Dopo il rilancio del progetto di acquisizione della Groenlandia, e altre sparate riguardo un’eventuale invasione del Canada (per buchi nella bilancia commerciale) e del Messico (previa classificazione dei cartelli della droga come “organizzazioni terroristiche”), Donald Trump ha rilanciato l’annosa questione del controllo del canale di Panama.
Traggo spunto da questo commento del canale Telegram Terra Cava (scoperto tramite Progetto Razzia), che tra il serio e il faceto offre sempre analisi brillanti, per aggiungere qualche mia osservazione:
«Trump vuole riprendersi il controllo del Canale di Panama perché “il governo locale non si sta comportando bene con gli USA” e perché “38.000 americani sono morti per le punture di zanzara durante la sua costruzione” (giuro).
La storia del Canale – e dei rapporti tra USA e Panama – è tuttavia un po’ più complessa e include trattati farlocchi, “liberazioni”, occupazioni militari, colpi di Stato, prestiti miliardari e morti misteriose: il perfetto esempio di colonialismo economico a stelle e strisce, insomma.
Il riferimento in vigore è il Trattato Torrijos-Carter del 1977 che, a partire dal 2000, ha assegnato a Panama la piena proprietà del Canale. Torrijos – figura assai interessante da approfondire – purtroppo non ha potuto assistervi perché il suo aereo ha fatto 💥 nel 1981, casualmente pochi mesi dopo l’elezione di Reagan che prometteva di stracciare tale accordo.
Chissà se l’attuale Presidente di Panama avrà ancora il coraggio di salire su un aereo dopo la dichiarazione dell’uomo arancione?»
The Panama Canal is considered a VITAL National Asset for the United States, due to its critical role to America’s Economy and National Security.
If the principles, both moral and legal, of this magnanimous gesture of giving are not followed, then we will demand that the Panama… pic.twitter.com/Xrtx8Bk2UW
— Trump War Room (@TrumpWarRoom) December 22, 2024
Vorrei ricapitolare brevemente i rapporti tra Washington e la piccola nazione centroamericana, con qualche mio appunto di anni fa (chiedo scusa per il materiale riciclato, ma i miei vecchi articoli non vengono, forse giustamente, mai letti e in genere i lettori “storici” si dimenticano i miei pezzi seri per ricordarsi solo le boiate che scrivo da ubriaco).
Panama faceva parte della Colombia quando iniziò il progetto del Canale, avviato dai francesi nel 1881. Dopo il fallimento dell’operazione, gli Stati Uniti ne approfittarono per estendere il controllo sull’area, dichiarando Panama una nazione indipendente nel 1903 con un governo fantoccio. Il primo trattato sul Canale, firmato da statunitensi e francesi, stabiliva il controllo americano sulla nuova nazione e sulla Zona del Canale.
Per decenni, Panama fu governata da un’oligarchia sostenuta dagli USA, con frequenti interventi militari per mantenere il controllo politico ed economico sul Paese. L’oligarchia favoriva gli interessi di Washington reprimendo ogni dissidenza e agendo tramite quella entità che il noto John Perkins (nel volume Confessioni di un sicario dell’economia, citato peraltro da Terra Cava nei commenti) definisce con l’espressione “corporatocrazia”, in tal caso comandata da multinazionali come la Standard Oil e la United Fruit Company
Omar Torrijos, salito al potere nel 1968, fu il primo leader popolare che cercò di sottrarre il controllo del Canale agli Stati Uniti. Riuscì a negoziare con Jimmy Carter il Trattato Torrijos-Carter, che sanciva un passaggio graduale del Canale al controllo panamense. Torrijos era noto per il suo interesse alla questione sociale ed era un fiero oppositore del controllo americano sul Paese (per esempio cercò di smantellare i centri di addestramento militari come la famigerata School of the Americas, ribattezzata poi Istituto dell’emisfero occidentale per la cooperazione alla sicurezza per far dimenticare il suo ruolo di “fabbrica dei golpe” in America Latina).
