Il disprezzo femminile per l’amor cortese: come gli uomini hanno costretto le donne al “romanticismo”

Sono piuttosto ignorante in materia di poesia trobadorica non perché l’argomento non mi attragga, ma solo per una certa disposizione d’animo che definirei “savonaroliana” (e che oggi, con un rivoltante esotismo, diremmo “talebana”) la quale mi porta a considerare questo stile come gran motore di corruzione e perversione (a differenza di altri genere piuttosto modesti o superficiali, come il rock, il metal o il rap/trap, che tutt’al più possono condurre alla tossicodipendenza o al vandalismo).

Mettendo dunque le mani avanti sulla mia insipienza riguardo l’argomento, posso comunque testimoniare un certo stupore per l’incredibile divario che caratterizza la concezione di “amor cortese” dei trovatori maschi rispetto a quello delle trobairitz. Mi pare che tale contrapposizione emerga particolarmente, solo per fare un esempio, tra Guglielmo IX d’Aquitania e la Contessa di Dia.

Guglielmo di Poitiers, come è noto, ci ha lasciato una manciata di canzoni dalle quali si evince un’evoluzione in senso idealistico verso il sesso: se nelle prime il Poeta descrive in maniera aperta, quasi oscena, le proprie imprese sessuali (Tant la fotei… q’a pauc no·i romped mos corretz et mon arnes, “tanto la scopai che per poco non mi ruppi la correggia e anche l’arnese”), nelle ultime composizioni è evidente uno sviluppo verso significati spirituali, che gli hanno giustamente meritato il titolo di “primo dei trovatori”, nonché padrino del concetto di amor de lonh intrecciato con il simbolismo feudale (che già di per sé conferisva alla “lontananza” un senso più ideale che materiale).

Queste sono due canzoni a cui si può far riferimento (naturalmente mi avvalgo delle versioni musicate disponibili su YouTube): Farai un vers pos mi sonelh & Ab la dolchor del temps novel.

Farai un vers, pos mi sonelh
[Farò un canto, poiché sonnecchio]

en vauc e m’estauc al solelh;
[e cammino e sosto al sole;]

donnas i a de mal conselh
[ci sono donne sconsiderate]

et sai dir cals:
[ed io so dire quali:]

cellas c’amor de cavalier
[quelle che amor di cavaliere]

tornon a mals.
[tengono a male.]

Donna non fai pechat mortal
[Donna non fa peccato mortale]

que ama cavalier leal;
[se ama cavalier leale;]

mas si es monges o clersgal
[ma se ama monaco o chierico]

non a raizo;
[non ha ragione;]

per dreg la deuria hom cremar
[la si dovrebbe bruciare]

ab un tezo.
[con un tizzone.]

La una·m diz en son latin:
[Una mi dice nel suo linguaggio:]

“O, Dieus vos salh, don pelerin.
[“Dio vi aiuti, signor viandante!]

Mout mi senblatz di belh aizin,
[Mi sembrate molto per bene]

mon escient,
[a prima vista,]

mas trop vezem anar pel mond
[ma assai ne vediamo andare per il mondo]

de folla gent.”
[di folle gente.”]

Ar aziret cal respondutz:
[Ora sentite cosa ho risposto:]

anc no li diz ni baf ni butz,
[non le dissi né ai né bai,]

ni fer ni fust no ai mentagutz
[ferro o bastone non menzionai,]

mas sol aitan:
[ma solo questo:]

“Babariol Babarial
[“Babariol, babariol,]

babarian.”
[babarian”.]

So diz N’Agnes a N’Ermessen:
[Ciò disse Agnese ad Ermessenda]

“Trobat avem qe anam qeren!
[“abbiam trovato quel che cercavamo!”]

Sor, per amor Deu, l’alberguen,
[“Sorella, per amor di Dio, ospitiamolo]

qe ben es mutz,
[che è proprio muto,]

e ia per lui nostre conseilh
[da lui i nostri propositi]

non er sabutz.”
[non saran rivelati”.]

