In questi mesi i media internazionali e la grande stampa sono tutti dalla parte di Greta Thunberg, la “bambina prodigio” svedese che con il suo “sciopero della scuola” ha voluto sensibilizzare il mondo sulle tematiche ambientali. Agli occhi di un osservatore disincantato, tutto ciò appare come una forma di isteria collettiva indotta, che risulta però inattaccabile dalla fitta cortina propagandistica eretta da intellettuali ormai orfani di qualsiasi ideologia, da fanatici dell’ecologismo (che però non vogliono rinunciare a nessuna delle loro “comodità”) e da una parte del jet set europeo (in particolare la BBC anglosassone) e americano (gli immancabili attori di Hollywood).
In realtà del poco che sappiamo su questa adolescente affetta dalla sindrome di Asperger e catapultata nel mondo dello spettacolo da genitori forse un po’ troppo desiderosi di rifarsi del successo non ottenuto (la madre è una cantante e il padre un attore), possiamo già evincere un quadro non molto chiaro e a tratti inquietante: a cominciare dall’esagitato imprenditore Ingmar Rentzhog, che ha costruito il “personaggio” dandogli quel tocco algido e al contempo apocalittico che sembra far breccia in larghi settori dell’opinione pubblica attuale (ci torneremo); per non dire dell’immenso baraccone messo in piedi per le “imprese” della giovane Greta, che a quanto pare risulta tutt’altro che a “impatto zero” per l’ambiente. Pensiamo solo alla recente traversata di due settimane verso New York su uno yacht da quattro milioni di dollari: uno show che secondo la “Faz” (quotidiano tedesco legato ai Verdi, dunque “al di sopra di ogni sospetto”) ha prodotto più inquinamento di un semplice viaggio in aereo.
Lasciamo però da parte i “contenuti” e concentriamoci invece sul “contenitore”, su questa personalità creata in provetta che è assurta in un batter d’occhio a icona pop: sotto il profilo mediatico, Greta “funziona” come testimonial di un nuovo stile di vita che verrà presto imposto alle classi medie occidentali, il quale oltre all’austerità e al pauperismo contemplerà come piatto forte (si fa per dire) l’introduzione di nuovi balzelli “verdi” e l’obbligo di “riconvertire” qualsiasi oggetti che si possiede in versione ecologica. Una manna per imprenditori e startupper così filantropici e green, che a dirla tutta vogliono semplicemente farsi beffe della democrazia imponendo alle masse una costante “mobilitazione emotiva” tipica dei sistemi totalitari.
Da questo punto di vista, Greta non sembra esser stata scelta a caso: la sua figura a metà strada tra una profetessa nichilista e una creatura androgina la rende particolarmente adatta al Mondo Nuovo che si va sempre più velocemente delineando. Greta è una sorta di “sacerdotessa” che chiama a un sacrificio espiatorio consistente nella rinuncia, da parte delle masse occidentali, a ciò che comunque non avrebbero avuto: in pratica all’accettazione di un futuro di carestia soft, mascherata da “frugalità” e reso avanguardistico dalle caratteristiche quasi “trans-umane” detenute dalla sedicenne.
Quando infatti si presenta in pubblico, Greta appare come distaccata dalla realtà profana, una sorta di “angelo” o, per usare un’immagine più adatta, un cyborg dalla natura asessuata e ineffabile. Il target di riferimento è chiaramente quello dei millenial, le nuove generazioni profondamente nichiliste ma che allo stesso tempo cercano una “religione” la più blanda possibile, una morale spicciola con cui poter ammonire il prossimo che “inquina”. Sarà probabilmente da questo humus sociale e politico che sorgerà il nuovo slogan “Ce lo chiede Greta”, rimpiazzo efficace al “Ce lo chiede l’Europa” a quanto pare non più adatto a pretendere nuovi sacrifici per i tempi che cambiano.
PS: Queste considerazioni nascono da alcune brillanti osservazioni dei miei lettori.