Lo storico americano Donald T. Critchlow ha scritto un volume che, nonostante abbia ormai oltre un quarto di secolo (risale infatti al 1999) rimane ancora utile per comprendere come nel dopoguerra si sviluppò un “rete internazionale” per favorire il controllo della popolazione: un proposito che, sulla lunga distanza, avrebbe dovuto riguardare il mondo intero, ma che infine bene o male si è concentrato esclusivamente sull’imporre la denatalità alle nazioni occidentali.
Il libro, Intended Consequences. Birth Control, Abortion, and the Federal Government in Modern America, è quasi introvabile (su Amazon è venduto a 100-130 euro), ma penso sia possibile accaparrarselo per altre vie (in ogni caso nel web trovate diversi interventi dell’Autore).
L’international network a cui fa riferimento Critchlow era (anzi, è) patrocinato da due organi principali, la Ford Foundation e la “Fondazione Rockfeller” capitanata da uno dei più grandi “filantropi” del secolo scorso, John D. Rockefeller III. Da queste fonti scaturirono organizzazioni quali il Population Council (fondato da questo Rockefeller nel 1952 e concentrato soprattutto sui Paesi in via di sviluppo) e la Planned Parenthood Federation of America (PPFA), dalla quale sarebbe poi scaturita l’International Planned Parenthood Federation (IPPF).
Quest’ultima “federazione” venne creata con il contributo fondamentale di Hugh Moore (1887–1972), un miliardario che già negli anni ’30 del XX secolo aveva si era fatto promotore di una sorta di “atlantismo” ante litteram e che tra le altre cose fu il vero coniatore dell’espressione “bomba demografica” (come testimonia il suo primo pamphlet al riguardo, The Population Bomb is Everyone’s Baby del 1954).
Sostenitore della sterilizzazione di massa e di una “dittatura illuminata” per impedire alle persone di fare figli, nel 1965 Moore fondò il Population Crisis Committee, organizzazione di lobbying con sede a Washington il cui compito era quello di imporre una visione più “radicale” sulla questione, che a suo parere veniva edulcorata persino dalla Planned Parenthood con un’attenzione troppo marcata verso, per esempio, i diritti delle donne, la diffusione della scolarizzazione di massa oppure la promozione dei contraccettivi. Per Moore “indorare la pillola” (letteralmente!) non serviva a nulla: più che con i diritti (individuali) la “bomba” andava disinnescata con i doveri (sociali).
Moore fu inoltre l’artefice del collegamento tra sovrappopolazione e guerre grazie all’enorme influenza acquisite tramite i suoi ruoli di membro dell’Associazione americana per le Nazioni Unite (1945-1954), tesoriere del Comitato per il Piano Marshall (1948) e membro del Comitato statunitense sulla NATO (1961-1972)
Altri personaggi che gravitarono attorno al network furono William Vogt (Direttore della Planned Parenthood), Robert Cook (Presidente del Population Reference Bureau), Fairfield Osborn (Presidente della New York Zoological Society e della Conservation Foundation, lobbista di spicco del Population Council), Frank Notestein (demografo di Princeton, uomo di Rockefeller che ha diretto il Population Council), Bernard Berelson (Direttore delle comunicazioni del Population Council), Warren O. Nelson (autorità internazionale sulla biologia riproduttiva maschile, nominato per coordinare il programma del Population Council), Alan F. Guttmacher (Medico del Mount Sinai Hospital e presidente di Planned Parenthood).
Tra gli enti preposti allo scopo faceva capolino anche la American Eugenics Society, che dal 1972 è stata ribattezzata con vari nomi meno compromettenti ed è infine stata sciolta (nella sua ultima reincarnazione di “Società per la biodemografia e la biologia sociale”) nel 2019.
Secondo Critchlow, il “movimento” formato da fondazioni, politici e affaristi era giunto alla conclusione che guerre, carestie e altre “piaghe” potessero essere eliminate attraverso il controllo delle nascite: uno dei punti più controversi da egli affrontati è la promozione del libertinismo di massa, che a differenza di quanto vuole una certa pubblicistica non fu una conseguenza della messa in commercio di nuovi contraccettivi, ma una “rivoluzione culturale” promossa da un’élite che favorì la realizzazione del più vasto programma di “ingegneria sociale” della storia, capitanato da degli auto-proclamati “illuminati” desiderosi di portare il progresso alle masse arretrate.
Uno degli argomenti degni di nota di cui tratta Critchlow è la diatriba sulla Humanae Vitae, l’enciclica con cui la Chiesa riaffermò il suo insegnamento tradizionale sulla contraccezione. Lo studio aiuta a collocare il documento emanato da Paolo VI il 25 luglio 1968 nel giusto contesto di terrorismo psicologico e propaganda incessante.
Come ho già osservato in un altro pezzo dedicato a un’intervista a Critchlow (ma repetita iuvant) il solito Hugh Moore (che peraltro non era cattolico) acquistò paginate del “New York Times” e di altri giornali per dare la più ampia visibilità alle posizioni dei prelati “dissidenti” (patrocinando anche le traduzioni in spagnolo e francese). Sembra che i suoi finanziamenti abbiano anche favorito la diffusione di documenti privati della commissione per il controllo delle nascite istituita dall’allora Pontefice nei quali si sosteneva che la contraccezione era compatibile con la fede cattolica.
Il Kulturkampf americano per il controllo delle nascite: la storia dimenticata della Humanae Vitae
C’è ovviamente chi, tra i chierici, non pensò due volte a raggiungere dei compromessi: per esempio, George Shuster, assistente personale del rettore dell’Università di Notre Dame padre Theodore Hesburgh (che nel 1965 aveva fatto da tramite tra John D. Rockfeller e Paolo VI), organizzò nell’istituto (cattolico) una serie di incontri sul controllo della popolazione tra il 1963 e il 1967 sotto il patrocinio sia della Fondazione Rockefeller che della Fondazione Ford, allo scopo di “cambiare le posizioni all’interno della gerarchia”.
Il Papa e il Filantropo: l’incontro tra Paolo VI e Rockefeller del 1965
Nel 1966 poi Rockefeller assunse padre Hesburgh nel comitato esecutivo della Fondazione (con l’accordo che si sarebbe astenuto dal votare su questioni riguardanti la contraccezione, la sterilizzazione e l’aborto), e da lì in poi la sua ascesa all’interno dell’organizzazione lo portò a diventarne Presidente dal 1977 al 1982.
Proprio parlando di John D. Rockefeller III, il suo Population Council per anni propugnò apertamente l’eugenetica, ponendosi come scopo il sostegno alla riproduzione solo di individui “al di sopra della media” in termini di “intelligenza e sensibilità”. In seguito questi “punti programmatici” furono rimossi dagli statuti su suggerimento del funzionario governativo Thomas Parran, supervisore degli esperimenti sulla sifilide condotti tra afroamericani e guatelmaltechi, il quale -bontà sua- identificò nel proposito una ispirazione da “filosofia della razza nazista”.
L’indignazione suscitata nell’opinione pubblica dai metodi con cui vennero condotti i programmi di controllo della popolazione all’interno degli Stati Uniti (come i casi di sterilizzazione forzata nell’ambito delle “iniziative contro la povertà”) ma anche a livello internazionale (è noto il caso dell’India), convinsero il “movimento” a cambiare strategie comunicative.
A favorire il nuovo corso, incentrato su programmi di welfare e istruzione rivolti alla popolazione femminile, con l’obiettivo dichiarato di aumentare l’età media delle donne alla nascita del primo figlio, fu l’attivista britannica Joan Dunlop (1934-2012), che aveva iniziato ufficialmente la sua militanza femminista in patria sottoponendosi a un aborto clandestino, per poi portare il “Verbo” oltreoceano.
La Dunlop, tramite una serrata collaborazione col filantropo miliardario, svolse un ruolo fondamentale nel convertire l’approccio eugenetico e tecnocratico dei programmi di pianificazione familiare in termini di “attenzione ai bisogni sociali delle donne”.