La una·m pres sotz son mantel
[Una mi prese sotto il mantello,]

et mes m’en la cambra el fornel;
[e mi condusse in camera, al fornello;]

sapchatz q’a mi fo bon et bel:
[sappiate che fu buono e bello]

el foc fo bos
[e il fuoco giusto]

et eu calfei me volentiers
[ai gran carboni io mi scaldai]

als gros carbos.
[di gusto.]

A maniar mi deron capos
[Da mangiare mi diedero capponi]

et sapchatz agui mais de dos,
[sappiate che erano un bel po’]

et no i ac cog ni cogastros
[non c’erano né sguattero né cuoco,]

mas sol nos tres,
[solo noi tre;]

e·l pans fo blancs e·l vin fo bos
[il pane era bianco, il vino buono,]

e·l pebr’espes.
[il pepe spesso.]

“Sor, si aqest hom es ginhos
[“Sorella, quest’uomo è un gran furbone]

ni laicha a parler per nos;
[ha smesso di parlar per causa nostra]

nos aportem nostre gat ros
[portiamo il nostro gatto rosso]

de mantenent,
[mantinente]

qe·l fara parlar az estros,
[lo farà parlare espresso]

si de re·nz ment.”
[se lui mente.]

N’Agnes anet per l’enoios
[Agnese va a prendere il gattone:]

et fo granz et a gloncz guinhos;
[era grosso e con lunghi baffoni:]

et eu, can lo vi entre nos,
[io, quando fu fra noi,]

aig·n espavent
[n’ebbi spavento,]

qe a pauc non perdei l’amor
[per poco non persi i sensi]

et l’ardiment.
[e l’ardimento.]

Qant aguem begut et maniat,
[Quando avemmo bevuto e mangiato]

e·m despoillei per lor grat;
[mi spogliai come a lor piacque,]

detras m’aporteron lo chat
[sulla schiena mi mettono il gatto]

mal et felon;
[cattivo e fellone;]

la una·l tira del costat
[una lo tira dal costato]

tro al tallon.
[fino al tallone.]

Per la coa de mantenen
[Per la coda, tutto a un tratto]

tiro·l gat, el escoisen;
[tira il gatto e quello graffia]

plaias mi feron mais de cen
[ne ebbi più di cento piaghe]

aqella vetz,
[quella volta;]

mas eu no·m mongra ges enquers
[ma non mi sarei mosso]

qi m’ausizes.
[neanche morto.]

Pos diz N’Agnes a N’Ermessen:
[Poi disse Agnese ad Ermessenda,]

“Mutz es, qe ben es conoissen.
“è proprio muto, mi pare evidente.]

Sor, del bainh non apareillem
[Sorella al bagno prepariamoci]

e del soiorn.”
[e al soggiorno!”]

ueit jorn ez ancar mais estei

[Restai otto giorni e ancora]

az aqel torn.
[in quei dintorni.]

Tant la fotei com auziretz:
[Tanto io le scopai come udirete:]

Cent et quatre-vinz et ueit vetz
[centoottantotto volte,]

q’a pauc no·i romped mos corretz
[per poco non mi ruppi la correggia]

et mon arnes;
[e anche l’arnese;]

et no·us pues dir lo malavegz
[non vi posso dire il male]

tan gran m’en pres.
[che mi prese.]

Ges no·us sai dir los malaveigs
[Proprio non so dirvi il male]

tan grans m’en pres.
[che mi prese!]

La vicenda raccontata sembra molto semplice nel suo erotismo quasi strapaesano (il Duca si finge muto per garantire riservatezza alle due amanti trovate per la via), tuttavia è già di per sé suscettibile di una lettura “esoterica” (la prova iniziatica del gatto sulla schiena per raggiungere il piacere del segreto, da assaporare nel completo silenzio), interpretazione d’altronde giustificata dai testi meno “materiali” composti da Gugliemo, come appunto Ab la dolchor del temps novel.

Ab la dolchor del temps novel
[Nella dolcezza della primavera]

foillo li bosc, e li aucel
[i boschi rinverdiscono, e gli uccelli]

chanton, chascus en lor lati,
[cantano, ciascheduno in sua favella,]

segon le vers del novel chan:
[giusta la melodia del nuovo canto.]

adonc esta ben c’om s’aisi
[È tempo, dunque, che ognuno si tragga]

d’acho dont hom a plus talan.
[presso a quel che più brama.]

