È valida la messa lefebvriana?

È valida la messa celebrata dai sacerdoti appartenenti alla Fraternità sacerdotale San Pio X (FSSPX), comunemente conosciuti come “lefebvriani” dal nome del loro fondatore, mons. Lefebvre? La questione è netta e merita una risposta che lo sia altrettanto, specialmente nel momento in cui Bergoglio con un motu proprio (Traditionis custodes) dal luglio 2021 ha reso ancor più complicato celebrare la cosiddetta “messa in latino” dopo gli anni della relativa tregua garantita dal Summorum Pontificum di Benedetto XVI (luglio 2007).

Il superiore generale della FSSPX don Davide Pagliarani ha così commentato la “stretta” bergogliana:

«L’era dell’ermeneutica della continuità, con i suoi equivoci, le sue illusioni e i suoi impossibili sforzi, è drasticamente superata, cancellata con un colpo di spugna. Queste misure così chiare e nette non toccano direttamente la Fraternità San Pio X, ma devono essere per noi l’occasione di una riflessione profonda. Per farla, è necessario guardare dall’alto e porci una domanda al tempo stesso vecchia e nuova: Perché dopo cinquant’anni la Messa tridentina è ancora il pomo della discordia?».

La sua risposta, piuttosto prevedibile, è che «la Messa tridentina veicola ed esprime una concezione della vita cristiana, ed in conseguenza una concezione della Chiesa, che è assolutamente incompatibile con l’ecclesiologia derivante dal concilio Vaticano II. […] [Alla] missione umanista che gli uomini di Chiesa si sono dati deve necessariamente corrispondere una liturgia ugualmente umanista e desacralizzata». In ultima analisi, la questione non riguarda soltanto i criteri formali del rituale, ma «la guerra tra due concezioni differenti ed opposte della Chiesa e della vita cristiana, assolutamente irriducibili ed incompatibili tra loro».

Da questa premessa, viene tratta la conclusione che la Fraternità si considera da una parte separata dalla Chiesa bergogliana (stato di necessità per preservare la Messa tridentina dall’estinzione), e dall’altra si pensa come “vera” Chiesa, rappresentante della «fede cattolica nella sua integrità». Tuttavia, a noi non interessa stabilire la condizione che i lefebvriani conferiscono a loro stessi, ma comprendere quali sarebbero le conseguenze per un fedele che decide di partecipare alla “loro” messa piuttosto che a quella “autorizzata” (se così squallidamente possiamo esprimerci, ma visti i tempi…).

Gli studiosi rispondono che la Messa officiata dai sacerdoti della FSSPX è valida ma illecita: ciò significa che i sacramenti sono validi, ma che sussistono degli elementi che potrebbero inficiarne la fruttuosità. Per esempio, se un fedele si trovasse in una città che non conosce e la domenica mattina si imbattesse in una delle tante (belle) chiese erette dai lefebvriani, partecipasse alla messa e si comunicasse senza avere contezza alcuna sull’illeceità del rito, chiaramente non gli si potrebbe attribuire nessuna -eventuale- colpa. Certo, portare tali casi paragonando il prete “tradizionalista” a un sacerdote in peccato mortale (che effettivamente sta perpetrando un sacrilegio), è assurdo, ma non tanto se pensiamo che una delle accuse rivolta dai bergogliani ai lefebvriani è quella di minare l’unità della Chiesa.

Ad ogni modo, la questione cambia se il fedele invece assiste consapevolmente a una messa “non lecita”. Si tenga a mente che, al di là del ritiro delle scomuniche operato da Benedetto XVI e le ambigue “aperture” di Bergoglio (che ha concesso ai preti lefebvriani la facoltà di impartire confessioni e celebrare matrimoni), la FFSPX «non ha alcuno stato canonico nella Chiesa» (parola di Ratzinger) e rimane, per usare l’espressione di G. Marcotullio (“Aleteia”), in una condizione de facto scismatica.

Il padre domenicano Angelo Bellon (rispondendo alla domanda di un fedele sul portale delle Edizioni Amici Domenicani) afferma che «è vero che i sacerdoti lefebvriani non sono in comunione con il Papa, ma “perché si possa recuperare, con l’aiuto di Dio, la piena comunione nella Chiesa Cattolica” [sta citando la lettera apostolica di Bergoglio Misericordia et misera] il Papa sembra permettere la partecipazione all’Eucaristia». Eppure, lo stesso in altro luogo consiglia ai fedeli di «vivere i Sacramenti in piena Comunione col Papa», lasciando a intendere che «se si partecipa attualmente a tali Messe [scil. “tradizionaliste”] con spirito di sfida e di discordia – sebbene sotto il profilo legalistico si possa dire che il precetto è stato assolto – rimane ancora molto da dire sulla carità e sulla comunione che ne deriva».

