Ignoramus et ignorabimus: origine del coronavirus, numero di vittime cinesi, sanità lombarda e altri “complotti”

Vaso azteco usato per il pulque, rappresenta una pianta di agave con le foglie mozzate (Tlaxcala, Messico)

Dopo che alcuni pezzi “complottisti” sul coronavirus (che avevo tradotto per una eventuale analisi dei rapporti tra propaganda, geopolitica e dietrologia), sono capitati nelle grinfie di boomer galvanizzati dai vocali di Whatsapp, ho deciso di interrompere per un po’ gli “aggiornamenti sul tema”: dal momento che il fraintendimento ormai è inevitabile (anche per la surreale situazione in cui ci hanno cacciato: la gente è tutta in casa e non ha un ca**o da fare), forse è meglio prendersi una pausa. Soprattutto, vorrei evitare di capitare in grinfie ben peggiori, quelle dei debunker improvvisati in cerca del fessacchiotto di turno con cui pompare quotidianamente la loro bassissima autostima.

Tuttavia, non per questo posso negarmi una riflessione onesta sui punti più controversi della faccenda: in primis quelli riguardanti la diatriba sulla presunta origine “artificiale” del coronavirus. L’arrogante sicumera con cui certi “sbufalatori” negano qualsiasi dignità a tale ipotesi, lungi dal rappresentare una posizione “illuminata”, è in realtà indice di una mentalità antiscientifica (oltre che, come dicevamo, un sintomo incidentale dell’ossessione degli appartenenti a tale “area” di apparire più intelligenti e “saputi” del prossimo). Prendiamo, ad esempio proprio quel famigerato pezzo di “Nature” (The proximal origin of SARS-CoV-2, 17 marzo 2020) che costoro citano ossessivamente, imboccati da un certo Illustre Virologo che fino a febbraio inoltrato proclamava dai salotti televisivi che “in Italia il rischio coronavirus è zero” (e che ora sembra esser diventato il guru ufficiale anche di quel partito che ha preso voti facendo una feroce campagna novax): in esso non viene affatto affermato con assoluta certezza che il coronavirus non sia il prodotto di una manipolazione intenzionale. Gli autori semmai utilizzano l’espressione most likely perché appunto sono scienziati e non possono negare in maniera assoluta che il virus possa essere un prodotto di laboratorio.

“The high-affinity binding of the SARS-CoV-2 spike protein to human ACE2 is most likely the result of natural selection on a human or human-like ACE2 that permits another optimal binding solution to arise. This is strong evidence that SARS-CoV-2 is not the product of purposeful manipulation.”

Stiamo parlando di una zoonosi che ha fatto il “salto di specie” rivelandosi altamente contagiosa. È noto che i laboratori biologici di tutto il mondo pratichino “manipolazioni” sui coronavirus per studiarlo meglio, ma se i sospetti si concentrano su quello di Wuhan ciò dipende dal fatto che se laggiù si fosse verificata una “Chernobyl biologica” (la “fuga” di un qualsiasi agente patogeno modificato, evento che per giunta si verifica molto più frequentemente di quanto si immagini, come ci ricorda la stessa Bibbia “Nature” parlando delle ricorrenti “perdite” dei biolaboratori pechinesi) l’opacità delle istituzioni cinesi non avrebbe comunque fatto trapelare nulla.

Perciò i dubbi avanzati sia da una trasmissione scientifica della rete più “progressista” d’Italia già nel 2015,

che i sospetti attuali del presentatore più conservatore della televisione americana,

non possono essere semplicemente messi da parte per ragioni politiche mascherate da un pretestuoso “amor di verità”.

Su questo blog abbiamo pubblicato molti (fin troppi) pezzi “complottisti” nei quali vengono setacciate tutte le attività dell’Istituto di Virologia di Wuhan dalla sua fondazione all’esplosione dell’epidemia nel vicino mercato del pesce. Ne proponiamo di seguito un paio, solo per rimarcare il punto che ricerche altamente pericolose unite alla documentata mancanza di sicurezza dei laboratori cinesi possano far insorgere qualche sospetto sulla natura di questo nuovo coronavirus, senza naturalmente obbligare alla conclusione che si tratti di un’arma biologica sprigionata deliberatamente da Pechino (un ulteriore “tassello” è stato aggiunto negli ultimi giorni nientepopodimeno che da Dagospia: Dove non arrivano gli scienziati ci sono i complottisti, 1 aprile 2020).

