Come Imparare Trenta Lingue

Niente clickbaiting (almeno non da parte mia): il titolo è di un articolo della BBC dedicato a una conferenza internazionale di poliglotti tenutasi a Berlino nel 2014: How to learn 30 languages (D. Robson, 29 maggio 2015). Non si tratta della solita sponsorizzazione occulta di qualche “nuovo metodo infallibile”, ma di un tentativo di presentare finalmente il tema da un punto di vista scientifico.

Mi stupisce come molte suggestioni ricavate solamente dall’esperienza trovino finalmente un riscontro: in primo luogo, la conferma che le teorie legate dall’ipotesi del periodo critico (=“si può imparare una lingua solo da piccoli”), siano fanfaluche o, per dirla con la BBC, a bunch of crap. Non che ci volesse chissà quale ricerca per capirlo: se una cosa è così semplice che anche un bambino può impararla, perché non dovrebbe riuscirci un adulto?

Tutte le paranoie sull’immediato e inarrestabile invecchiamento del cervello appena usciti dall’infanzia assomigliano infatti a un alibi; paradossalmente, proprio chi è convinto dell’esistenza del “periodo critico” è come se mettesse in atto una self-fulfilling prophecy, precludendosi le possibilità offerte dall’apprendimento di una nuova lingua, che vanno dall’incremento della neuroplasticità alla creazione una “riserva cognitiva” in grado di rallentare l’imbacucchimento.

In secondo luogo, nell’articolo si osserva che “multilingual people often adopt different behaviours according to the language they are speaking”. Anche qui, la questione è in fondo molto semplice: parlare un’altra lingua vuol dire entrare in un nuovo universo, e in un certo senso diventare un’altra persona. Solo così si possono costruire “barriere neurali tra le lingue” [neural barriers between the languages]. Ovviamente questo non significa che la lingua sia in grado di influenzare i comportamenti di una persona, o che esista un collegamento “naturale” tra parlare italiano e mangiare la pizza, ma solo che le divisioni artificiali create a livello mentale a un dato momento si manifestano esteriormente.

Per certi versi ciò potrebbe rappresentare un incentivo a mettersi in gioco per chi non ha molta stima di se stesso e a volte vorrebbe essere un’altra persona. Come cantava il Poeta, “ma se la vita all’interno ti pesa | tu la porti al di fuori”. Persino l’introversione alla quale, sempre dal punto di vista culturale (ripeto: non stiamo parlando di associazioni innate) obbligherebbero alcune lingue ugrofinniche, andrebbe comunque “portata al di fuori”, per esempio nella mimesi del tipico carattere nordico incline al silenzio, alla contemplazione e al suicidio (si scherza).

Chiaramente non si può ragionare solo per stereotipi: anche una maschera immaginaria, come quella dell’olandese eterosessuale, del polacco astemio o dell’arabofono femminista (si scherza ancora) potrebbe “funzionare” a seconda della prospettiva da cui si parte. In generale però la persona si costruisce soprattutto a contatto con i parlanti nativi, dunque assimilando e introiettando, anche involontariamente, un numero incalcolabile di cliché.

Eccetera, eccetera. Inutile tediarvi con le altre straordinarie scoperte a cui sono pervenuto, e che la science (des solutions imaginaires) ora conferma. Piuttosto veniamo al punto, vale a dire: una volta appurato che si – può – fare, perché imparare trenta lingue?

Il motivo lo spiega l’articolo stesso: “The chance to make friends and connections, even across difficult cultural barriers”. Per tradurlo in italiano dovremmo usare qualche volgarissima sineddoche, quindi preferiamo dirlo con un’espressione inglese: A girl in every port. L’argomento in verità è ancora oggetto di dibattito: per esempio l’irlandese Benny Lewis, una delle “star” del poliglottismo, dimostra che alla fin fine non si rimedia poi molto. In effetti, non ha molto senso imparare trenta lingue per avere trenta donne, soprattutto nel caso tu sia calvo, sovrappeso e impacciato (sto sempre parlando di Lewis). È come quando, per l’identico motivo, si vuole diventare musicisti, oppure attori, o anche ragionieri (perché qualsiasi cosa faccia un uomo è sempre diretta a tale scopo). Nel caso in questione tuttavia non si vuole alludendo a un puttan tour internazionale in compagnia dell’amico di Martucci, quanto a un ideale unione del poliglottismo alla poligamia: tutto perciò, s’intende, a livello della fantasia più pura.

Per chi non idea da dove cominciare, suggerirei innanzitutto di dotarsi di una buona mnemotecnica (da un punto di vista “teorico”, sarebbe utile leggere L’arte della memoria di Frances A. Yates, mentre da quello “pratico” L’arte di ricordare tutto di Joshua Foer) e poi di seguire i consigli degli stessi poliglotti (l’articolo della BBC ne contiene alcuni, seppur banali, come esercitarsi un’ora al giorno o ascoltare musica leggera nella lingua che si desidera apprendere). Il traguardo delle trenta lingue può essere raggiunto in dieci anni al ritmo di una lingua ogni quattro mesi: l’importante è cominciare da ora.

3 thoughts on “Come Imparare Trenta Lingue

  1. Articolo davvero interessante. Sto pensando seriamente di imparare una nuova lingua (per essere più precisi mi piacerebbe apprendere il russo).
    Credo che il libro di Foer sarà la mia prossima lettura natalizia.
    Una volta che avrò una buona mnemotecnica come dovrei procedere secondo te?

    1. Mi fa piacere che tu abbia accettato al “sfida”. Il russo me lo stanno chiedendo in molti, dunque a questo punto penso preparerò direttamente delle “dispense” e le metterò sul blog per chi vorrà seguirle.

      1. Ti ringrazio, quella delle dispense mi sembra una buona idea.
        Ho deciso di provare, spero solo di non arenarmi a metà del guado: riuscire a rimanere motivati per diversi mesi e avere la costanza di studiare ogni giorno è molto difficile.

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