I suoi suggerimenti scaturirono nello “storico” intervento di John D. Rockefeller III alla Conferenza Mondiale sulla Popolazione delle Nazioni Unite nel 1974 (conosciuto come “Discorso di Bucarest”), che attestava il cambiamento di rotta verso lo “sviluppo sociale ed economico” e la promozione della partecipazione femminile ad esso.
Il sociologo Bernard Berelson (1912–1979), rappresentante della “vecchia guardia” che non considerava il benessere delle masse come un fattore essenziale alla riduzione della popolazione, accusò esplicitamente la Dunlop di “neo-marxismo”. Un dato interessante, forse trascurato da Critchlow, è che fu probabilmente proprio tale conflitto interno a portare a una definitiva connotazione “progressista” dell’ideologia anti-natalista, la cui svolta fu segnata anche dall’avvicendamento di uomini come Berelson da personalità fortemente caldeggiate dalla Dunlop quali per esempio, George Zeidenstein, che ancora oggi le pubblicazioni della “Fondazione” indicano come protagonisti della “svolta”.
Probabilmente è per questa verniciata di “rosso” (o “rosa”) che i programmi di controllo demografico hanno generato l’effetto opposto nei Paesi in via di sviluppo e hanno invece azzerato i tassi di natalità del “blocco occidentale” (che comprende anche Giappone e Corea del Sud, per intenderci).
Tale scenario presuppone del resto la “buona fede” di tutti i personaggi coinvolti (tema altrettanto controverso), ma al di là delle ideologie e dei propositi dei singoli, ormai le dinamiche del “movimento” si erano consolidate a grandi linee in queste modalità: da una parte, siccome il “Primo Mondo” aveva già sperimentato un importante avanzamento nelle condizioni materiali, esso necessitava di una propaganda calibrata solo sulla riduzione delle nascite; dall’altra, nel “Terzo Mondo” andavano invece finanziati progetti in grado di favorire il benessere della popolazione generale, in base all’assunto che “lo sviluppo è il miglior contraccettivo” (come affermò Karan Singh, il gran commis indiano che guidava la delegazione dle suo Paese alla Conferenza di Bucarest del 1974).
Fa specie, è chiaro, che nessuno abbia potuto prevedere che i programmi di sviluppo avrebbero favorito l’esplosione demografica non solo nelle aree interessante all’epoca (i Paesi esterni ai due “blocchi”), ma soprattutto nel Continente africano, che da 200 milioni di abitanti nel 1950 (s’intende complessivamente) ora viaggia verso i quattro miliardi per la fine del XXI secolo.
Nel disastroso scenario attuale, forse sarebbe stato meglio che alla guida di questo colossale programma di ingegneria sociale messo in atto nel dopoguerra fossero rimasti gli “spietati” tecnocrati piuttosto che certe suffragette animate da buone intenzione e spirito umanitario, le quali ancora ai nostri giorni, senza alcuna parvenza di vergogna, dopo aver tolto i figli alle popolazioni occidentali adesso vorrebbero persino privarle del benessere, in base alle loro nuove fantasie di decrescita e sviluppo sostenibile.
E tralasciamo il tema dell’immigrazione, che a quanto pare dalle loro prospettive rappresenterebbe un’ulteriore tappa del “programma”: si vedano, giusto per parlare di casi nostrani, le contraddittorie dottrine di politici come Emma Bonino e anche, ahimè, le tesi sostenute dall’attuale pontefice.
Non si può negare che molti dei “denatalisti” della prima ora fossero motivati da una qualche forma di razzismo, se non biologico almeno “ideologico”, ma diciamo che anche i loro proposito più censurabili, come contaminare le riserve d’acqua potabile con sostanze sterilizzanti (un’idea di Moore), erano comunque motivati da una visione più equilibrata e oserei dire “democratica”, rispetto a alle mammane terzomondiste che hanno preso il controllo di tutto l’apparato per portare il Niger a 7 figli per donna e la Germania a 1,4…
http://www.unavox.it/ArtDiversi/DIV6586_McAuley_Necrologio_di_Richard_Nelson_Williamson_8_marzo_2025.html