A proposito del mio ultimo articolo su Daria Dugina, ho citato un pezzo di Eugenio Di Rienzo per il “Corriere della Sera” risalente al 2015 nel quale lo storico italiano smentiva la leggenda di Aleksandr Dugin come “cervello di Putin”. Un lettore, Alessio Mulas, mi ha giustamente fatto notare qualche imprecisione nella analisi di Di Rienzo, che riporto di seguito:
Eugenio Di Rienzo scrive che l’etichetta di Dugin come filosofo o mente di Putin “ritorna anche in una recente, per certi versi interessante raccolta di studi (Rinascita di un Impero. La Russia di Vladimir Putin)”. Mente. Credo che Di Rienzo fosse presente quando discutemmo pubblicamente di Rinascita di un impero, nel giugno 2015 a Milano. Nel libro ci sono due miei articoletti che toccano l’argomento, “I filosofi dello zar” e Russkaja Ideja. Teoria politica e nuove sintesi nella Russia del XXI secolo.
È un equivoco che nasce da queste righe:
«Tra gli autori verso cui è orientato il pensiero di Putin, specchio del suo stile di governo, v’è infine Aleksandr Dugin, filosofo neoeurasista, teorico della Quarta Teoria Politica. La fondazione dell’Unione economica eurasiatica, l’annessione della Crimea, il supporto agli insorti della Novorossija, i buoni rapporti con gli altri paesi della sigla Brics, i rimandi al multipolarismo e le ultime scelte di politica estera della Presidenza russa sono la cifra della crescente vicinanza di Putin al geopolitico, studiato e ammirato da una parte dell’amministrazione russa».
Righe che tuttavia sono seguite da una precisazione:
«”Foreign Affairs” si è spinta fino a definire Dugin il cervello di Putin, e a mettere in luce le affinità tra il pensiero del primo e la politica del secondo. Al di là di tali esagerazioni, è piuttosto utile rilevare l’eterogeneità della cultura di Putin, che spazia dagli autori liberali a quelli conservatori, dalla letteratura geopolitica eurasista alle più recenti teorie politiche; il Presidente russo e le sue sfere decisionali si servono di tali elementi ideologici come strumento della propria politica, sia estera che culturale, senza esplicite adesioni e con notevole elasticità mentale».
Si parla invece di Berdjaev, Ivan Ilyin, Solov’ëv.
Nell’altro articolo, ancora:
«Nonostante sia evidente la svolta eurasista della politica russa, è da constatare quanto l’eurasismo di Dugin venga sfruttato, in Occidente, come “una sorta di spauracchio che viene spesso agitato, sopravvalutando in effetti l’importanza di questo orientamento nelle sfere decisionali russe, che se ne servono al pari di altri elementi ideologici”. È infatti perlomeno azzardato considerare Dugin l’ideologo di Putin o, come ha scritto “Foreign Affairs”, il suo cervello. Il filosofo medesimo rifiuta questa descrizione, poiché non ha mai lesinato critiche verso il Presidente, a cui “manca una visione del mondo coerente”. D’altra parte, gli analisti statunitensi hanno costantemente monitorato i rapporti tra il mondo eurasista e le scelte di governo di Putin. Come raccontato dallo stesso Dugin, all’Istituto Hopkins (prestigiosa università nordamericana) gli fu mostrato un dossier di corrispondenze tra le sue prese di posizione negli anni Novanta e le più recenti dichiarazioni del Presidente russo, con una notevole mutuazione di idee».
Di Rienzo non ha letto il libro o lo ha letto male.
Parlando di cose serie: conobbi Dugin in quell’occasione, è una persona straordinaria. Mi fece l’effetto che Heidegger faceva ai suoi allievi, ha un’aura magnetica, di serietà incondizionata. A cena pregò prima di mangiare e scelse il piatto più sobrio del menù. Un contadino dell’Ottocento catapultato in un rinomato ristorante milanese. Non consumò alcolici, nonostante fosse tutto offerto dagli organizzatori.