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Con Trump le nazioni si preparano a un mondo post-europeo (WSJ)

Traduzione dell’articolo di Walter Russell Mead per il Wall Street Journal,Nations Prepare for a Post-European World (6 gennaio 2025). I conservatori tornano a suonare la fanfara della Guerra Fredda, eppure oggi nonostante il femminismo imperante a nessuno sovviene la metafora della moglie (europea) che è “caduta dalle scale”…

Mentre Donald Trump predispone il suo trionfale ritorno alla Casa Bianca, gli alleati americani in Europa si stanno rendendo conto di una spiacevole realtà. Nel secondo mandato di Mister Trump, gli Stati Uniti saranno più forti rispetto ai loro principali alleati come mai prima d’ora negli ultimi decenni, e il repubblicano sarà ancor più dirompente e controverso della prima volta.

Purtroppo, fatta eccezione per gli Stati Uniti, gran parte dell’Occidente è sprofondata nel declino. Una generazione di “prestazioni scadenti” in Unione Europea e Giappone ha portato i partner tradizionali dell’America a offrirle sempre meno aiuto anno per anno. Il Giappone sembra essere in fase di risveglio. Ma molti dei nostri più importanti alleati europei sono ancora invischiati in tre decenni di fallimento economico, politico e strategico.

Dal punto di vista economico, i nostri partner e amici europei stanno perdendo le sfide dell’era digitale, non generando né le nuove tecnologie né le aziende che il XXI secolo richiederebbe. L’adesione a politiche climatiche disastrose riduce la loro competitività. La loro politica NIMBY [Not In My Back Yard, “Non nel mio cortile”] soffoca la crescita e i welfare insostenibili riducono ulteriormente le loro prospettive.

Dal punto di vista politico, i nostri amici europei non sono riusciti a rendere grande l’UE. I singoli Stati sono troppo piccoli per avere un impatto considerevole sugli eventi globali e quando cercano di agire insieme, la loro influenza non è comparabile alla loro importanza. La burocrazia dell’UE si muove troppo lentamente e spesso con troppe riserve e compromessi per mantenere il posto dell’Europa tra i principali attori internazionali. Nel frattempo, in parte a causa di un massiccio fallimento nella gestione della politica migratoria e delle sue conseguenze, l’establishment politico in un Paese dopo l’altro sta perdendo terreno rispetto ai movimenti estremisti, a volte di sinistra ma più spesso di destra.

Dalla prospettiva strategica, il fallimento è ancor più drammatico. L’Europa è più vulnerabile ai disordini in Medio Oriente, all’aggressione russa e alle politiche economiche predatorie cinesi rispetto agli Stati Uniti, ma le sue risposte a questi e ad altri problemi sono tanto inette quanto insufficienti. Anche se ondate di rifugiati da un Medio Oriente e Nord Africa in esplosione hanno innescato crisi politiche e sociali in tutta Europa, la diplomazia europea è rimasta sostanzialmente irrilevante in quell’area.

L’Europa ha assistito inerte di all’interferenza degli Houthi con il commercio del Mar Rosso, Mosca ha cacciato Parigi dall’Africa, e a quasi tre anni dalla guerra in Ucraina, Bruxelles alimenta ancora la macchina da guerra di Putin acquistando energia russa. Le politiche verdi mal concepite dell’Europa hanno consentito alla Cina di distruggere l’industria automobilistica, un pilastro dell’economia e della stabilità sociale europea.

Di conseguenza, l’Europa ha più che mai bisogno degli Stati Uniti, ma è meno ben posizionata per influenzare la politica americana, o per aiutare Washington ad affrontare le numerose sfide globali, mai come in qualsiasi altro istante degli ultimi decenni. Ecco perché i leader delle (ex) grandi potenze europee tremano a ogni tweet di Trump da Mar-a-Lago e perché il secondo mandato del repubblicano riserva più incertezze per l’Europa rispetto al primo.

Per gli europei, l’abbandono del sostegno acritico a Joe Biden sarà doloroso. “La Germania è l’alleato più stretto e importante del mio Paese”, ha dichiarato il Presidente uscente al cancelliere tedesco Olaf Scholz in ottobre. Per il Team Biden, andare d’accordo con la Germania rappresentava il fondamento di una politica estera avveduta. Che i tedeschi tuttavia si siano sbagliati ripetutamente e platealmente su Russia, Cina, Iran, clima, migrazione, nonché sulla necessità di una difesa forte e sulle condizioni delle loro stesse economie, pare non sia stato recepito da un Presidente americano la cui visione del mondo risale agli anni ’70 e ’80.

Date le circostanze, è facile comprendere la Schadenfreude con cui gran parte del mondo MAGA osserva un’Europa indebolita e demoralizzata. Il disprezzo con cui la Germania e l’establishment del Vecchio Continente hanno generalmente respinto le critiche giuste e autorevoli del presidente Trump alle politiche estere e interne europee continua a risultare irritante.

Non importa però quanto sia piacevole tale spettacolo: “regolare i conti” non è il modo per rendere di nuovo grande l’America. Il declino europeo non fa bene agli Stati Uniti. Con l’asse dei “revisionisti” [?] in agguato, il Team Trump avrà bisogno di tutto l’aiuto possibile, e l’obiettivo dell’America deve essere quello di resuscitare l’Europa piuttosto che danzare sulla sua tomba.

L’Europa ha abdicato al suo ruolo nella storia. La prossima amministrazione deve lavorare con partner come il Giappone che possiedono quella chiarezza strategica che manca a così tanti europei. Paesi come Israele, India, Emirati Arabi Uniti e Arabia Saudita hanno interpretato i segni dei tempi in modo più accurato dei nostri amici europei. Il risveglio dell’Argentina dal sogno febbrile del peronismo crea importanti opportunità nell’emisfero occidentale. Indonesia, Filippine, Vietnam e Thailandia sono più importanti della maggior parte degli Stati europei per il futuro della politica estera americana.

Le parole di Biden a Scholz sono state sincere e sentite. L’Europa non è tuttavia più il centro dell’universo della politica estera americana e, a meno di una ripresa quasi miracolosa, i futuri presidenti seguiranno probabilmente l’esempio di Mister Trump nel pianificare le loro politiche per il nuovo mondo post-occidentale.

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