Da tempo continua a perpetrarsi un equivoco sulla “sovraesposizione mediatica” di Matteo Salvini, peraltro giustificato solo fino a quando non è diventato Ministro degli Interni (lamentarsene ora è piuttosto ridicolo).
Un dettaglio spassoso riguardo a quelli che sospettano il grande “complotto” sovran-populista è che la loro indignazione in fondo è la stessa del povero Berlusconi, che dal 2014 fino alla recente intervista da Fabio Fazio, ha sempre trovato modo di biasimare l’ubiquità catodica del leader leghista.
Dunque è difficile ipotizzare che dietro tutto ciò ci sia qualche oscura e malevola “internazionale nera”, o le famigerate “FODRIA” (Forze Oscure Della Reazione In Agguato, curioso acronimo d’antan): al contrario, è molto più probabile che a creare involontariamente il “mostro Salvini” siano stati gli spin doctor di quell’altro Matteo (che tutti vorrebbero dimenticare, in primis gli elettori del suo partito).
Se osserviamo in prospettiva le vicende politiche degli ultimi anni, notiamo come la fortuna mediatica del “Matteo cattivo” coincida perfettamente con il cosiddetto “Patto del Nazareno”: col senno di poi, non è così difficile credere che l’incessante tour televisivo di Salvini sia stato favorito dalle stesse forze che avevano in mano il Quarto Potere.
Non ho idea di come gli esperti di comunicazione definiscano la pratica, ma per quel che mi riguarda io la chiamerei “strategia del cannibale”: si tratta di una forma di propaganda che consiste fondamentalmente nel mettere in difficoltà l’opposizione facendola appunto “cannibalizzare” dagli estremisti. L’esempio più ovvio è quello di Mitterand, che letteralmente “inventò” il lepenismo per garantire ai socialisti una formidabile arma di “ricatto” nei confronti della destra moderata.
Tuttavia si potrebbero citare decine di casi, anche più tragici, perché la “cannibalizzazione” è prassi consolidata dell’imperialismo sia americano che russo: anche in tempi recenti, nel conflitto ucraino come in quello siriano, Svoboda e l’Isis hanno maciullato mediaticamente gli “insorti risorgimentali” da una parte e i “ribelli moderati” dall’altra. A scanso di equivoci, non sto sostenendo che neonazisti e jihadisti non esistano, anzi hanno fornito un indispensabile supporto (in forma di “carne da cannone”) in queste “guerre per procura”, ma il fatto che invece di essere spazzati via (come accade in qualsiasi regime change) si siano trasformati in una spina nel fianco dei nuovi padroni, dimostra che qualcosa è andato storto.
In effetti anche l’esempio francese ci insegna che talvolta il “gioco” può finire male, perché nonostante il “diavolo” Le Pen sia servito a manipolare il voto ancora nell’ultimo ballottaggio, non si può escludere che, a furia di tirare la corda, il Front National riesca davvero superare il 50%.
Se possiamo pertanto interpretare il lepenismo come uno spin mitterandiano, allo stesso modo dovremmo guardare al “salvinismo” come a uno spin renziano: il fatto che uno abbia resistito per decenni e l’altro giusto qualche mese credo dipenda soprattutto dalla “caratura” di chi l’ha messo in pratica (avete presente il rapporto tra la cioccolata e la sostanza indicabile -per restare in tema- con quel francesismo di cambronniana memoria?).
La salvinizzazione in vitro dei media, col senno di poi, appare di conseguenza come uno stratagemma per tenere Berlusconi ancorato al “Nazareno” e alle prospettive che esso apriva, come quella di un Front Républicain all’amatriciana del quale ormai si vocifera sempre più apertamente. Se la strategia ha fallito nel peggiore dei modi possibili, facendo passare Salvini da panchinaro leghista a God Emperor, non è però solo per l’incapacità di chi ha voluto metterla in atto: onestamente bisogna riconoscere che la situazione internazionale non ha aiutato.
Nel giro di sei mesi la Brexit e Trump hanno infatti spazzato via decenni di narrazioni “magnifico-progressiste” (inclusa la conventio ad excludendum imposta dal “moderatismo”): vogliamo ricordare, tra l’altro, che anche questi due epocali rivolgimenti nella vita politica occidentale scaturirono dalla “strategia del cannibale” (che in ambito anglosassone a quanto pare diventa “del pifferaio magico“), da una parte a causa della “scommessa” di Cameron sul referendum anti-europa inglese (che pensava di trasformare in un plebiscito a suo favore) e dall’altra per l'”impresentabilità” del candidato repubblicano (che i democratici auspicavano garantisse in automatico una vittoria schiacciante alla Clinton).
Epperò va aggiunto che, una volta intuita la malaparata, la toppa che si è cercato di mettere è stata peggiore del buco: ormai Salvini sta alla propaganda politica come l’antimateria alla materia. È uno spin che ha preso vita e in virtù di ciò può resistere a tutti gli altri spin: è anche per questo che la stampa non sa più come trattarlo (un giorno è Talleyrand, un altro lo scemo del villaggio) e nel bene e nel male è costretta continuamente a parlarne anche quando non ne parla.