Il “dottor pipistrello” e il coronavirus

Rivista indiana di geopolitica: “Il coronavirus è un’arma biologica cinese”

Una seconda questione riguarda il reale numero delle vittime cinesi. Non è per essere sempre ipercritici nei confronti della Cina ma, ancora, è difficile dubitare della veridicità delle statistiche offerte dallo stesso potere che ha fatto sparire chiunque denunciasse l’epidemia in corso, e ha riconosciuto l’esistenza del problema quando ormai era troppo tardi (anche se a detta dell’OMS ha fatto tutto benissimo).

Un dettaglio che ai primi di febbraio ha insospettito gli investigatori indipendenti è l’altissima concentrazione di anidride solforosa sopra Wuhan osservabile dalle immagini satellitari, che potrebbe esser stata prodotta da una incessante attività degli inceneritori.

A porre l’attenzione dell’informazione mainstream sulla questione è stato il portale legato al Pontificio Istituto Missioni Estere, AsiaNews (Wuhan, lunghe code per prendere le ceneri dei morti da coronavirus. I dubbi sulle cifre, 27 marzo 2020):

“Durante l’epidemia i morti sono stati cremati subito, senza cerimonie e senza precisare le cause della morte. Ora i familiari attendono di seppellire le urne contenenti le ceneri degli estinti. Nella sola Wuhan saranno distribuite circa 45mila urne. Il numero dei morti da coronavirus in Cina è volutamente sottostimato. Nei giorni del picco dell’epidemia i forni crematori hanno lavorato per 19 ore al giorno”.

Al quadro va aggiunta la notizia delle oltre venti milioni di utenze telefoniche cancellate nei primi tre mesi del 2020, un dato rivelato da Epoch Times, il bollettino dei dissidenti in America, che diverse testate hanno ripreso (cfr. a titolo d’esempio Pechino sta dicendo la verità sui decessi da Covid-19?, “Lettera43”, 24 marzo 2020):

“Il calo del 2020 degli utenti di telefonia fissa potrebbe avere una spiegazione plausibile: essere cioè dovuto alla quarantena nazionale a febbraio, durante la quale molte piccole imprese sono state chiuse. Ma la diminuzione delle utenze mobili non può essere spiegata nello stesso modo.
[…] Cercando spiegazioni alternative all’ipotesi inquietante che sta circolando, si può osservare che è anche possibile che alcuni lavoratori migranti interni avessero già prima dello scoppio dell’epidemia e del conseguente blocco generale, due numeri di cellulare: uno nella loro città natale e l’altro nella città in cui lavoravano. A febbraio è anche possibile ipotizzare che molti – tornati ai loro villaggi per il capodanno lunare – di fronte all’impossibilità di rientrare nei luoghi di lavoro abbiamo chiuso questo ipotetico secondo numero.
[…] «Al momento, se anche soltanto il 10% degli account dei cellulari fosse stato chiuso perché gli utenti sono morti a causa del virus, il bilancio delle vittime sarebbe di 2 milioni», ha fatto notare Tang. E ad accrescere i dubbi si aggiunge infine l’analisi delle attività funerarie nella regione dell’Hubei, la più colpita. Le sette aziende attive a Wuhan hanno cremato corpi per 24 ore al giorno, sette giorni alla settimana a partire da fine gennaio. La provincia di Hubei ha utilizzato anche altri 40 crematori mobili dal 16 febbraio. Un ex giornalista della televisione di Stato cinese, la Cctv, Li Zehua, arrestato dai servizi di sicurezza e poi fatto sparire, era riuscito a entrare di nascosto a Wuhan, visitando la comunità di Baibuting, tra le più colpite dall’epidemia. Il 18 febbraio scorso, poco prima si sparire nel nulla, aveva trasmesso in diretta streaming da un crematorio della zona, dove documentava come il carico di lavoro fosse tale che moltissimi inservienti venivano assunti e pagati con salari elevati. In mancanza di dati certi, insomma, il vero bilancio delle vittime in Cina resta un mistero. E la scomparsa di 21 milioni di cellulari alimenta ipotesi che forse non potranno mai venire né verificate, né smentite”.

Altra questione, direttamente collegata a quanto sopra, è quella riguardante la sanità lombarda: perché, se vogliamo o dobbiamo credere ai dati cinesi, allora in un pugno di province del nord il virus “italiano” ha rivelato un indice di mortalità infinitamente più alto di quello “cinese”. Anche qui, la polemica è ineludibile e il “complottismo” talvolta irresistibile: ma volendo escludere che l’epidemia lombarda sia “altra cosa” rispetto a quella wuhanese, allora l’unica risposta plausibile al momento è che l’eccellenza della sanità lombarda, la meravigliosa sinergia tra pubblico e privato che attirava pazienti da tutta Italia, fosse perlopiù un mito.