De lai don plus m’es bon e bel
[Dall’essere che più mi giova e piace]

non vei mesager ni sagel,
[messaggero non vedo, né sigillo:]

per que mos cors non dorm ni ri
[perciò non ho riposo né allegrezza,]

ni no m’aus traire adenan,
[né ardisco farmi innanzi]

tro qu’eu sacha ben de la fi,
[finché non sappia di certo se l’esito]

s’el’es aissi com eu deman.
[sarà quale domando.]

La nostr’amor va enaissi
[Del nostro amore accade]

com la brancha de l’albespi,
[come del ramo del biancospino,]

qu’esta sobre l’arbr’en creman,
[che sta sulla pianta tremando]

la nuoit, ab la ploi’ez al gel,
[la notte alla pioggia e al gelo,]

tro l’endeman, que·l sols s’espan
[fino a domani, che il sole s’effonde]

per la feuilla vert el ramel.
[infra le foglie verdi sulle fronde.]

Enquer me menbra d’un mati
[Ancora mi rimembra d’un mattino]

que nos fezem de guerra fi
[che facemmo la pace tra noi due]

e que·m donet un don tan gran:
[e che mi diede un dono così grande:]

sa drudari’e son anel.
[il suo amore e il suo anello.]

Enquer me lais Dieus viure tan
[Dio mi conceda ancor tanto di vita]

qu’aia mas mans soz son mantel!
[che il suo mantello copra le mie mani!]

Qu’eu non ai soing d’estraing lati
[Io non ho cura degli altrui discorsi]

que·m parta de mon Bon Vezi;
[che dal mio Buon-Vicino mi distacchino;]

qu’eu sai de paraulas com van,
[delle chiacchere so come succede,]

ab un breu sermon che s’espel:
[per picciol motto che si profferisce:]

que tal se van d’amor gaban,
[altrui van dandosi vanto d’amore,]

nos n’avem la pessa e·l coutel.
[noi disponiamo di pane e coltello.]

La raffinatezza dei concetti si esprime soprattutto tramite i rimandi all’investitura feudale, dove la sottomissione dell’amante-vassallo alla “signora” traspare dall’evocazione di elementi tradizionali della cerimonia  (come il mantello o il coltello, che rifiutano una lettura “terra terra” per tutto l’universo evocato).

Venendo invece Beatritz de Dia, ai nostri giorni la trovatrice viene elogiata soprattutto per il suo spirito anti-romantico (in senso lato), come emerge dalla nota Estat ai en greu cossirier, in cui la Contessa si rammarica di non essersi data a un bel cavaliere e sogna di offrirsi a lui “come cuscino” e di farsi strapazzare “al posto di mio marito”.

Estat ai en greu cossirier
[Ho conosciuto grave tormento]

per un cavallier q’ai agut,
[per un cavaliere che ho avuto]

e voill sia totz temps saubut
[e voglio sia sempre saputo]

cum eu l’ai amat a sobrier;
[come io l’ho amato sino alla follia;]

ara vei q’ieu sui trahida
[M’accorgo adesso che sono tradita]

car eu non li donei m’amor,
[perché a lui non donai il mio amore;]

don ai estat en gran error
[per questo son stata in gran dolore]

en lieig e qand sui vestida.
[(nuda) nel letto e da vestita.]

Ben volria mon cavallier
[Lo vorrei il mio cavaliere]

tener un ser e mos bratz nut,
[una sera fra le mie braccia nudo]

q’el s’en tengra per ereubut
[perché sarebbe pazzo di piacere]

sol q’a lui fezes cosseillier:
[solo che gli facessi da cuscino;]

car plus m’en sui abellida
[perché di lui sono più invaghita]

no fetz Floris de Blanchaflor:
[di Florio con Biancofiore;]

eu l’autrei mon cor e m’amor
[darei a lui il mio cuore e il mio amore,]

mon sen, mos huoills e ma vida.
[il mio senno, i miei occhi, la mia vita.]

Bels amic, avinens e bos,
[Bello, avvenente e buon amico,]

cora us tenrai e mon poder?
[vi avrò mai in mio potere?]

