Il linguaggio della propaganda è forse una delle vie più semplici per avvicinarsi a un idioma straniero: l’esaltazione pantagruelica dei bisogni elementari riporta l’uomo alle stesse condizioni in cui ha appreso la propria madrelingua, incoraggiando associazioni mentali tra l’immagine, il senso e il suono. Le modalità sono simili a quelle adottate dai pubblicitari, anche se gli addetti alla propaganda non devono creare domanda, ma soddisfarla: da qui la magnificazione di tutto ciò di cui gli occidentali fondamentalmente si vergognano, cioè la superiorità militare, l’industrializzazione, il consumismo, il progresso scientifico, lo sfruttamento delle risorse naturali (che comprendono anche i cosiddetti “beni culturali”) eccetera.
Per quanto concerne il contenuto di questi messaggi, sembra che gli unici a crederci fermamente siano soprattutto gli americani, in particolare quei registi che negli ultimi anni hanno confezionato una serie di pellicole talmente pacchiane che forse anche Kim Jong-un si sarebbe vergognato di propinare ai suoi sudditi. Non mi riferisco solamente all’affaire The Interview (2014), che pur essendo un film di uno squallore insostenibile, è comunque il più raffinato del filone (è un peccato che la battuta meno cretina del copione, “Non gli stringa la mano, è un ebreo”, sia stata censurata nella versione italiana), ma a un fiasco come il remake di Alba Rossa del 2012 (questa volta non è l’Unione Sovietica, ma lo staterello più isolato dell’Asia, a riuscire a invadere gli Stati Uniti, per giunta senza nemmeno l’aiuto dei cubani), oppure all’action thriller Olympus Has Fallen (2013), nel quale un gruppo di estremisti nordcoreani penetra nella Casa Bianca, sequestra il presidente e mette in ginocchio l’intera nazione (finché non arriva l’eroe di turno a massacrare tutti).
I motivi per cui le comparse barbute di un tempo siano state sostituite da terroristi dagli occhi a mandorla sono dettati da esigenze di politica internazionale che chiunque può ormai intendere. Se tuttavia la vecchia corrente dell’islamploitation poteva vantare almeno un pizzico di verosimiglianza (come i film di Charles Bronson rispetto ai problemi della microcriminalità metropolitana), al nuovo genere manca qualsiasi appiglio su cui imbastire una trama minimamente plausibile (in Olympus Has Fallen gli sceneggiatori sono costretti a inventarsi una serie di attentati alle ambasciate da parte del terribile terrorista Kang Yeonsak e addirittura a pretendere che il governo nordcoreano sia all’oscuro di tutto – l’ambiguità serve principalmente a evitare grane diplomatiche).
Se è valida l’ipotesi di Emmanuel Todd, ovvero che le guerre intraprese dagli Stati Uniti dopo la fine dell’Unione Sovietica siano un espediente coreografico per nascondere l’incapacità di confrontarsi anche con una media potenza, allora la Corea del Nord starebbe inconsapevolmente facendo propaganda contro se stessa (anche se almeno l’atomica sembra che ce l’abbiano veramente…).
In ogni caso, godiamoci questi “cartoni animati” nordcoreani: si è cercato di rendere una traduzione degli slogan la più fedele possibile all’originale, con rispetto sincero e devota commozione.
1) Colpiremo coloro che offendono il nostro orgoglio / ovunque essi si trovino:
2) Colpiremo duramente se costretti / La vendetta giungerà senza alcuna pietà:
3) Se iniziassimo a colpire / Gli yankee [migugnom, 미국놈] sarebbero i primi a essere distrutti!: