Contro il sacrificio. Al di là del fantasma sacrificale (Raffaello Cortina, Milano, 2017). l’ultima fatica di Massimo Recalcati, è un volume tanto poco originale quanto piacevole da leggersi, seppur non privo di lacanismi (e addirittura “zizekismi”). È anche per questo che invece di perdermi nella solita recensione, preferisco andare subito al sodo, parlando direttamente dei risvolti esistenziali e politici che la proposta “anti-sacrificale” dello psicanalista comporta.
In primo luogo, la dicotomia tra fantasma sacrificale (negativo) e sacrificio simbolico (positivo), è a mio parere artefatta e forse anche fuorviante. In due parole la tesi del saggio è che se il sacrificio di una quota di soddisfacimento pulsionale è la condizione di possibilità della civiltà (se non dell’umanizzazione tout court), dalla permanenza del suo “fantasma” scaturirebbero invece le nevrosi, il terrorismo, il nazismo, il teppismo eccetera.
In poche pagine Recalcati ha dunque già archiviato l’antropologia freudiana (sostanzialmente negativa) negando la continuità tra la “parola del padre” e la Legge del Super-io: in ciò si legge ovviamente un’eco del fortunato Cosa resta del padre? (2011), nella prosecuzione del recupero positivo della figura del Padre (sottoposto a una infinita reductio ad Hitlerum dai sessantottini, come l’Autore stesso ebbe a sottolineare), il quale ora si trasforma in una sorta di mediatore tra conscio e inconscio, un “ominizzatore” della Legge superegotica in grado di favorire il desiderio normandolo, incanalandolo, dandogli una direzione che non sia opposta a quella della Legge di cui sopra.
La rilettura, per quanto suggestiva, non ci convince, soprattutto se nei capitoli conclusivi fa capolino niente di meno che Gesù in veste di “emanazione del Padre”. Si parva licet, anche il (povero) Cristo fa praticamente la stessa fine di Freud, nel senso che attraverso un’esegesi a colpi di Bultmann, Bonhoeffer, Derrida ed Enzo Bianchi (lol), il Messia diventa il “sacrificatore del sacrificio”, il “liberatore della Legge dalla Legge”, Colui che consente il trionfo dell’Amore sulla Giustizia.
Ecco il tipico “errore blu” (perché ormai lo fanno tutti) di porre in contrapposizione Legge e Carità, primo passo verso l’annientamento di tutto quel che di umano resta al mondo. Da questo punto di vista è singolare che in principio Recalcati equivochi l’opera di René Girard, ma alla fine la utilizzi per confermare la sua interpretazione del “vero cristianesimo” come «abbandono di una concezione colpevolizzante della Legge», perché, proprio da una prospettiva girardiana, il lacaniano non sta che facendosi “anticristo” nell’intento di scavalcare il cristianesimo “da sinistra”:
«L’Anticristo si vanta di recare agli uomini la pace e la tolleranza che il cristianesimo senza risultati promette loro. In realtà, quello che la radicalizzazione della “vittimologia” contemporanea porta con sé è l’effettivo ritorno a ogni sorta di abitudini pagane: l’aborto, l’eutanasia, l’indifferenziazione sessuale, i giochi da circo di ogni tipo».
Dall’immanentizzazione del messaggio cristiano ne consegue il suo snaturamento più completo, tanto è vero che Girard stesso, proprio per frenare la “liberazione della Legge dalla Legge”, introdusse nel suo sistema, quasi trent’anni dopo La violenza e il sacro, la figura dell’Anticristo come puntello escatologico di un’interpretazione che, qualora ridotta a pura “sociologia della crocifissione”, avrebbe reso inconcepibile qualsiasi tipo di legge (sia umana che divina, con la maiuscola o meno).Tanto è vero che potremmo spingerci ad affermare che se Girard non fosse stato credente, anch’egli si sarebbe fatto “Satana”, nel senso che avrebbe culturalmente favorito l’acuirsi della contrapposizione tra carità e civiltà, amore e giustizia, desiderio e legge.
Per dirla nel modo più semplice possibile, l’idea che ogni tipo di regola possa essere ridotta a “Legge del taglione” e superata attraverso l’azione dissolvitrice del desiderio, della grazia, dell’amore, cioè di una forza sovrabbondante che consenta sempre e comunque di eludere il momento del sacrificio, è a dir poco deleteria per la sopravvivenza della nostra specie, essendo al contempo subumana e sovrumana.
Insomma, una qualche forma di sacrificio in ultima analisi si rivela sempre necessaria: se a tratti Recalcati sembra riconoscere tale esigenza, alla fin fine tenta però di sbarazzarsene “promulgando” (più che proponendo) la perfetta coincidenza tra desiderio e dovere, introducendo in forma laica il concetto di “vocazione”. Nel frattempo ci siamo persi il Padre per strada, ma pare implicito che debba essere costui a porsi come “filtro” tra il godimento e la legge, anche se a un certo punto lo psicanalista lo relega ancora nella ridda degli “imperativi dell’Altro”, assieme a Dio, alla Patria e alla Famiglia.
In conclusione la domanda (ingenua, banalotta e sciocchina), sorge spontanea: un padre che intima al figlio di buttare la carta nel cestino invece che per terra, sta ponendo in contrapposizione Legge e Desiderio oppure li sta armonizzando? Perché anche questo, per quanto possa sembrare esagerato, rappresenta una forma di “sacrificio”; d’altro canto potremmo passare altri secoli a fabbricare una religione civile dopo l’altra, ma senza una minima quota di rinuncia (che più si assottiglia e più diventa insopportabile per la generazione successiva), nessuna di esse reggerà all’azione del principio interno dissolutore che le viene imposto (si chiami, chessò, grazia, amore, desiderio, carità o godimento).
