Voglio dedicare qualche pensiero ai cari amici veneti, sia perché -soprattutto dopo la pandemia- sono diventati lo zoccolo duro del mio seguito, sia perché ogni volta che chiedo schei sono regolarmente tra i primi a metter mano al tacuin (posto che si tratta sempre di un modo originale di riciclare i proventi dell’evasione fiscale).
Ad ogni modo, credo che i veneti siano uno dei popoli italici (forse anche europei) a cui sia stata imposta più smaccatamente una mentalità “autogenocida” a diversi livelli, non solo politico, sociale, culturale ed economico. Lo si evince, del resto, viaggiando per piccoli e grandi centri della regione: la cosiddetta “sostituzione etnica” è da anni una realtà di fatto sia nel più sparuto paesino di montagna che nei “quartieri difficili” delle principali province.
Fa male vedere un’etnia condannata nel giro di una generazione a essere rimpiazzata da un melting pot grigio e globalmente omogeneizzato, al quale ha potuto a malapena imporre il culto del lavoro, qualche usanza civile (timbrare il biglietto dell’autobus e non defecare in giro) e le più arcaiche espressioni dialettali che poi costoro si portano in giro per il mondo spacciandole per italiano puro.
Ironia della sorte, una comunità che si era preservata dal primo grande rivolgimento etnico italiano, la migrazione dei “terroni”, oggi è diventata avanguardia del meticciato più spinto e insostenibile, imponendo al Paese connubi tra sikh e ucraine o kosovari e bengalesi. Paradossalmente, a differenza della Lombardia, dove in alcune comunità il mito in negativo di Milano ha portato a una seppur blanda autoghettizzazione degli indigeni, tutto il Veneto si è invece “milanesizzato” senza poter contare sullo spauracchio eupicorio (Venezia non vale perché è realmente un universo a parte, e semmai è stata la sua idea, di generosa e gloriosa universalità, ad esser stata strumentalizzata dai nemici della Nasion Veneta).
Ciò che fa rabbia è che i poveri veneti, oltre a essere “cornuti” (non solo in senso metaforico), finiscono pure per esser “mazziati”, nel momento in cui vengono additati perennemente dal mainstream come razzisti, bigotti, nazistkin e cacciavitari. Sarà una chiave di lettura “complottista”, ma non mi pare un caso che qualsiasi episodio di cronaca si verifichi nel trevigiano, nel veronese o nel veneziano ricevi copertura nazionale per giorni e giorni e venga esibito a monito di eterna vergogna, a meno che il colpevole non abbia qualche origine “esotica”, per così dire.
Mi pare fin qui di aver esplicitato in maniera abbastanza chiara il mio pensiero. Tuttavia, per fornire qualche esempio concreto, vorrei concentrarmi su un settore particolare della cultura popolare, quello rappresentato dalla settima arte. Partiamo da un dato di fatto: nel cinema italiano i veneti in generale sono presentati come dei tontoloni ingenui e sempliciotti, capaci di comunicare solo a suon di “ciò” e “ostregheta” (mentre i veneziani diventano perlopiù il corrispettivo nordico dei napoletani); quando tuttavia c’è da mettere in scena un qualcosa di particolarmente rappresentativo della regione, ecco che magicamente protagonisti e comparse finiscono tutti per esprimersi in quello pseudo-romanesco che da decenni è diventato la koinè del mondo dello spettacolo italiano.
Secondo tale chiave di lettura, l’unica opera di questi anni che esce dagli schemi è la miniserie televisiva prodotta da Sky Faccia d’Angelo, che ritrae le gesta del boss della Mala del Brenta Felice Maniero: al di là dello squallido banditismo romantico che, senza soluzione di continuità, appesta l’estetica nazionale sin dalla nascita di questo sfortunato Paese (il Passator Cortese, Salvatore Giuliano, i poliziotteschi, l’epica brigatista e Gomorra inclusi), bisogna ammettere che la fiction restituisce con dignità l’animo veneto nei suoi splendori e nelle sue miserie, con particolare riferimento all’eterna contrapposizione (dalle tinte schmittiane) tra “contadini” tellurocratici e “veneziani” talassocratici.
Volendo prescindere dall’ispirazione dell’opera, è obiettivo identificare in Faccia d’Angelo una delle sparute produzioni italiani non volte totalmente alla ridicolizzazione e umiliazione di un popolo, e il dato è già di per sé significativo.
Dopo aver messo da parte questa rara avis, affrontiamo finalmente il tema del post: il cinema veneto (o “sui veneti”) come propaganda a favore del Selbsthass. Il primo esempio in ordine di tempo che posso portare è Veneciafrenia, horror spagnolo del 2021 appena trasmessa dalla Rai che dipinge i veneziani come assassini assetati di sangue dei turisti cafoni: il tutto, ça va sans dire, recitato con rigorosa cadenza romanesca.
Non stupisce che tra i finanziatori di questa buffonata spicchi orgogliosamente la Regione Veneto: sulla breve distanza può essere interpretata come una mossa volta alla riduzione dell’afflusso di visitatori verso Venezia (ma invece di imporre improponibili pass, non sarebbe meglio togliere ogni fondo alla promozione internazionale del capoluogo?), eppure non può sfuggire quel sentore di “odio verso se stessi” che trasuda dalla raffigurazione dei veneziani come maleducati, violenti, sporchi, barbari, provinciali, meschini e inospitali (hanno comunque anche dei difetti).