La tragedia della gestione della pandemia nell’Italia settentrionale ha occupato per settimane le pagine della stampa internazionale: per esempio, sul “Daily Mail” è finito il resoconto di tale Jason van Schoor, anestesista e ricercatore presso l’University College, che sul suo profilo Twitter ha pubblicato la testimonianza di un anonimo medico “in northern Italy” (marzo 2020):

“Sento il bisogno di darti un rapido aggiornamento su ciò che sta accadendo in Italia e anche un consiglio diretto su cosa dovreste fare.
In primo luogo, la Lombardia è la regione più sviluppata in Italia e ha una straordinaria assistenza sanitaria, ho lavorato in Italia, Regno Unito e Australia e non pensare che tutto ciò stia accadendo in un Paese del terzo mondo.
La situazione attuale è difficile da immaginare e i numeri non la spiegano. I nostri ospedali sono sopraffatti da Covid-19, hanno superato la loro capacità del 200%.
Abbiamo interrotto tutte le operazioni di routine, tutte le sale operatorie sono state convertite in unità di trattamento intensivo e ora si stanno deviando o non operando le altre emergenze (come traumi o ictus).
Ci sono centinaia di pazienti con grave insufficienza respiratoria e molti di loro possono avvalersi solo di una maschera con serbatoio.
I pazienti di età superiore ai 65 anni, o più giovani con comorbilità, non sono nemmeno valutati per la terapia intensiva, non intendo dire non intubati, ma non esaminati e assistiti dallo staff.
‘Il personale lavora il più possibile ma sta iniziando a ammalarsi e a provare disagi psicologici ed emotivi.
I colleghi mi chiamano in lacrime perché vedono le persone morire di fronte a loro e posso dargli solo un po’ di ossigeno. Ortopedici e patologi ricevono un foglietto e vengono inviati a vedere i pazienti con ventilazione non invasiva. RILEGGI E FERMATI UN ATTIMO A PENSARE COSA SIGNIFICA.
Abbiamo visto ripetersi lo stesso schema in diverse aree a una settimana di distanza, e non c’è motivo per cui in poche settimane non sarà lo stesso ovunque. Questo è lo schema:
1) Alcuni casi positivi, prime misure lievi, alle persone viene detto di evitare di recarsi in pronto soccorso, ma continuano ad uscire in gruppo, tutti dicono di non farsi prendere dal panico.
2) Alcuni problemi respiratori moderati e alcuni gravi che hanno bisogno di intubazione, ma l’accesso regolare al pronto soccorso è ridotto, quindi tutto sembra fantastico.
3) Decine di pazienti con insufficienza respiratoria moderata, saturano la terapia intensiva ed esauriscono tutti i mezzi a disposizioni, dalla ventilazione meccanica a pressione positiva continua fino all’ossigeno stesso.
4) Il personale si ammala, quindi diventa difficile coprire turni, si registrano picchi di mortalità anche per tutte le altre cause che non possono essere trattate correttamente.
Tutte le direttive utili sono online, ma quel che farà la differenza è non temere di adottare misure severe per proteggere le persone.
Se i governi non lo faranno almeno per proteggere le vostre famiglie, i vostri cari malati di cancro o diabete o che hanno subito un trapianto qualsiasi, non verrano sottoposti a terapia intensiva se hanno bisogno, anche se sono giovani.
Un altro atteggiamento tipico è leggere e ascoltare le persone che dicono queste cose e pensare “è un profeta di sventura”, per poi uscire a cena credendo di essere al sicuro. Se non la prendi sul serio, non sarai mai al sicuro. Spero davvero che da voi la situazione non degenerarà come qui, ma preparatevi”.

Su segnalazione della pagina Gog&Magog riprendiamo anche la testimonianza, pubblicata dal Wall Street Journal il 17 marzo (Lessons From Italy’s Hospital Meltdown…), del direttore dell’Agenzia Regionale Emergenza Urgenza di Bergamo Angelo Giupponi, che il 22 febbraio ha inviato un’email all’Assessorato al Welfare della Lombardia, (diretto da Giulio Gallera) invocando “l’urgente necessità di allestire degli ospedali esclusivamente riservati a ricoverati per Covid-19, così da evitare promiscuità con altri pazienti e quindi diffusione del virus nelle strutture ospedaliere”, e la risposta ricevuta dai dirigenti regionali è stata: “Non dormiamo da tre giorni, non abbiamo voglia di leggere le tue stronzate”.

