Carl Schmitt en Venezuela
(Eduardo Jorge Prats, Hay, 28 febbraio 2014)
Negli anni ’20 del ventesimo secolo, il costituzionalista tedesco Carl Schmitt, che in seguito avrebbe fatto da “giurista di corte” del regime nazista, postulò ciò che per molti è ancora una contraddizione, sebbene emerga chiaramente in fatti tangibili come, per citare l’esempio più recente, la brutale repressione delle proteste da parte del governo di Nicolás Maduro, eletto democraticamente dal popolo venezuelano: sebbene la democrazia sia associata a un regime che rispetta i diritti fondamentali delle persone, la verità è che essa, intesa nel senso stretto dell’elezione popolare dei sovrani, non è incompatibile con regimi dittatoriali o autoritari.
E, contrariamente all’opinione che tutta la democrazia è liberale e tutto il liberalismo è essenzialmente democratico, democrazia e liberalismo in realtà rispondono a due tradizioni diverse: una, quella liberale, basata sullo stato di diritto, la difesa dei diritti umani e il rispetto della libertà individuale, e l’altra, democratica, fondata sull’uguaglianza, l’identità tra governante e governati e la sovranità popolare. Come sottolinea Schmitt, “le forze della democrazia […] non sono per nulla liberali in quanto essenzialmente politiche e persino favorevoli agli Stati totali”.
Esiste una differenza radicale tra liberalismo e democrazia: il liberalismo deriva dal fatto che il potere corrompe, e che il potere assoluto corrompe in modo assoluto (Lord Acton) -da qui la necessità di limitare il potere attraverso la divisione dei poteri e la garanzia delle libertà fondamentali-, mentre in democrazia, poiché tutto il potere deriva dal popolo, in linea di principio non è accettabile alcuna limitazione al potere popolare -che può tutto ciò che vuole-, perché sarebbe vista come una sovversione del diritto all’autodeterminazione (Rousseau).
Inoltre, se la democrazia si basa sul fatto che la maggioranza può determinare liberamente e sovranamente ciò che è legale e ciò che è illegale, non c’è dubbio che questa maggioranza possa dichiarare illegali i propri avversari politici, considerandoli al di fuori della legge ed ostracizzandoli dall’omogeneità democratica del popolo. Ecco perché Maduro definisce “fascisti”, “lacchè dell’impero” e “nemici del popolo” i suoi oppositori.
Si può quindi affermare non solo che la democrazia non è incompatibile con la dittatura, ma che una democrazia alla sua massima espressione è necessariamente dittatura, dittatura sovrana, dittatura governata da quel grande e unico sovrano che è il popolo. Come direbbe Schmitt: “Una dittatura non è possibile se non su base democratica”. Ecco perché il comunismo e il fascismo sono, come ogni dittatura, anti-liberali “ma non necessariamente anti-democratici”. Quindi la peggiore dittatura è, per dirla con le parole di Juan Bosch, la “dittatura col sostegno popolare”. Il fatto è che la dittatura di un uomo pesa meno di quella di milioni di persone.
Attenzione però: da Napoleone a Maduro, la dittatura democratica, legittimata da plebisciti e referendum regolari, porta sempre alla dittatura di un sol uomo. Pertanto, la dittatura democratica non richiede in ultima analisi la partecipazione popolare. Dopotutto, la democrazia autoritaria o illiberale, come direbbe Fareed Zakaria, non è la democrazia partecipativa, la “protagonista” della Costituzione venezuelana, che “dà potere” al cittadino. No. È piuttosto una democrazia plebiscitaria, essenzialmente demagogica, centralista, populista, verticalista e oppressiva.
Il paradosso del caso venezuelano è che politici che per oltre un decennio hanno fatto appello alle manifestazioni popolari, oggi limitino la libertà di chi mette in discussione i loro metodi di governo. Cosa succede quando il populismo diventa impopolare, come è successo in Venezuela? Che la lotta per i diritti fondamentali, quei diritti rivendicati dai giovani studenti venezuelani, ora si trasforma in rivolta popolare, come accaduto in America Latina negli anni ’80 durante il passaggio dall’autoritarismo alla democrazia.
La grande lezione del Venezuela è dunque che la democrazia, se non soggetta alle correzioni costituzionali del liberalismo, intese a limitare e controllare il potere delle maggioranze attraverso le garanzie dei diritti fondamentali e la divisione dei poteri, necessariamente porta alla tirannia. Il regime di Maduro chiarisce che non può esistere un potere assoluto non soggetto a limiti e regole costituzionali, anche qualora provenga dal popolo.
La sovranità democratica non dovrà essere interpretata come l’autorizzazione a far quel che vuole da parte del popolo, ma nel senso che il potere appartiene al popolo e quindi nessuno, nemmeno i suoi rappresentanti, possono appropriarsene. Infine, il Venezuela dimostra che il popolo non deve essere inteso come un macro-soggetto dotato di una volontà generale unitaria e onnipotente, concettualizzata da Sieyes e Schmitt a Laclau, ma come “una pluralità eterogenea di soggetti dotati di interessi, opinioni e volontà diversi e in conflitto tra loro” (Ferrajoli) nella quale possono trovare un terreno d’incontro sia i Chavez che gli anti-Chavez.
Insomma… associare al liberalismo delle origini i cosiddetti diritti umani è quantomeno una forzatura. Per come li intendiamo oggi essi sono il risultato dell’universalismo wilsoniano, non della postulazioni sull’inalienabilità di taluni diritti fondamentali così come concepiti e promossi dalla Grand Revolution.