare”.

Trump ha certamente dato dignità politica a quegli americani che vogliono meno immigrazione.

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