Con Trump il governo Meloni rischia un bel rimpasto?

Come noto, dopo il 1989 e Mani Pulite, i governi italiani, causa dissolvimento del blocco sovietico, unipolarismo, globalizzazione ecc, sono molto più suscettibili alle variazioni d’oltreoceano: nel corso degli ultimi tre decenni abbiamo assistito a rimpasti, ribaltoni e abdicazioni verificatesi con un sincronismo sospetto rispetto a quanto accadeva a Washington, e che dopo le stagioni clintoniane, bushiane e obamiane nell’ultimo lustro si è intensificato in maniera eclatante, prima con l’imprevedibile coalizione populista giallo-verde e poi con la defenestrazione immediata di Giuseppi Conte a seguito dell’insediamento dell’Amministrazione Biden, che ha imposto il suo uomo di fiducia Mario Draghi come “tecnico”.

Una premessa complottista, lo ammetto, ma il meccanismo ormai è talmente palese che si fa fatica a credere che qualsiasi avvicendamento alla Casa Bianca possa risultare innocuo per l’esecutivo italiano di turno: d’altro canto, una lettura del genere, lungi dal condurre verso analisi schematiche e riduttive (come quella che vorrebbe la Meloni perfettamente allineata al trumpismo), consentirebbe al contrario di osservare gli eventuali cambi d’equilibro all’interno della maggioranza di centro-destra da una prospettiva più ampia.

Bisogna però partire in primis da un dato abbastanza pacifico: la Meloni “di governo” non è la stessa che nel marzo 2019 così come nel febbraio 2022 partecipava al famigerato CPAC, la megaconferenza dei conservatori d’oltreoceano, prima in qualità di “giovane promessa” trumpiana e poi di “risorsa populista” euro-orbaniana. In verità già da quel momento in avanti, con l’inizio del conflitto in Ucraina, la leader di Fratelli d’Italia aveva cominciato a scendere di parecchie posizioni nella classifica degli asset del buon Donald, senza tuttavia temere chissà quali ripercussioni, poiché all’epoca il tycoon era praticamente dato per spacciato non solo dal punto di vista politico.

Forse anche per questo Giorgia ha davvero esagerato nel sostegno incondizionato a Kiev, al cospetto soprattutto di una coalizione che ha al suo interno due anime piuttosto critiche sui risvolti dell’atlantismo a livello eurasiatico (parlo ovviamente dei berlusconiani e dei salviniani). Aver addirittura usato l’alibi del conflitto russo-ucraino per rivedere le proprie posizioni anti-europeiste e mettere in difficoltà persino l'(ex?) amico Orbán (in taluni frangenti si sarebbe potuto parlare apertamente di “tradimento”) ha di certo costretto qualche consigliere di Trump a stilare più di un dossier su di lei.

Al di là però dei problemi sul fronte orientale, il vero cruccio della Meloni dovrebbe esser quello di aver tradito il mandato sovranista anche a livello di politica interna: una volta giunta al potere, la Nostra ha infatti mostrato un volto ben diverso, a tratti enigmatico, compiendo scelte obiettivamente sconcertanti persino agli occhi degli elettori più entusiasti. Alla luce di tale condotta, l’entourage trumpiano è ora consapevole che non una delle possibili iniziative in materia di immigrazione o reindustrializzazione (giusto per citare un paio di temi scottanti) che assumerà la nuova Amministrazione a Washington troveranno terreno fertile a Roma, neppure in virtù di un consensus granitico.

Ciò che va aggiunto, per quanto ovvio, è che la Meloni si sarebbe altresì trovata in difficoltà nel caso di una vittoria della Harris, poiché Kamala non avrebbe chiaramente accettato di trattare con un governo conservatore, per giunta in odore di putinismo. Alla fin fine, sembra che l’unico con cui avrebbe forse potuto “sfangarla” sarebbe stato proprio il caro vecchio Joe, che pur di spupazzarsela e abbracciarsela ancora una volta le avrebbe garantito qualche margine di libertà.

Il discorso è provocatorio, ma taluni politologi hanno descritto praticamente negli stessi termini la presunta liaison sorta tra la premier italiana e Elon Musk come una sagace manovra della prima per circuire l’ingenuo imprenditore e trovarsi già la porta spalancata nel momento in cui dovrà correre alla corte di Trump.

Certo, il paraculismo meloniano può toccare vette estreme di “seduzione” (senza doppi sensi, ovviamente), ma qualsiasi iniziativa in tale ottica non potrà che scontrarsi con i limiti imposti dalla volontà degli alleati, tra i quali qualcuno ha già dimostrato una dose di opportunismo ai limiti della sventatezza (ricorderete cosa combinò un certo Matteo nell’estate del 2019, suggestionato da chissà quali panorami – politici, s’intende).

La dimensione “domestica” della nuova ondata trumpiana interseca poi la questione europea, che rappresenta un ulteriore terreno minato per la Meloni, perché da una parte le iniziative in campo militare ed economico della prossima Amministrazione americana avranno un effetto centripeto sulle politiche di Bruxelles indipendentemente dai colori politici degli esecutori (che in Ue abbiamo capito non contare nulla). Quindi anche in tal caso non si comprende come Giorgia riuscirà a tenere assieme una Von der Leyen e un Orbán, o almeno un Tajani e un Salvini.

Per quanto Trump abbia assunto una veste moderata in parecchi ambiti (forse anche troppi), nel suo secondo mandato immagino vorrà garantirsi larghissimi spazi di manovra almeno nei confronti del Vecchio Continente, soprattutto nel momento in cui dovrà gestire un’opposizione interna piuttosto minacciosa.

Dunque, sempre per giocare alla fantapolitica, penso che a febbraio 2025 accadrà qualcosa anche a casa nostra, magari solo un rimpastino che si avvalga o del putinismo moderato degli eredi di Berlusconi oppure di un rinnovato slancio “sfascista” della Lega a livello europeo, il quale garantirà a Donald -pure sulla breve distanza- di non contare solo ed esclusivamente sull’amico Viktor.

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One thought on “Con Trump il governo Meloni rischia un bel rimpasto?

  1. Finalmente qualcuno si è accorto di questa clamorosa coincidenza di allineamento tra la situazione politica americana e quella italiana, sono parecchi anni che lo faccio notare. Tuttavia dal 2019 in poi questo giochino è saltato: prima abbiamo avuto il Conte Bis, con il ritorno del PD al governo (mentre il governo gialloverde era trumpismo puro, seppur in salsa italica), mentre poi nemmeno un democrat alla Casa Bianca ha potuto evitare la vittoria di Meloni. Si sono rimescolate le carte e alla fine è stata la Meloni a bidenizzarsi (almeno in politica estera), ora vediamo come se la caverà con la questione Ucraina (va detto che dal 7 ottobre 2023 si sono parzialmente abbassati i toni su quel fronte da parte del governo)

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