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Casa editrice francese condannata a 130mila euro di multa per aver pubblicato un “classico” Adelphi

Kontre Kulture, la casa editrice di Alain Soral, scrittore e giornalista francese, è stata condannata a pagare una multa di 134.400 euro all’associazione antirazzista Licra (Ligue internationale contre le racisme et l’antisémitisme) e 3.000 euro di spese processuali, per aver ristampato Le Salut par les juifs (Dagli Ebrei la salvezza) di Léon Bloy.

La banca di Alain Soral aveva già dovuto congelare i 45.000 euro presenti nei suoi conti, mettendo in difficoltà la sopravvivenza della stessa casa editrice.

Sul sito di Soral (Egalité et Réconciliation), la Licra aveva segnalato la presenza di diversi libri chiaramente antisemiti nella collana “Les InfréKentables”, tra cui il classico di Léon Bloy, pubblicato nel 1892. Il giudice de Bobigny aveva disposto, in data 13 novembre 2013, la censura di una quindicina di passaggi dal libro per istigazione all’odio razziale, pena un’ammenda di 300 euro per ogni giorno di ritardo. Essendo praticamente impossibile adempiere alla richiesta, Soral si è limitato a rimuovere il libro dal catalogo.

L’editore ha tentato di presentare ricorso senza successo. La Licra ha chiesto ai tribunali di far rispettare le sanzioni e il 30 ottobre 2019 il giudice ha stabilito che la casa editrice avrebbe dovuto pagare all’associazione anti-razzista oltre 200.000 euro

La Corte d’Appello ha infine modificato la decisione, stabilendo l’ammenda in base al periodo in cui era possibile acquistare il libro online (era stato rimesso in vendita l’11 luglio 2018 e poi ritirato nuovamente il 2 ottobre 2019): 448 giorni per 300 euro, per un totale appunto di 134.400 euro, pagabili senza indugio. “Con la sua casa editrice, Alain Soral ha trasformato il razzismo in un’attività redditizia”, ha dichiarato Michaël Bendavid della Licra. “È giusto che il suo disprezzo per la giustizia venga sanzionato”

Il saggista può ancora impugnare la decisione, ma il colpo è duro. Soprattutto da quando il 18 settembre è stato nuovamente condannato a tre multe di quasi 15.000 euro per incitamento all’odio razziale e diffamazione, oltre che per aver messo in discussione un crimine contro l’umanità come la Shoah (fonte: Le Monde, 25 settembre 2020).

Non sembrerà sconveniente ricordare che in Italia il saggio di Bloy è disponibile nel catalogo Adelphi da oltre cinque lustri e che, nonostante la sua pubblicazione abbia suscitato anche qui accese polemiche, non c’è stato comunque mai alcun risvolto penale per Roberto Calasso. Per certi versi il volume è considerato quasi un “classico” della casa editrice, sicuramente uno di quelli che, per il polverone sollevato, ha contribuito a imporre una sorta di egemonia adelphiana sull’industria culturale nazionale (riprendiamo di seguito considerazioni già espresse in altri luoghi).

Per sommi capi possiamo rievocare la polemica che scaturì dall’iniziativa editoriale attraverso una serie di articoli che nell’agosto del 1994 “Repubblica” dedicò al caso, affidando le arringhe ad Alfonso Berardinelli (“L’Adelphi ha intelligentemente prosperato sulle macerie della sinistra, arrivando a forme di vera colonizzazione culturale. […] [In molte scelte di Calasso] si può intravedere un profondo disprezzo, in parte fondato, in parte dogmatico, della cultura di sinistra, quasi come se sinistra e stupidità coincidessero”) e Cesare Segre (che definì Bloy “immondo, fanatico, delirante” e accusò Calasso direttamente di nazismo: Hitler, dal profondo dell’inferno, manderà i suoi fax di ringraziamento”).

Nella bagarre interverranno poi Susanna Zevi, figlia di quell’Alberto Zevi che creò Adelphi con Luciano Foà e Roberto Olivetti, dichiarando che il padre “si era opposto con tutte le forze alla pubblicazione di questo libro che giustamente considerava un pamphlet antisemita”:

«Riteneva indispensabile, almeno, una prefazione che mettesse nella giusta luce le tesi di Bloy. Non ci si può appellare alla libertà di stampa o alla censura. Coi tempi che corrono, questo libro l’avrei lasciato fare a Ciarrapico. […] Era il pallino di Roberto Calasso, ne parlava da anni, e questa volta ha trovato il modo di giustificare un’operazione editoriale ambigua. […] Persino Luciano Foà si era opposto, come qualche consulente della casa editrice, che dopo la pubblicazione si è dimesso».

Lo “scomunicato” Calasso ebbe occasione di rispondere sia su Repubblica che sul Corriere, difendendosi anche dalle accuse di antisemitismo, in parte fomentate da un pezzo del critico Mario Andrea Rigoni per il quotidiano di Via Solferino, che aveva tenuto bordone al patron di Adelphi proponendo, proprio in base ai deliranti sermoni di Bloy, la liquidazione dell’ebraismo come “pensiero tribale e mitico” allo scopo di “scongiurare nuovi e sicuri olocausti”. Calasso ribatté alla taccia di “hitlerismo” con lo specchio riflesso dello “stalinismo” («Sentiamo subito echeggiare le stridule note di un libro tra i più infausti del nostro secolo, La distruzione della ragione, di Lukacs, stendardo culturale di un regime, quello sovietico, che in fatto di massacri non è stato secondo a nessun altro»), dichiarazione che lasciò Segre di stucco: «Avrei discusso volentieri con Calasso, ma mi rendo conto che ha perso le staffe».

Nella sua “arringa difensiva” Calasso si spinse probabilmente troppo oltre, rivelando di aver pubblicato Bloy in quanto profeta della dissoluzione, annunciatore della manifestazione della terza figura divina, lo Spirito Santo, nella forma del Paracleto errante, come inabissamento risolutivo della vicenda umana nel nulla. L’obiettivo dunque, al di là della maschera dell’antisemitismo, era dunque la razza umana in sé, più che quella ebraica.

Senza voler insinuare alcunché, osserviamo che nel 1994 esisteva già da un anno una legge contro i “crimini d’odio”, modellata sulla famigerata “Gayssot” transalpina, l’altrettanto famigerata Legge Mancino, e che l’occasione sarebbe stata ghiotta per “testarne” immediatamente l’efficacia. Se non ci fu alcuna conseguenza giudiziaria, fu soltanto perché, per utilizzare la formula del Berselli, Calasso è per diritto di nascita “Venerato Maestro” e perciò intoccabile. Non un Soral qualsiasi, insomma.

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