Secondo un articolo dell’inserto milanese del Corriere (Gli infermieri: “Fuori il coprifuoco, ma in ospedale c’è un’autostrada per l’epidemia”, 25 marzo 2020), le ragioni della debacle lombarda sarebbero sostanzialmente riducibili a due: l’inadeguatezza delle strutture sanitarie a fronteggiare l’emergenza (mancanza di mascherine e protezioni per il personale) e la contraddittorietà delle direttive arrivate dall’alto. All’inizio medici e infermieri (prime vittime di questa situazione), sono stati effettivamente sottoposti a tampone; poi però la direttiva è cambiata: niente più tamponi. Come affermano le due testimonianze raccolte dal giornale, quella di un medico del Policlinico:

«Quando è stato scoperto il primo caso interno, quello del nostro collega dermatologo, sono stati fatti subito i tamponi ai suoi contatti e la diffusione è stata isolata, contenuta. Erano i primi giorni dopo Codogno. Poi si è deciso di cambiare tutto. Niente più tamponi, medici e infermieri tutti al lavoro pure se avevano un familiare positivo in casa. Così non si è sguarnito il personale degli ospedali, forse, ma si sono aperte autostrade al virus».

e di una infermiera:

«È stata a lungo in vigore una direttiva quasi criminale, se un cittadino entrava in contatto con un positivo si doveva isolare, se invece capitava a un medico o a un infermiere doveva andare al lavoro fino a eventuale comparsa di sintomi. Quanta infezione abbiamo portato in giro tra pazienti, colleghi e famiglie?»

Come si può notare, tout se tient: se si riesce a dimostrare che i numeri forniti dalle autorità cinesi è falso, allora le responsabilità della sanità lombarda vanno necessariamente circoscritte; d’altro canto, se nella Penisola (o addirittura in tutta Europa) non si presenterà alcun “caso Bergamo” (un aumento della mortalità del 400% rispetto agli anni passati, per dire), allora il dato cinese non servirà ad “assolvere” nessuno. Con ciò non si esclude che molte denunce politicamente interessante comparse nelle ultime settimane sulla stampa non partano anch’esse da presupposti erronei, se non palesemente “complottistici”.

Il fatto è che, per concludere, anche le incertezze sull’indice di mortalità del coronavirus rendono difficile qualsiasi analisi serena del fenomeno: negli Stati Uniti hanno generato una piccola tempesta mediatica i tweet di fine gennaio di un sobrio ricercatore di Harvard, Eric Feigl-Ding, che da un recentissimo studio sulla pandemia deduceva che il contagio del virus è di 3.8, come a dire che ogni persona contagiata può trasmetterlo ad altre quattro. “Oddio, è un livello di pandemia termonucleare!”, aveva appunto scritto su Twitter in un thread cancellato non appena diventato virale (è il caso di dirlo): “Siamo di fronte all’epidemia più violenta che il mondo abbia mai visto”.

Nonostante lo studio dichiarasse le “numerose incertezze associate al contagio” (e nonstante anche altre malattie infettive come il morbillo abbiano numeri di contagio molto elevati), il social network ha fagocitato il tweet dell’epidemiologo di Harvard trasformandolo in un film dell’orrore. Ding ha cancellato tutto quando si è accorto di aver commesso l’errore di sostenere che il nuovo coronavirus fosse otto volte più contagioso della SARS, quando in realtà la SARS ha indice di contagio tra 2 e 5, paragonabile alle stime della nuova epidemia. E quando Ding pubblicava i suoi tweet, i ricercatori avevano già abbassato la stima a 2.5.

Questo solo per dire che il disorientamento è totale e onnipervasivo, dunque pare abbastanza ridicolo voler limitare la libertà di espressione (e anche di “bufala”) in nome dell’ordine pubblico o della sicurezza collettiva, come se non fosse bastato rinchiudere milioni di persone in casa. D’altro canto è proprio questa libertà che rende una opinione pubblica meno suscettibile rispetto a ogni tipo di propaganda.

2 thoughts on “Ignoramus et ignorabimus: origine del coronavirus, numero di vittime cinesi, sanità lombarda e altri “complotti”

  1. Ti ringrazio per tutti gli articoli che hai pubblicato, si tratta di notizie che non avrei mai appreso vista la mia scarsa conoscenza delle lingue straniere.

    1. In realtà è una sorta di commento definitivo sul coronavirus, per far capire che ora torno finalmente a parlare di figa e non di queste stupidaggini

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