Per tornare però all’ambito nazionale, il primo esempio da fare in ordine cronologico è La lingua del santo (2000) di Carlo Mazzacurati con Fabrizio Bentivoglio e Antonio Albanese, pellicola ispirata a una “storia vera”, cioè il furto di una reliquia appartenente a Sant’Antonio.
Tutto sommato una commedia d’autore, anche godibile, ma che instilla nello spettatore pregiudizi (peraltro piuttosto banali) sui veneti come gretti bottegai che costringono al crimine gli emarginati.
Al di là della poca veridicità con cui vengono ritratte le motivazioni dei ladri, che nella realtà a quanto pare agirono su ordine del Maniero di cui sopra (dunque non per chissà quale presunta moralità da “ultimi”), è curioso che pochi lustri dopo -più precisamente dal 2016 al 2017 inoltrato- una banda di romeni saccheggiò santuari e basiliche di mezzo Veneto portandosi via decine di migliaia di euro in offerte votive: ancora irreperibili per la giustizia italiana, lo rimarranno a maggior ragione per il nostro cinema, che chissà quale kolossal avrebbe progettato se solo uno dei razziatori sacrileghi fosse stato rodigino o chioggiotto.
Ancora del Mazzacurati, rampollo dell’élite padovana (ma è deceduto e de mortuis nihil nisi bonum, anche se il dettato non può valere per l’arte), è doveroso ricordare La giusta distanza del 2007, nel quale più marcatamente si esprime lo spirito a cui si è accennato, nella raffigurazione in veste di capro espiatorio dell’amante tunisino della protagonista (una maestrina bella e irriverente interpretata dall’attrice Valentina Lodovini), uccisa invece -seppur in maniera involontaria- dal solito toso ubriaco e razzista. Un topos abusato della cultura progressista, espresso qui in termini che vanno ben oltre un generico anticlassismo o antirazzismo (il quale rientrerebbe comunque nel primo, nella misura in cui la “razza inferiore” è percepita come tale solo in termini socio-economici).
Di tale filone cinematografico venetofobico, il caso più clamoroso rimane la commedia Cose dell’altro mondo diretta nel 2011 dal napoletano Francesco Patierno: anche il cast, seppur d’eccezione, è naturalmente tutto fuorché veneto (Diego Abatantuono, Valerio Mastandrea e ancora la Lodovino). La storia è molto semplice: un imprenditore razzista che però non disdegna di servirsi di manodopera straniera auspica su una rete televisiva locale che tutti gli immigrati spariscano dalla regione. Il “miracolo” avviene ma i veneti si riscoprono fancazzisti e ubriaconi, impossibilitati a sopravvivere senza l’ausilio di muratori romeni, puttane nigeriane e negozianti cinesi.
Il soggetto del film è liberamente ispirato al mockumentary americano A Day Without a Mexican del 2004, girato dal messicano Sergio Arau, che mostrava l’alta borghesia californiana alle prese con la sparizione dei latinos. Una pellicola, che a sua volta, annovera tra le fonti da una parte la pièce teatrale Day of Absence (1965) scritta dal regista afroamericano Douglas Turner Ward, nella quale in una cittadina del Sud spariscono i neri e i bianchi razzisti non sanno che pesci pigliare, e dall’altra Die Stadt ohne Juden (“La Città senza ebrei”), romanzo (recentemente ristampato in italiano da Chiarelettere) dello scrittore austriaco di origine ebraica Hugo Bettauer (1872–1925), che venne portato sul grande schermo nel 1924 dal regista viennese Hans Karl Breslauer. La trama è piuttosto prevedibile: il Cancelliere antisemita di uno Stato immaginario (il romanzo è invece ambientato a Vienna) decide di espellere tutti gli ebrei, condannando la propria nazione al disastro economico (in particolare perché i banchieri ebrei degli altri Paesi non prestano più denaro…).
Ora, è chiaro che qui sarebbe d’uopo la mia classica conclusione antisemita, dove dico che è sempre colpa dello spirito rivoluzionario degli ebrei che ha contagiato il mondo intero, e il cerchio probabilmente si chiuderebbe con l’approvazione degli ultimi veneti etnici rimasti. Tuttavia, mi pare che si possa intravvedere un’altra morale di questa storia, seppure ancora confusa e a tratti enigmatica. Forse c’è un senso di colpa da parte dei veneti, magari per non aver abbinato a uno sviluppo strepitoso una qualche ombra di Kulturarbeit, il quale ora si esprime nelle forme patologiche dell’autolesionismo collettivo e nella dipendenza non solo dall’alcol ma anche dal lavoro (il famigerato workaholism).
Non voglio insinuare che manchi qualcosa dal punto di vista “culturale” alla regione, anzi il settore da quelle parti è tra i più avanzati della Penisola, ma per l’appunto qui non si sta parlando di cultura (semmai di Kultur). E badate che un discorso pressoché identico si potrebbe fare non solo per gli americani, ma anche per i tedeschi, non a caso popoli a cui i veneti hanno voluto sempre più approcciarsi negli ultimi decenni, fino però ad abbracciarne il triste destino.
Probabilmente queste non sono che sparate a vuoto, e l’unico scopo del mio post era incorporare qualche filmetto la cui visione è offerta gratuitamente dalle varie piattaforme video. Per il momento, accontentavi di questo; per la rinascita del popolo veneto, si vedrà.