È un prestito, è invariabile, Roma locuta est (causae finitae sunt?).
Invece no, gli addetti alle risorse umane non si arrendono, anzi ci danno dentro. E non solo loro: a dimostrazione che la causa non è affatto chiusa, ora è venuto fuori che persino peplum, al plurale, deve diventare… PEPLA.
L’ho scoperto leggendo un commento al primo post di Macaronea: una povera crista non può nemmeno rimembrare le «serate passate sul divano con papà a guardare interminabili peplum», che subito arriva uno a dirti che si scrive PEPLA. I Pepla…
Come minimo di questo andazzo torneremo a dire films con accento di Ladispoli (“filmese”); il che per certi versi non sarebbe così male, se non fossimo alle prese con un fenomeno pseudo-elitario (di quelli del “piuttosto che” disgiuntivo e delle crisi in forma di “criticità”), probabilmente sorto dallo stesso “brodo di cultura” (sic) dal quale vennero i crociati contro l’insegnamento del latino.
Per fortuna Macaronea ha risposto da vera signora qual è (non la conosco, ma è un’insegnante e il 99% delle mie amiche sono insegnanti, e le insegnanti sono le migliori donne d’Italia – a parte quando si ritrovano assieme, quella è una vergogna nazionale), citando un utente di narkive (che a sua volta cita da qui):
«Come diceva Tristano Bolelli, grande linguista che fu anche presidente dell’Accademia della Crusca: “Quanto al latino, si sa che l’uso di citazioni è fatto, salvo eccezioni, da uomini che il latino lo sanno poco o non lo sanno affatto. È difficile trovare un latinista vero che ostenti citazioni nella lingua di Roma se non forse per scherzare, come fece una volta un mio caro collega, cattedratico, appunto, di Lingua e letteratura latina, che disse: Intelligenti pauca […] e facetamente tradusse “A chi capisce poco”. E poi, come la mettiamo: diciamo curricula, e va bene. Ma poi diciamo anche, chessò, sponsores? […] E già, perché se decidiamo di flettere le parole latine secondo le regole della grammatica latina, dovremmo probabilmente anche concordarle con i casi. Quindi vai col genitivo (“La pletora curriculorumche ricevo ultimamente mi opprime…”) e con il dativo e l’ablativo (“Non pensavo che mi sarei abituato così facilmente mediisquali la televisione satellitare”).
No, no, no, non ve lo consiglio. Il latino è una lingua straniera che, certamente, ha con l’italiano un rapporto molto stretto, ma non è l’italiano. E quindi, va trattata come le altre lingue straniere, dalle quali prendiamo in prestito parole che trattiamo come invariabili, indeclinabili, immodificabili (a meno che voi facciate ogni sera il giro dei bars, per parlare dei vostri sports preferiti).
I grammatici, in effetti, tagliano netto: le parole straniere si mantengono invariabili, in particolare poi quando sono entrate nell’uso comune: bar, sport, computer, film… Ecco cosa dice la Grammatica Italiana di Maurizio Dardano e Pietro Trifone (Zanichelli, 1995, p. 194): “Le grammatiche e i dizionari sono abbastanza compatti nel consigliare il mantenimento della forma del singolare anche al plurale”.
E il Serianni (Italiano, Garzanti, 1997, p. 106): “In che modo formano il plurale i nomi stranieri terminanti in consonante? In generale, il nome resta invariato”.
[…] [Infine, afferma il] Birattari (Italiano. Corso di sopravvivenza, Ponte alle Grazie, 2000, p. 250):
“Vale per le parole latine quel che si è detto per le parole straniere in generale: in italiano sono invariabili. Quindi il plurale di curriculumè i curriculum. Può capitare benissimo, però, che se scrivete in una richiesta di lavoro di aver “inviato altri curriculum alla vostra attenzione”, la vostra lettera capiti in mano a un selezionatore del personale che tutte le sere prima di addormentarsi si ripeta le tabelle delle declinazione e dei paradigmi latini e, leggendo curriculum al posto di curricula, cestini sdegnato la vostra lettera.
Ma capite che, in questo oscuro selezionatore, non è difficile scorgere i tratti di un individuo con qualche problema caratteriale accanto al quale potrebbe rivelarsi molto difficile lavorare. Quindi, decidere di mantenere curriculum invariato al plurale potrebbe anche essere un modo intelligente per fare a vostra volta una prima scrematura delle proposte di lavoro.”»
Ho saltato i riferimenti a una pagina dell’Accademia della Crusca, perché nel frattempo è stata aggiornata, e per giunta ora avvalora l’utilizzo di curriculacome prova della conoscenza del latino (no! no!):
«Il plurale del neutro latino con la tipica terminazione in -a è più lontano dal sistema morfologico dell’italiano e presuppone la conoscenza almeno delle nozioni elementari del latino.
[…] Fermo restando che è preferibile il plurale declinato curricula (che può essere talvolta avvertito come eccessivo sfoggio di cultura), le alternative del tutto accettabili sono curricoli, che non sembra tuttavia immediatamente disponibile a chi parla o scrive, e il plurale invariato curriculum, ormai largamente diffuso e quindi accettato».
È esattamente il contrario: chi non sa o non ricorda una parola di latino, millanta la conoscenza di un plurale: «In questo modo facciamo sfoggio di cultura, vogliamo far sapere a tutti i costi a chi ci ascolta che siamo tanto bravi perché abbiamo studiato bene il latino a scuola e, magari, anche all’università» (sempre la Crusca: si mettano d’accordo!).