Torrijos valutò inoltre il progetto giapponese di un nuovo canale marittimo, che avrebbe escluso gli USA, iniziativa che fu vanifica dalla sua morte in un incidente aereo nel 1981, che Perkins attribuisce direttamente alla CIA.
Dopo Torrijos, Manuel Noriega inizialmente cercò di seguire le sue orme ma senza lo stesso sostegno popolare, e alla fine anche lui fu deposto dall’invasione americana nel 1989, ufficialmente giustificata con la necessità di destituire il feroce narco-dittatore (gli alibi yankee sono sempre gli stessi).
Per tornare ai giorni nostri, Trump potrebbe riprendersi il Canale o l’intera Panama domattina, attraverso la “diplomazia” (la retorica anti-cinese potrebbe pure fruttargli una coalizione di “persuasori morali”), le pressioni economiche (tramite i bracci della Banca Mondiale e il Fondo Monetario Internazionale e con una massiccia campagna di prestiti e investimenti mirati), oppure addirittura con un intervento diretto, o ancora meglio “indiretto” (operazioni clandestine di vario tipo che verrebbero considerate tali solo dai “complottisti”, nonostante il Presidente repubblicano sia inviso al mainstream).
La sua “base” esulta perché si illude che tramite questa operazione il famigerato complesso militare-industriale scaricherà la propria impellente necessità di dichiarare guerra a qualcuno nel “cortile di casa” (non che io condivida tale dialettica, ma questo è il pensiero dominante anche tra trumpiani della prima ora, isolazionisti e paleo-conservatori).
In verità Donald II ha però già annunciato che Panama, al di là delle ragioni commerciali e di “prestigio”, rappresenta uno snodo fondamentale per la “proiezione di potenza” americana verso il Pacifico. Non sfugga poi che da oltre un decennio Russia e Cina stanno collaborando col Nicaragua per la realizzazione di un canale interoceanico alternativo a quello di Panama, proposta appena rilanciata dal presidente sandinista Daniel Ortega proprio a ridosso della vittoria elettorale di Trump.
Una lettura cinica potrebbe compiacersi del fatto che gli Stati Uniti dovrebbero “sfogarsi” con la “Repubblica delle Banane” di turno e ritirarsi da altre aree del globo terracqueo, ma è una visione consolatoria che definirei quasi post-fisiocratica e che si illude, anche da un’impostazione anti-americana, che gli Stati Uniti siano apportatori di qualche “ordine” (seppur pessimo e “satanico”) a livello internazionale.
Ci sono del resto tanti commentatori che evocano una nuova “Dottrina Monroe”, ma dimenticano come tale ideologia non abbia mai escluso l’espansionismo statunitense verso altri continenti, anzi lo abbia favorito immediatamente (a meno di non voler considerare la proprietà di Filippine e Guam come un “regalo inaspettato” da una “innocente” discesa verso l’America Latina). Evidentemente la geopolitica come intesa da Washington ha davvero poco a che fare con la geografia…
ciao mister!
Bel articolo.
Buon Natale!
Purtroppo il canale di Progetto razzia da te citato (spero non sé la prenda leggendo questo commento) per quanto interessante a parte riempire quella bella oretta con gli ospiti e qui video dove parla da solo.
Il suo canale non serve a nulla.
Già il fatto che dà tutta la colpa al capitalismo ma poi dica non ce alternativa al capitalismo, è grazie ma cosa mi serve questa informazione?
Ha fatto un video su Unabomber, ma non parla di tutta la società del controllo attualmente in Cina tramite monete digitali, controlli faciali, telecamere ecc.
Ha parlato anche di Pentti Linkola, anche l’li la Cina da sola arriva quasi al 30% -28% delle emissioni globali.
Ma io non riesco a notare delle incongruenze nel suo pensiero.