In un suo editoriale per il “Corriere” risalente a poco tempo fa, Alberto Alesina ha espresso una singolare osservazione riguardo al popolo svedese (Il danno non visto, 3 luglio 2015):
«La fiducia è la colla che tiene insieme una nazione e l’olio che fa funzionare i suoi ingranaggi. Vi è di che preoccuparsi quando in Italia uno dei motti più famosi recita: “Fidarsi è bene, non fidarsi è meglio”. Sono sicuro che in Svezia un detto simile non esista. Non a caso la fiducia reciproca tra connazionali è molto alta nei Paesi scandinavi, alta nei Paesi anglosassoni e molto più bassa in quelli mediterranei».
Raramente uso l’espressione “italiota” (come regolarmente fanno i seguaci del bocconiano), tuttavia trovo che queste righe siano un puro concentrato di italiotismo. A tali livelli non si arriva nemmeno durante le cene col parentado, dove nondimeno si esagera nella glorificazione del “Paese di Cuccagna” anglo-germanico-scandinavo senza cartacce per terra, con fontanelle dell’eterna giovinezza a ogni crocicchio, laghi di latte e fiumi di vino e montagne di pastasciutta e una burocrazia gestita direttamente dalle divinità norrene. Tutto questo si può forse accettare come parto della fantasia dei semplici; ma che un intellettuale giunga a tale vaneggiamento esterofilo è alquanto inquietante, seppur non sorprendente.
È imbarazzante dover ricordare che ogni lingua ha un motto equivalente a quello “italiano”. Anche Ronald Reagan lo utilizzò (Trust, but verify) considerandolo a sua volta una versione del proverbio russo Доверяй, но проверяй [“Davirjaj, no pravjerjaj”].
In svedese il concetto si può esprimere con Tänk efter före oppure Tänk först, handla sedan (letteralmente “Pensa prima di agire”). C’è un altro proverbio che mi sembra particolarmente adatto al contesto: Hastig rikedom gör mannen misstänkt (“Una ricchezza rapida rende l’uomo sospetto”). Significa che chi diventa ricco in poco tempo è considerato dagli svedesi una persona non eccessivamente onesta.
Al di là di tutto, una cosa che mi consola è sapere che il pregiudizio positivo verso i Paesi nordeuropei sia condiviso anche dagli americani: lo ha evidenziato la giornalista finlandese Anu Partanen sull’“Atlantic” (What Americans don’t get about Nordic countries, 19 marzo 2016), in un pezzo che, seppur dedicato alla nordophilia di Bernie Sanders (sulla quale ha costruito la sua campagna per le primarie democratiche), sembra rispondere proprio alle prediche di Alesina sulla “fiducia reciproca tra connazionali”:
«I nordici non solo sono egoisti come tutti gli altri popoli di questa terra, ma all’occorrenza possono anche detestare i loro concittadini, così come si detestano a vicenda gli individui degli altri Paesi che nutrono opinioni politiche divergenti».
Più in generale, l’ottima Partanen (e di gradevole aspetto: ecco come nascono certe mitologie politiche!) si riserva di ridimensionare le illusioni sul modello nordico professate dai “medio-progressisti” d’oltreoceano:
«In estrema sintesi, l’unica cosa di cui si occupa l’approccio nordico è di ridurre i rischi per chi vuole avviare un’impresa, dal momento che i servizi di base come l’istruzione e la sanità sono garantiti indipendentemente dal destino della propria azienda emergente.
[…] Così è come dovrebbe essere una economia capitalistica basata sul libero mercato, che è poi esattamente quella dei Paesi nordici. Infatti, proprio in quanto economie capitalistiche, i Paesi nordici hanno dimostrato che il capitalismo funziona meglio quando è accompagnato da politiche sociali sagge e lungimiranti, nell’interesse di tutti.
[…] Gli americani non sbagliano nell’aborrire gli spettri del socialismo e del Big Government. Per l’appunto, da finlandese orgogliosa quale sono, mi piace spesso ricordare agli amici americani che i miei connazionali hanno combattuto due guerre atroci contro l’Unione Sovietica per preservare la libertà e l’indipendenza della propria nazione contro il socialismo. Nessuno vuol vivere in una società che non rispetta la libertà individuale, lo spirito imprenditoriale e i mercati aperti. Ma la verità è che il capitalismo basato sul libero del mercato e le politiche sociali universali possono andare perfettamente d’accordo: in questo caso non si tratta di big government, ma di smart government».
Il libero mercato non può esser lasciato libero di distruggere sanità, scuola e assistenza? Ma che scherziamo?! A questo punto, secondo le ridicole (e ormai usurate) utopie dei lib-lab di tutto il mondo, dovremmo ammettere che c’è del marcio anche in Scandinavia…
Tuttavia, non vorrei concludere troppo seriamente una polemica ispirata soprattutto al “pecoreccio”. Del resto, solo un italiota potrebbe pensare che uno scandinavo non si lamenti mai delle tasse, dei politici, della burocrazia e degli immigrati.
In realtà pare che gli svedesi -tenevi forte- dicano persino… le parolacce! Dedico appunto l’elenco che segue ai cari svedesioti: che si consolino almeno sapendo che, come afferma il frasario da cui è tratto, «le espressioni ingiuriose svedesi fanno spesso riferimento al diavolo e all’inferno, quasi mai al sesso» (la virtù nordica è salva!).