Segnalo le considerazioni di Padre Giovanni Cavalcoli OP al libro di Recalcati
http://blog.messainlatino.it/2018/10/il-vero-significato-di-sacrificio-e.html
Ottimo… comprendo il tono concitato perché in effetti Recalcati nelle ultime pagine si mette a fare il teologo (senza che neanche fosse necessario), comunque al di là di una critica “religiosa” le teorie dello psicanalista non reggono nemmeno da una prospettiva prettamente laica, se non “atea” (questo significa il mio riferimento alla “religione civile” nel finale).
Mi incuriosisce la critica sottile di p. Cavalcoli a René Girard, anche se non credo che si sia mai imbattuto nella sua opera, sarebbe interessante sapere cosa ne pensa (lasciando da parte il modo in cui lo “liquida” nella recensione).
Per quanto possa sembrare strano, e lo è, un certo Lacan sta aiutando, malgré lui?, la critica alle stupidaggini sessantottarde. Recalcati è la versione furbetta e più palatabile. Quella di Giancarlo Ricci più esposta e pericolosa; le sue tesi sull’omosessualità lo hanno portato, su richiesta di altri suoi colleghi di fronte al “tribunale” degli psicologi che pare abbia respinto la richiesta di espulsione. Non sono i soli, quindi qualcosa nel pensiero di Lacan non è del tutto omologabile alla vulgata, o forse il tempo modifica un po’ le prospettive e Lacan si allontana dai lacaniani o i lacaniani si allontanano da lui. La vicenda Girard non è di facile lettura, perché la tesi sacrificale, forse proprio a causa della sua compattezza (apparente, a mio parere), consente il disporsi sulla scacchiera di diversi pezzi con mosse prestabilite, un po’ come gli scacchi. Cristo? L’ultimo sacrificato o il maggior sacrificatore? Il cristianesimo religione antisacrificale sacrifica come le altre per consentire che l’effetto dell’ultimo e dell’unico sacrificio ammesso sia efficace? Come spiegarselo? Con il deterioramento del sacrifico stesso di Cristo che subito dopo il costituirsi di comunità religiose non più sacrificali sembra non essere più efficace? I cristiani si pensano come vittime, le vittime che garantiscono che non ci siano più vittime? Non sono di poco conto le domande aperte dalla prospettiva girardiana. Che funziona benissimo, a mio parere, come griglia interpretativa sul presente.
Molti spunti… non conoscevo il caso di Giancarlo Ricci, che illustra perfettamente il totalitarismo in cui siamo immersi come pesci nell’acqua.
Sì, i lacaniani possono affermare cose ultra-reazionarie nascondendosi dietro il Maestro (che gli consente anche di non farsi capire, come dimostra il “modello Žižek”).
Riguardo a Girard, la mia è sostanzialmente una sconfessione, perché per reggere il suo sistema, che non ha nulla di “teologico” (anzi per certi versi è una riduzione sociologica del sacrificio di Cristo), deve buttarci in mezzo l’Anticristo: come a dire che la sua lettura contiene in nuce la possibilità di un annullamento “vittimario” del cristianesimo, a meno di non porre a “tampone” un elemento escatologico.
Ho letto Cavalcoli. Alcune cose non mi hanno convinto. Sicuramente non conosce Girard. Il meccanismo del capro espiatorio non è rappresentato tanto dall’animale quanto dal meccanismo sostitutivo: prima c’è il sacrificio umano, poi quello animale, poi ancora quello delle collettività prese di mira sulla base di accuse pretestuose ecc. Alla fine c’è quello di Cristo che assume in sé stesso tutti sacrifici passati presenti e futuri e , in quanto vittima perfetta, perché innocente, rende improponibile continuare a sacrificare. È in gioco la natura dell’espiazione del peccato che non deve più essere fatto con la soppressione della vita, propria e altrui. Affermare, come fa Cavalcoli, “che Cristo come Figlio di Dio, paga sulla croce per l’uomo, creditore insolvente, il debito del peccato”, coerente per altro con il Paolo della Lettera ai Colossesi, implica una visione economica del peccato, sembra sia un titolo di debito la cui estinzione prelude al formarsi di un certo credito da far valere nei confronti di un Dio ridotto all’uomo del banco dei pegni. Manca un po’ che arriviamo alla cessione del credito e in effetti il meccanismo del capro è un po’ simile a una cessione del debito. D’accordo che Girard parte dalla sociologia del mimetismo di Tarde, ma che il significato del peccato abbia assunto nella tradizione giudaico-cristiana così facilmente e quasi senza mai modifiche significative nel tempo le metafore dell’azione economica dovrebbe interrogarci.
È vero, condivido… anzi, messa così la questione è quasi comica. A mio parere (ma non vorrei pensar male) Cavalcoli ha assimilato Girard al “clan” dei Bultmann e dei Bonhoeffer ai quali Recalcati attinge a piene mani e questo lo ha portato a un eccesso di diffidenza nei confronti del “Nostro”. In ogni caso anche in quella lettura economica emerge comunque la grazia (nella “insolvenza”!) dunque non è poi così malvagia: l’unico problema è che, appunto, è un po’ ridicola.