E que jagues ab vos un ser
[E stretta accanto a voi possa giacere]

e qu’us des un bais amoros?
[per darvi un bacio d’amore?]

Sapchatz, gran talan n’auria
[Sappiate che ho una gran voglia]

qu’us tengues en luoc del marit,
[di avervi al posto di mio marito]

ab so que m’aguessetz plevit
[appena voi giurate in pegno]

de far tot so qu’eu volria.
[di far tutto quello ch’io voglia.]

È vero, l’amor de lohn provenzale può risultare stucchevole e stereotipato, ma il disprezzo a esso riservato da taluni interpreti mi ricorda quel famoso motto di Wilde, Your cynicism is simply a pose, soprattutto alla luce del fatto che non parliamo di canzonette pop (posto che anche quest’ultima conservano una qualche nobiltà nel tramandare l’essenza primordiale del fin’amor).

Ovviamente questa differenza nell’esprimer l’amor cortese, o per meglio dire di tramandarlo (nei trovatori) o negarlo (nelle trobairitz), potrebbe significare tutto e niente: per tagliare con l’accetta, c’è chi ammira il sentimentalismo di “selvaggi signori” che dalla loro posizione di potere avrebbero potuto accoppiarsi con qualsiasi dama e invece spiritualizzano la materia in maniera non banale, e chi invece pensa che il rifiuto della carnalità fosse una paranoia dettata dalla “cultura” dell’epoca (che essi attribuiscono al cattolicesimo ma che in realtà andrebbe forse rintracciata più nel catarismo).

A mio parere, tale dicotomia è suscettibile di fornire qualche indicazione in più su come donne e uomini concepiscono l’amore e il sesso. Il pregiudizio vorrebbe il maschio più materiale e facilmente eccitabile, mentre la donna spirituale e sognatrice, insomma romantica. In verità, come si è potuto osservare dai più recenti sviluppi delle società occidentali (che replicano le dinamiche ancestrali da cui nacque il patriarcato come reazione all’osceno dominio delle matriarche), la mentalità “romantica” è una creazione maschile che è stata imposta alle donne nella prospettiva di garantire una qualche continuità alla specie.

Insistere sulla matrice “catara” dell’amor de lohn è un esercizio affascinante ma in sostanza privo di “carità” a livello interpretativo (e non sto scomodando il concetto di “carità interpretativa”!), come si può apprezzare nell’opera più nota che ha solidificato la correlazione nel sentimento collettivo, L’Amore e l’Occidente di Denis de Rougemont.

Il filosofo svizzero (che, a scanso di equivoci, considero un grandissimo intellettuale) si “innamora” (absit iniura verbis) troppo della sua tesi, fino a sostenere che persino Shakespeare avrebbe rilanciato tematiche “catare” (il mito mito della passione e dell’amore-morte) in Romeo e Giulietta, addirittura giungendo a sostenere che “Verona fu uno dei centri principali del catarismo in Italia”.

Come è invece risaputo (devo le considerazioni che seguono al mio amico Carlo S.), la scelta dell’ambientazione veronese non è stata di Shakespeare ma delle fonti italiane a lui più prossime cronologicamente (mentre nelle prime versioni la vicenda si svolgeva a Siena). Per non dire che il matrimonio tra i due amanti non solo viene celebrato regolarmente, ma anche consumato (quando mille contrattempi drammaturgici avrebbero potuto comodamente impedire ai due di conoscersi carnalmente, preservando la “purezza” del loro sentimento).

Questa lettura, dunque, è esagerata, così come quella opposta che vorrebbe il romanticismo come sintomo di una passione non sfogata nella “sana e consapevole libidine” (sempre assumendo che “sanità” e “consapevolezza” possano convivere a livello sessuale, ma le fantasie del più triste e puritano dei libertinismi le lasciamo agli anni ’70 del secolo scorso).

