Questo sopra è un manifesto dei cristiano-battisti russi risalente al 1964, nel quale si invita a pregare per le vittime delle persecuzioni sovietiche. In alto a sinistra si può vedere l’immagine di Nikolaj Khmara [Николай Хмара], accanto a quella della sua famiglia. Le citazioni sono tratte da Eb 11, 35 e Gv 15, 13 nella versione ottocentesca della cosiddetta Traduzione Sinodale:
иные же замучены были, не приняв освобождения
(“Altri poi furono torturati, non accettando la liberazione loro offerta”);
Нет больше той любви, как если кто положит душу свою за друзей своих
(“Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici”).
Khmara morì in conseguenza delle torture subite nel carcere di Barnaul, dove gli venne strappata anche la lingua:
Questa vicenda dell’era post-staliniana mi è tornata alla mente leggendo la dichiarazione di un missionario cattolico in Russia riportata da “Tempi” a proposito del “pacchetto Jarovaja” di cui abbiamo appena discusso:
«Sarebbe una grande iperbole comparare le nuove leggi a quelle comuniste, visto che obbligare le chiese a registrarsi è molto diverso dallo smembrarle completamente».
Sembra che pure lo “smembramento” dei fedeli sia escluso dai nuovi provvedimenti e che quindi queste vergogne non debbano più ripetersi. Sappiamo però anche che la storia è fatta da corsi e ricorsi, quindi le proteste delle varie congregazioni protestanti ed evangeliche paiono motivate.
Resta però un dubbio di fondo: se una setta rifiuta di “registrarsi” perché non riconosce i valori e la Costituzione della società che la ospita, ha davvero motivo di lamentarsi? Per dirla ancora meglio: si può pretendere giustizia da uno Stato ingiusto?
È un equivoco che andrebbe chiarito, altrimenti non avrebbe senso ordinare la propria esistenza in base a un credo per il quale poi non si è disposti a dare la vita. È noto infatti che i convertiti a una setta non si limitano semplicemente a “praticare” la fede come gli altri, ma al contrario passano ogni istante a testimoniare la propria scelta, cercando di convincere il prossimo a imitarli: sarebbe imbarazzante che, alla prova dei fatti, proprio costoro si rifiutassero di “razzolare” quel che hanno predicato.
D’altra parte, ognuno di noi in qualsiasi situazione è sempre chiamato a piccoli e grandi compromessi: se questi seguaci hanno più a cuore la propria vita che la salvezza ultraterrena, allora scelgano di praticare uno dei culti riconosciuti dalla legge russa.
Il fatto che Mosca ora intenda porre un freno al dilagare delle “religioni alternative” dipende non tanto da un rigurgito stalinista, quanto dalla circostanza storica attuale che vede i fondamentalismi ruggire da ogni parte del mondo. Oggi non è di certo l’ateismo di Stato a produrre martiri: pensiamo solo alle violenze anticristiane in India, alle chiese profanate da estremisti ebrei in Israele, ai mussulmani perseguitati in Birmania.
Per non parlare del fondamentalismo islamico, che è il motivo principale per cui il pacchetto antiterrorismo è stata approvato. Come nota puntualmente un commentatore evangelico italiano, la legge Jarovaja assomiglia molto a una di quelle iniziative “anti-moschee” nostrane camuffate con fantasiosi divieti burocratici e urbanistici.
Il “pesce grosso” perciò resta, sia in Italia che in Russia, quella parte di islam che non si riconosce nelle sigle ufficiali: di conseguenza, è poco corretto interpretare il provvedimento come un pretesto per perseguitare microscopiche sette protestanti.
Al contrario, vediamo come nella maggior parte dei Paesi europei, proprio la garanzia della “libertà religiosa” permette alle associazioni islamiche di accaparrarsi la maggior parte delle aree assegnate ai luoghi di culto non cattolici. Come ho già affermato, non comprendo i motivi per cui dovremmo pretendere dalla Russia una “liberalità” con la quale noi italiani (ma ormai anche francesi e tanti altri) non vorremmo avere nulla a che fare.
Pensiamo invece a qualche problema più concreto: per esempio, una conseguenza negativa della “Jarovaja” sulla vita quotidiana dei russi è rappresentata dalle nuove disposizioni riguardo alla conservazione di chiamate, messaggi e tutto il resto (estese da dodici ore a sei mesi), che obbligheranno le compagnie telefoniche ad aumentare le tariffe agli utenti. Ecco, questo è un punto da cui partire per un’eventuale opposizione condivisa: dare la vita per i proprio amici va bene, ma per il rincaro in bolletta, proprio no…