Crollano i favorevoli allo ius soli

Sulla prima pagina del “Corriere” di oggi, Nando Pagnoncelli registra un crollo degli italiani favorevoli allo ius soli, la cui percentuale è passata dal 71% del 2011 al 44% del 2017.

Il fenomeno era decisamente prevedibile, non solo per l’acuirsi della crisi migratoria, ma anche per le modalità stesse in cui se n’è finora discusso, con un’impostazione ormai divenuta ordinaria: affrontare un problema che influenzerà le vite degli italiani per decenni a venire in situazione di emergenza, con un approccio esclusivamente “sentimentale” ed escludendo ogni traccia di imparzialità o equilibrio dal dibattito.

Ciò che irrita particolarmente nelle circostanze attuali, al di là delle posizioni politiche individuali (anche se ci si dovrebbe interrogare sui motivi per cui l’opinione degli italiani sia cambiata in così poco tempo), è il modo in cui taluni “italofobi” sono riusciti su due piedi a ribaltare il proprio giudizio negativo, trasformandola all’istante l’italianità in un valore non solo da difendere, ma addirittura da promuovere.

In tutti gli altri casi, l’opinione dell’elettore medio di centro-sinistra è decisamente meno esaltante: a suo parere gli italiani sono dei cafoni sottosviluppati (a parte lui, ovviamente); la cultura italiana è inferiore a quella di qualsiasi altro Paese del mondo, dal Gabon al Kazakistan; i valori italiani sono il femminicidio, gli spaghetti, l’omofobia e il calcio; la lingua italiana è poco “competitiva” e il suo uso (anzi, abuso) toglie spazio all’apprendimento dell’inglese (da qui la polemica sul doppiaggio, mentre invece le civiltà ariane, come quella estone o svedese, usano i sottotitoli).

Non credevamo possibile che bastassero centomila immigrati all’anno per risvegliare questo ardore patriottico: il “miracolo”, non appena si allarga un po’ più la prospettiva, rivela infatti tutta la sua inconsistenza. L’afflato europeista di chi è andato a votare Renzi alle primarie perché “Matteo pensa da una prospettiva europea e non italiana”, si estingue proprio nel momento in cui ce ne sarebbe più bisogno: ecco perché la questione della cittadinanza, a differenza di tutte le altre (come quelle relative, per esempio, alla difesa o all’economia), viene affrontata con un approccio completamente unilaterale, senza nemmeno uno straccio di modello al quale ispirarsi.

Se tale stillicidio fosse perlomeno bilanciato da una parallela discussione a Bruxelles, ci si potrebbe illudere di esser rappresentati da persone che hanno minimamente a cuore le sorti nazionali. Al contrario, l’iniziativa sembra più rispondere alle esigenze di quei Paesi egemoni intenzionati a sfruttare la posizione geografica dell’Italia per introdurre il principio non scritto dell’accoglienza “selettiva” all’interno della Kerneuropa.

Tutto ciò si verifica per giunta in un contesto in cui l’Italia è al primo posto in Europa per concessione di cittadinanza agli stranieri: come ci informa l’Ansa,

«L’Italia è prima in Europa per la concessione della nazionalità ai migranti. Le tre nazionalità che più si sono viste riconoscere quella italiana sono albanesi, marocchini e romeni. È quanto emerge dai dati Eurostat per il 2015, che indicano a livello Ue una tendenza costantemente in calo, con 840mila persone contro le 890mila del 2014 e le 980mila del 2013. L’Italia, nel 2015, ha concesso la cittadinanza a 178.035 persone, di cui il 19,7% albanesi, il 18,2% marocchini e l’8,1% romeni».

Lo ius soli rappresenta tutto fuorché una “emergenza sociale”: smettiamola quindi di prenderci in giro. Peraltro trovo ancora valide le obiezioni formulate nel 2011 (quando si cominciò a parlare di una riforma delle leggi sulla cittadinanza) dall’allora capogruppo della Lega in Toscana, l’italo-brasiliano Antonio Gambetta Vianna (“Frontiere News”, novembre 2011)

«La maggior parte dei Paesi europei adotta lo ius sanguinis, essendo, quest’ultimo, più confacente alle caratteristiche storiche, culturali e, quindi, sociali delle popolazioni europee. […] Non dobbiamo assolutamente mettere sullo stesso piano l’Italia con gli Stati Uniti d’America, visto che gli Usa sono nati proprio per creare una nuova razza, un uomo nuovo dal minestrone dovuto all’immigrazione di tutte le popolazioni del mondo. Negli Stati Uniti, però, lo ius soli ha determinato una forte presenza di comunità e quartieri chiusi, i ghetti, dove povertà e criminalità regnano sovrane. […] Alla base della mia posizione non vi è assolutamente un ragionamento di stampo razzista, bensì identitario. A molti figli degli immigrati non interessa diventare italiani tanto che non fanno nemmeno domanda per la cittadinanza al compimento del 18° anno di età. Bisogna tutelare anche queste persone che, nonostante siano nate nel nostro Paese, hanno deciso di abbracciare la sola identità di sangue e sognano di tornare presto nel Paese dai quali provengono i propri genitori e i propri avi».

Infine, come è stato ricordato di recente da Marco Taradash (ex-radicale, ora nel “Nuovo Centro Destra”), lo ius soli presenta un problema particolare per il nostro Paese, riguardante la sua posizione geografica rispetto all’Europa. Noi siamo, infatti, “terra di sbarco”, e anche chi desidera facilitare ulteriormente il conseguimento della cittadinanza italiana dovrebbe avere sempre ben presente tale condizione.

Penso non ci sia altro da aggiungere, se non che era ampiamente prevedibile che il combinato disposto di ius soli e vaccinazioni di massa facesse sorgere la paranoia del “grande complotto” per ridurre il nostro Paese a un immenso campo profughi, in cui l’unico metodo possibile di governo è appunto la coercizione, estesa inevitabilmente anche a livello sanitario. D’altro canto, le dichiarazioni dell’attuale Ministro della sanità non aiutano di certo a placare gli animi…

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