L’emersione dell’amor cortese andrebbe forse letta in una prospettiva sociobiologica, per la quale la nascita di una coscienza paradossalmente “spirituale” e “disincarnata” risponderebbe alla necessità di imporre un limite al potere distruttivo dell’erotismo femminile. In ambito sessuale, al di là di qualsiasi cliché, a quanto risulta sarebbero le donne le vere “cavernicole”, nel senso di adoratrici dell’aspetto fisico e di qualità piuttosto “ancestrali” nel modo di approcciarsi, nonché portatrici di una visione assolutamente miope sulle possibilità di sopravvivenza della propria specie (che non sono dettate da un qualche “istinto animale”, considerando che la natura tende tragicamente all’auto-distruzione e l’uomo è l’unica creatura in grado di poter sfidare questo destino).

Tale tendenza emerge, sempre “in tempi non sospetti” (è proprio il caso di dirlo!), nel Cywydd y Cedor della poetessa gallese Gwerful Mechain (1460–1502), un componimento che celebra l’organo sessuale femminile e biasima i “colleghi” che disdegnano l’argomento. Purtroppo non esiste una versione “musicata”, e a dirla tutta nemmeno una traduzione italiana (alla quale ho modestamente provveduto), tuttavia su YouTube è disponibile una versione recitata dal sottinteso evidentemente femminista (il contesto però è irrimediabilmente “medievale”, in particolare nel connubio tra erotismo e religione che caratterizza l’opera della poetessa, almeno in questo irricevibile al gusto moderno).

Pob rhyw brydydd, dydd dioed,
[Ogni stupido poeta ubriacone]

mul frwysg, wladaidd rwysg erioed,
[che sputa vanità senza sosta,]

noethi moliant, nis gwrantwyf,
[e posso attestarlo,]

anfeidrol reiol yr wyf,
[io di nobile stirpe]

am gerdd merched y gwledydd
[ha sempre declamato sterili lodi]

a wnaethant heb ffyniant ffydd
[nel canto per le donne delle valli,]

yn anghwbl iawn, ddawn ddiwad,
[tutto il giorno, nel modo più imperfetto]

ar hyd y dydd, rho Duw Dad:
[al dono più certo datoci da Dio Padre:]

moli gwallt, cwnsallt ceinserch,
[lodando i capelli, le vesti raffinate]

ac obry moli heb wg
[e poco più in basso, cantando gioiosamente]

yr aeliau uwchlaw’r olwg;
[le sopracciglia sopra gli occhi;]

moli hefyd, hyfryd dwf,
[lodando anche, bella forma,]

foelder dwyfron feddaldwf,
[la morbidezza del seno morbido,]

a breichiau gwen, len loywlun,
[e le braccia dell’amata, drappi ammalianti]

dylai barch, a dwylaw bun.
[che le fanno onore, e le sue mani.]

Yno o’i brif ddewiniaeth
[Quindi con le sue rime migliori]

cyn y nos canu a wnaeth,
[prima del calar della notte cantava]

Duw er ei radd a’i addef,
[rendendo omaggio alla grandezza di Dio]

diffrwyth wawd o’i dafawd ef:
[con elogio sterile dalla sua lingua:]

gadu’r canol heb foliant
[lasciando il centro senza lode,]

a’r plas lle’r enillir plant,
[il luogo in cui i bambini sono concepiti,]

a’r cedor clyd, rhagor claer,
[la calda passera, eccellente fra tutte,]

tynerdew, cylch twn eurdaer,
[tenera e soffice, cerchietto spezzato fervente e brillante,]

lle carwn i, cywrain iach,
[dove ho potuto amare, in perfetta salute:]

y cedor dan y cadach.
[quella passera sotto le mie vesti.]

Corff wyd diball ei allu,
[Sei un organo di forza illimitata,]

cwrt difreg o’r bloneg plu.
[una corona ben ordinata di piumaggio carnoso.]

Llyma ‘ynghred, teg y cedawr,
[Dichiaro perciò che la passera è onesta,]

cylch gweflau ymylau mawr,
[cerchio di labbra ad ampia bordatura,]

pant yw hwy na llwy na llaw,
[è una valle più lunga di un cucchiaio o di una mano,]

clawdd i ddal cal ddwy ddwylaw;
[un fossato per tenere un pene lungo due pertiche;]

cont yno wrth din finffloch,
[una figa nei pressi di un culo tondo]

dabl y gerdd â’i dwbl o goch.
[platea del canto col suo doppio in rosso.]