D’accordo, ma come stabilire, in maniera obiettiva, che una persona partecipi a tal o tale messa con “spirito di sfida e di discordia”? E se anche un fedele covasse nel suo cuore solo “pace e amore”, la possibilità che il celebrante serbi un solo briciolo di astio (mettiamola così) verso l’attuale pontificato, interpretata da tale prospettiva, non renderebbe concreto il rischio della “infruttuosità” dei sacramenti amministrati?

Sotto questo aspetto, padre Edward McNamara (Legionari di Cristo) sembra giungere a una conclusione simile:

«Il mero fatto di assistere a una messa della Fraternità non è peccato. Lo diventerebbe solo se una persona partecipasse a tale Messa con la deliberata intenzione di separarsi dalla comunione con il Romano Pontefice e da coloro che sono in comunione con lui».

Padre McNamara aggiunge però che un fedele che desiderasse assistere a una messa nella “forma straordinaria” dovrebbe in primo luogo verificare che la diocesi abbia concesso qualche deroga, e qualora ciò non fosse, piuttosto che rivolgersi ai lefebvriani dovrebbe «partecipare a una messa in forma ordinaria o anche a una celebrazione cattolica orientale (sic) in modo da rimanere nella piena comunione cattolica».

Persino nell’articolo di “Aleteia” citato in precedenza (Si fa peccato ad andare a messa dai lefebvriani?, 6 settembre 2018) l’intera questione viene ridotta al problema della “intenzione”: «Resta validissimo il criterio, che ancora dev’essere rilanciato a chi pone la domanda sulla liceità: qual è l’intenzione che anima il desiderio di partecipare a quella messa?». A parte che rispondere a una domanda con un’altra domanda è come non rispondere, veniamo al punto: anche qui, si propone un criterio la cui “validità” (per rimanere in tema) lascia il tempo che trova (o ancor peggio rischia di diventare parte del problema), poiché pur supponendo intenzioni le più pie, pure e candide, resta comunque proibitivo, a livello pratico, ragionare sul concetto di “liceità”.

L’impossibilità di giungere a una conclusione è sintomo della confusione che regna sopra e sotto il cielo. La questione dell’intenzione è irrisolvibile, perché -giusto per dire- se un cattolico si recasse alla messa lefebvriana in quanto impedito di assistere al rito “straordinario”, si troverebbe obiettivamente (de facto) in spirito di “sfida” anche se fosse l’uomo più santo sulla faccia della terra. Provando a superare il busillis delle “intenzioni”, ragioniamo sulle condizioni per cui alla messa lefebvriana viene conferita la fatidica “liceità”: si tratta perlopiù di casi straordinari, a volte così paradossali da risultare di fatto irrealizzabili (come la storiella del prete che spara al diacono e costui sul punto di morire domanda l’estrema unzione al prete stesso, un’eventualità che per la teologia cattolica non inficia la validità del sacramento, seppur impartito da un assassino).

La linea extraordinaria non può comunque assurgere a paradigma: altrimenti, per fare l’ultimo esempio (e poi tagliar corto con le “eccezioni”), qualora la guerra vaticano-secondista alla messa tridentina giungesse finalmente al compimento con la totale eradicazione del rito, un fedele che fosse assolutamente convinto che la salvezza della sua anima dipenda dalla liturgia in lingua latina potrebbe lecitamente rivolgersi ai lefebvriani, e invocare fino alla fine dei suoi giorni la “necessità”. Oppure no?

Peraltro, questo pseudo-provocazione porta alla luce un altro “dettaglio” che sembra sfuggire ai più: se ai lefebvriani nel corso di questi anni è stato sostanzialmente concesso di celebrare tutti i sacramenti, perché si lascia il dubbio proprio su quello che rappresenta il cuore della liturgia, l’Eucarestia? Le conseguenze di tale confusione non sono da sottovalutare: sono sempre più frequenti iniziative, da parte di vescovi, volte a minacciare la scomunica ai fedeli che frequentano appunto le messe dei lefebvriani. E il fatto che non si riesca a ottenere alcuna indicazione pratica, al di là di una generale opera di dissuasione da parte del clero “lecito”, dice molto sulle intenzioni dei “benintenzionati”.

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One thought on “È valida la messa lefebvriana?

  1. Il vescovo di Tyler, Texas, USA, mons. Joseph Strickland, alcuni giorni fa aveva scritto che la FSSPX, i cosiddetti “lefebvriani” sono “scismatici”.
    Oggi si è corretto.
    Meno male che ha avuto l’onestà di farlo.
    Ha scritto anche che la Chiesa riconosce la Santa Messa celebrata dalla Fraternità.
    Scoperta dell’acqua calda, se vogliamo, ma di questi tempi, bisogna anche scoprire l’acqua calda.

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