Solitamente sono refrattario a commentare la cronaca a caldo, tuttavia il caso della strage alla sinagoga di Pittsburgh (11 morti, il più grave attentato subito dalla comunità ebraica negli Stati Uniti) apre fin troppi fronti politici che meritano un breve approfondimento.
Cominciamo dall’attentatore, tale Robert Bowers: per il momento sappiamo che era “attivo” solo su un unico social network, Gab, considerato dai media come refugium peccatorum di tutti gli estremisti di destra cacciati da Facebook e Twitter, ma che in realtà, come ha confermato anche nel comunicato sulla strage, è perlopiù di ispirazione libertaria.
Il suo profilo (saggiamente archiviato da qualche anonimo) dimostra l’assoluta mancanza di simpatia nei confronti di Donald Trump, apertamente considerato dall’assassino come una “marionetta degli ebrei”, uno shabbes goy.
Posts from the suspected Pittsburgh shooter Robert Bowers. He hated Trump and thought Trump was controlled by Jews. This monster is an unhinged anti-Semitic terrorist. pic.twitter.com/sjb2k6ucwb
— Robby Starbuck (@robbystarbuck) 27 ottobre 2018
Su questo punto si potrebbe scrivere un intero saggio, a dimostrazione che nonostante i media mainstream siano già pronti a suggerire un’appartenenza repubblicana di Bowers, in realtà il tema è decisamente complesso: proprio negli ultimi due anni molti neonazisti sono stati espulsi dal partito di Trump e alcuni di essi hanno deciso per ripicca di rivolgersi all’opposizione. Addirittura un leader antisemita come Patrick Little ha annunciato la sua candidatura con i democratici alle prossime elezioni, riconoscendo ai “blu” una maggior tolleranza nei confronti dell’antisemitismo.
Questa è appunto la seconda questione: mentre la “destra” è piuttosto severa nei confronti di chi esprime opinioni contro gli ebrei, la “sinistra” per opportunismo si trova costretta ad accettare diversi gradi di antisemitismo. Da una parte infatti c’è la storica avversione degli afro-americani motivata inizialmente da motivi politici e ora da religiosi (noto il caso di Louis Farrakhan, attuale leader della Nation of Islam, che periodicamente mette in imbarazzo i vertici democratici); dall’altra le nuove leve “islamo-femministe” (come Linda Sarsour) che possono profferire qualsiasi minaccia contro gli ebrei in nome dell’avversione contro Israele (per ulteriori dettagli su tale “evoluzione” dei liberal, rimando a questo articolo del “New York Post”).
Dunque non è affatto improbabile che a un certo punto salti fuori qualche elemento imprevedibile della biografia dell’attentatore, il quale ovviamente verrà insabbiato dalla stampa mainstream: sto pensando, per esempio (ma è solo una supposizione), alla volontà di mettere in difficoltà la “marionetta” Trump in vista delle elezioni di midterm.
Veniamo infine al problema più spinoso, la “questione ebraica”: la comunità americana è profondamente spaccata nei confronti di questo Presidente così “razzista” che ha però spostato l’ambasciata a Gerusalemme. Anche in queste ore si assiste a siparietti allucinanti e surreali, come quel commentatore ebreo dell'”Atlantic” che a cadaveri ancora caldi ha invitato a tutta pagina al “boicottaggio” degli ebrei pro-Trump (ricevendo il giusto rimbrotto dei correligionari conservatori):
«Qualsiasi strategia per garantire la sicurezza degli ebrei americani dovrebbe comportare il ripudio dei sostenitori ebraici di Trump. Il loro denaro dovrebbe essere rifiutato, la loro presenza nelle sinagoghe non gradita, perché hanno messo in pericolo la loro comunità».
Persino gli ebrei della diaspora d’oltreoceano sono quindi lacerati e reagiscono alla strage in primis a seconda delle appartenenze politiche: è un dato che si registra in quei Paesi (come Francia, Ungheria e anche Italia) dove comunità ebraiche tradizionalmente e storicamente di “sinistra” devono affrontare nuove forme di antisemitismo sorte dal connubio tra immigrazione musulmana e “mutazione genetica” del progressismo.
In cauda venenum aggiungiamo che in queste elezioni di metà mandato i democratici hanno fatto il pieno di ex appartenenti ai servizi segreti tra i candidati: non per dare adito a complottismi, ma il dato è comunque degno di nota. D’altronde sarebbe ingenuo pensare che questo quarantaseienne della Pennsylvania, il quale passava le sue giornate a proclamare in pubblico (non solo virtualmente) la sua ideologia, condendola con ogni tipo di minacce verso gli ebrei, non fosse in qualche modo “monitorato”. Però qui ci fermiamo, soprattutto per rispetto verso le vittime.