Ac nid arbed, freisged frig,
[E i santi più santi, gli uomini di Chiesa,]

y gloywsaint, gwyr eglwysig
[quando ne hanno la possibilità, regalo perfetto,]

mewn cyfle iawn, ddawn ddifreg,
[non perdono l’occasione per la massima benedizione]

myn Beuno, ei deimlo’n deg.
[di Beuno, per dargli una bella sensazione.]

Am hyn o chwaen, gaen gerydd,
[Per questo motivo continua la mia reprimenda]

y prydyddion sythion sydd,
[a tutti voi orgogliosi poeti:]

gadewch heb ffael er cael ced
[lasciate che i carmi alla passera circolino]

gerddau cedor i gerdded.
[e trovino fortuna e siano tramandati.]

Sawden awdl, sidan ydiw,
[Sultana delle odi, morbida come seta]

sêm fach, len ar gont wen wiw,
[fessurina, tendina drappeggiata su un dolce buchetto,]

lleiniau mewn man ymannerch,
[due belle frappe che si incontrano in un luogo lieto,]

y llwyn sur, llawn yw o serch,
[un boschetto dolceamaro pieno d’amore,]

fforest falch iawn, ddawn ddifreg,
[foresta formidabile, dono impareggiabile,]

ffris ffraill, ffwrwr dwygaill deg,
[tenero fregio, pelliccia di una bella coppia di palle,]

breisglwyn merch, drud annerch tro,
[il folto boschetto di una ragazza, cerchietto di amore prezioso,]

berth addwyn, Duw’n borth iddo.
[bel cespuglio, che Dio la benedica.]

Tale exploit rivela la tendenza insopprimibile da parte delle donne di celebrare la loro corporeità (della quale la maschile non è che un “complemento”, specialmente in chiave libidica) in qualsiasi contesto, persino nel momento in cui rischiano la censura, l’imprigionamento o il rogo.

Il romanticismo, inteso come idealizzazione dell’amore e sublimazione del desiderio, apparirebbe perciò  un prodotto esclusivo della “cultura maschile”. La codificazione del desiderio sessuale in un linguaggio cavalleresco o mistico fu probabilmente un tentativo di staccarsi da una “terra” che non pareva in grado di soddisfare gli impulsi profondi dell’essere umano, i quali evidentemente imporrebbero un’eterna ricerca dell’equilibrio tra carne e spirito (terra e cielo, umano e divino).

L’amor cortese potrebbe essere perciò solo una costruzione maschile per rispondere a un problema biologico e sociale: gli uomini, non avendo il medesimo potere di selezione sessuale delle donne, avrebbero sviluppato l’idealizzazione amorosa come mezzo per costruire società più stabili da diversi punti di vista. Forse è proprio a causa di ciò che, lasciate libere di esprimere i propri desideri più profondi (che però nemmeno esse, sulla lunga distanza, sono in grado di razionalizzare), le donne arrivano a disprezzare in maniera categoria qualsiasi romanticismo, fino a estendere il proprio astio a ogni espressione di nobiltà d’animo, decenza e sobrietà.

In conclusione, è chiaramente sbagliato porre queste creature sul proverbiale “piedistallo”, ma tale è l’esito che bene o male ogni “cultura” di tal nome raggiunge nella prospettiva di consolidarsi e prosperare.

Pubblicità

AVVERTENZA (compare in ogni pagina, non allarmatevi): dietro lo pseudonimo Mister Totalitarismo non si nasconde nessun personaggio particolare, dunque accontentatevi di giudicarmi solo per ciò che scrivo. Per visualizzare i commenti, cliccare "Lascia un commento" in fondo all'articolo. Il sito contiene link di affiliazione dai quali traggo una quota dei ricavi. Se volete fare una donazione: paypal.me/apocalisse. Per contatti bravomisterthot@gmail.com.

One thought on “Il disprezzo femminile per l’amor cortese: come gli uomini hanno costretto le donne al “romanticismo”

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito utilizza Akismet per ridurre lo spam. Scopri come vengono elaborati i dati derivati dai commenti.