Covid-1984: ne uccide più la lingua che la peste

Una cosa va detta chiara e tonda, nonostante il terrorismo mediatico e psicologico sui centomillemila morti e i camii di Bergamo: il tasso di sopravvivenza al covid è superiore al 99%. La stragrande maggioranza degli esseri umani non corre alcun rischio prendendosi questo coronavirus. Quasi tutti gli studi sul rapporto infezione-mortalità hanno dato risultati tra lo 0,04% e lo 0,68%: ciò significa che il tasso di sopravvivenza al covid è almeno del 99,3%.

Partendo da questa prospettiva, è necessario smentire un altro cavallo di battaglia della propaganda: non c’è stato alcun aumento insolito della mortalità. Le varie testate nazionali hanno definito il 2020 “l’anno con più morti dalla Seconda guerra mondiale” a seconda del Paese (dall’Italia all’Inghilterra), ma questa conclusione è stata messa assieme manipolando i dati, ignorando il massiccio aumento della popolazione da allora, nonché il cosiddetto tasso di mortalità standardizzato per età. Di seguito l’esempio del Regno Unito:

Secondo questi parametri (scientifici), il 2020 non è nemmeno l’anno peggiore per mortalità dal 2000: infatti dal 1943 solo 9 anni sono stati migliori del 2020. Allo stesso modo, negli Stati Uniti il tasso di mortalità standardizzato per età per il 2020 è solo ai livelli del 2004:

Le cifre dei morti per covid, peraltro, sono chiaramente “gonfiate”. I Paesi di tutto il mondo hanno definito un “decesso per covid” come “morte per qualsiasi causa entro 30 o 60 giorni da un test positivo”. Le autorità sanitarie di varie nazioni come Italia, Germania, Regno Unito, Stati Uniti, Irlanda del Nord hanno ammesso questa pratica. La distinzione tra morire di covid e morire di altro dopo essere risultati positivi al covid ha portato a un conteggio eccessivo. Il patologo britannico John Lee aveva segnalato questa “sopravvalutazione” già la scorsa primavera. Considerando l’enorme percentuale di infezioni da covid “asintomatiche”, la ben nota prevalenza di gravi comorbilità e la possibilità di test falsi positivi, ciò rende i numeri dei decessi per covid scientificamente inaffidabili.

E a proposito di comorbilità, va ricordato appunto che la stragrande maggioranza dei morti per covid presentava gravi comorbilità. Nel marzo 2020 le statistiche ufficiali del governo italiano attestavano che il 99,2% dei “deceduti per covid” soffriva almeno di una grave comorbilità (cancro, malattie cardiache, demenza, Alzheimer, insufficienza renale e diabete). Oltre il 50% dei deceduti aveva tre o più gravi patologie preesistenti. L’esclusione a priori delle comorbilità come causa di decesso successivamente è diventata la norma: l’Istituto Nazionale di Statistica britannico ha rivelato nell’ottobre 2020 che meno del 10% dei “morti per covid” erano deceduti per un’unica causa di morte.

Altro dato fondamentale: l‘età media dei “morti per covid” è superiore all’aspettativa di vita media. L’età media di un “morto per covid” nel Regno Unito è di 82,5 anni, in Italia 86; in Germania 83; in Svizzera 86; in Canada 86; negli Stati Uniti 78; in Australia 82. In quasi tutti i casi l’età media di un “morto per covid” è superiore all’aspettativa di vita nazionale. Pertanto nella maggior parte del mondo la “pandemia” ha avuto un impatto minimo o nullo sull’aspettativa di vita.

Infine, l’elemento forse più interessante: la mortalità da Covid rispecchia esattamente la curva della mortalità naturale. Studi statistici del Regno Unito e dell’India hanno dimostrato che la curva per la “morte per covid” segue quasi esattamente la normale curva dei decessi:

Per quanto riguarda, più in generale, il mondo anglosassone, si registra un ultimo aspetto della questione della “morte per covid”: da quelle parti, come apprendiamo grazie a Off Guardian, c’è stato un aumento spropositato dei cosiddetti “ordini di non rianimare” (Do-Not-Resuscitate). Negli Stati Uniti gli ospedali hanno tenuto questo “protocollo” per qualsiasi paziente risultatasse positivo al covid. In Inghilterra c’è stato un “aumento senza precedenti” degli ordini di non rianimare per le persone disabili, e alcuni medici hanno firmato ordini generali per intere case di cura. Uno studio condotto dall’Università di Sheffield ha rilevato che su oltre un terzo di tutti i pazienti “sospetti” covid pendeva un ordine di non rianimare a 24 ore dal ricovero in ospedale. L’uso generalizzato degli “ordini di non rianimare” potrebbe del resto spiegare eventuali aumenti della mortalità nel 2020/21.

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