Donald Trump a meno di un mese dal suo giuramento per il secondo mandato è tornato a rispolverare, sul suo social personale (intendo Truth, non X), l’annosa questione della Groenlandia. Lo ha fatto in un messaggio nel quale, annunciando il nuovo ambasciatore americano per la Danimarca (Ken Howery, un “esperto” di questioni scandinave, oltre a essere un affiliato della famigerata PayPal Mafia), ha affermato testualmente: “Ai fini della sicurezza nazionale e della libertà in tutto il mondo, gli Stati Uniti d’America ritengono che la proprietà e il controllo della Groenlandia siano una necessità assoluta“.
Già nell’agosto del 2019 Trump aveva annunciato un proposito simile, suscitando l’ilarità di tutto il mainstream che però qualche anno dopo aveva plaudito alla decisione di Joe Biden di indire una sorta di “colonizzazione economica” dell’isola. Tra il serio e faceto, il buon Donald aveva anche pubblicato l’immagine di uno dei suoi “torrioni” giurando che non avrebbe fatto fare quella fine ai poveri eschimesi, ma la sua proposta seppur presentata come il solito colpo di testa esprimeva una necessità sempre più impellente per Washington sia dal punto di vista geopolitico che energetico.
I promise not to do this to Greenland! pic.twitter.com/03DdyVU6HA
— Donald J. Trump (@realDonaldTrump) August 20, 2019
Riaffermiamo dunque l’ovvio: tutte le grandi potenze attuali (Stati Uniti, Cina e Russia) puntano sempre più insistentemente ad acquisire pezzi della Terra Verde per accaparrarsi uno dei più grandi depositi mondiali di gas naturale, oro, platino, cadmio e altri minerali divenuti essenziali per l’industria digitale.
Nel caso di Trump poi dobbiamo osservare (senza sembrare troppo faziosi) che la “mossa” si inserisce perfettamente nel solco della tradizione americana che egli annuncia ancora di voler rappresentare (non so quanto sia opportuno credergli, ma vabbè), cioè protezionista e neo-isolazionista, avendo peraltro ventilato già nella campagna elettorale del 2020 la possibilità di utilizzare i soldi ottenuti dai dazi proprio investendo nell’acquisizione dello scrigno groenlandese.
Sempre dall’ottica della tradizione politica americana, invitiamo i cialtroni giornalisti a informarsi (magari attraverso Wikipedia) di come gli Stati Uniti abbiano annesso la Louisiana e l’Alaska, vicende storiche che evidentemente essi ignorano (o fingono di ignorare).
Inoltre, va ricordato che le accademie americane da decenni stilano studi e analisi su quanto il controllo dell’isola sia cruciale in diversi settori, sia da quelli più importanti che abbiamo già evocato (ambito militare e delle risorse) sia da prospettive meno da “Grande Gioco” ma comunque essenziali, come per esempio i diritti sulla pesca. Inoltre, a un livello più “profondo”, s’intende di servizi e agenzie, non sfugga che la Groenlandia viene definita in codice come Thule.
D’altro canto, allo stesso Barack Obama era stato suggerita un’occupazione soft nella prospettiva della propaganda sul cambiamento climatico, che designava anch’essa la Terra Verde come Ultima Thule della sostenibilità energetica, a fronte di un surriscaldamento globale che avrebbe se non altro garantito la sua abitabilità e agevolate l’estrazione delle risorse del sottosuolo.
Ad ogni modo, anche volendo credere che questa sia la più colossale idiozia di tutti i tempi, dobbiamo aggiungere un altro dettaglio che nessun giornalista ha avuto modo di riportare (forse, anche qui, più per semplice ignoranza che per cattiva coscienza, nonostante una cosa non escluda l’altra): la magnifica e progressiva Unione Europea da decenni sta cercando proprio di “comprarsi” la Groenlandia, facendosi però -come al solito- bellamente prendere per il naso.
L’isola infatti, essendo parte del Regno di Danimarca, rientra nella cosiddetta Associazione dei paesi e territori d’oltremare istituita nel 2000 a Bruxelles per riunire tutti i pezzettini di terra che le potenze coloniali europee sono riuscite a rosicchiare in giro per il mondo (Aruba, le Bermuda, le Falkland, la Polinesia francese, Curaçao e altri paradisi fiscali).
La presenza della Groenlandia in verità rappresenta un caso a parte, poiché l’isola dopo esser entrata nella Comunità Economica Europea a seguito della Danimarca nel 1973, qualche anno dopo decise con un referendum di uscirne e da allora resta legata al Vecchio Continente nelle sue varie conformazioni attraverso trattati e associazioni.
Questo significa che da decenni centinaia di milioni di contributi europei finiscono, “a fondo perduto”, nelle casse di una colonia-non-colonia, cioè di un pezzo di terra che da un giorno all’altro potrebbe dichiarare l’indipendenza e vendersi tutto ai cinesi o ai russi (come d’altro canto sta già facendo, ecco probabilmente un altro motivo delle sortite yankee).
Dunque Trump, dalla sua prospettiva, ha assolutamente ragione. Se poi volessimo chiudere con una nota di colore, potremmo osservare che come le varie dottrine geopolitiche novecentesche risalgono perlopiù a fantasie esoteriche da circoletti massonici, può anche darsi che quest’ansia di controllare la Groenlandia derivi dalla sua posizione strategica in un gioco molto amato dagli americani, il Risiko, che la colloca a metà strada tra vecchio e nuovo mondo come immensa “piattaforma” militare dalla quale eventualmente progettare un’invasione dell’Europa oppure pianificare la difesa dell’intera America del Nord posizionando su di essa il maggior numero di carrarmatini colorati.