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Gli ebrei e l’industria pornografica

La questione del monopolio ebraico nell’industria pornografica americana è stata affrontata anni fa da un ormai celeberrimo articolo della Jewish Quarterly (Jews in the American porn industry, inverno 2004, n. 196), che se non fosse stato scritto da un tale Nathan Abrams, sarebbe apparso come il classico attacco antisemita. Soprattutto perché le fonti utilizzate dall’Autore provengono dalla rivista “Culture Wars” dell’agguerrito polemista cattolico Michael E. Jones (la cui intenzione non era ovviamente quella di esaltare l’intraprendenza semita in tale ambito): in un eccesso di chutzpah, il buon Abrams si è impossessato delle ricerche di Jones, rivendicando la pornografia nientedimeno che come “bandiera” della cultura ebraica negli Stati Uniti.

Secondo Abrams, i motivi per cui gli ebrei avrebbero edificato questo abominevole impero sono sostanzialmente ridotti a tre: il primo, sempre invocato per giustificare una certa tendenza ebraica a occuparsi di attività moralmente riprovevoli, è la “ghettizzazione”, che tuttavia Abrams, con onestà intellettuale, pone in secondo piano, a favore invece di altre più importanti motivazioni (sempre intrise di chutzpah, come ama ripetere continuamente), ovvero i soldi e l’odio anti-cristiano.

La possibilità di far profitto a scapito della morale, sempre seguendo la linea dell’Autore, sembra non aver mai impensierito granché i “Fratelli Maggiori”, che da tale prospettiva hanno sempre costituito una sorta di avanguardia del Weltgeist (è un’altra tesi di M.E. Jones che Abrams rigira ancora in positivo). Per giunta personaggi come Reuben Sturman (1924–1997), il “Walt Disney del porno”, si sarebbero distinti come generosi benefattori delle organizzazioni ebraiche statunitensi. L’autore del pezzo elenca poi altre eccellenze israelitiche del campo che non hanno mai rinnegato il loro pedigree. In un altro eccesso di chutzpah, Abrams arriva a definire un protagonista del genere, Ron Jeremy, come

«un’icona americana, un eroe maschile per tutte le età, un tizio impacciato, grasso, peloso e orrendo che si porta a letto una marea di donne bellissime. È come un moderno Re Davide, un mandrillo ebreo che sostituisce i modelli classici della tradizione ebraica».

Il terzo punto, l’anticristianesimo, è sicuramente il più rilevante. Ci informa infatti Abrams, seguendo per l’ennesima volta Michael Jones, che una costante del porno è che i maschi (produttori, registi e attori) siano tutti ebrei mentre le donne quasi tutte di estrazione cristiana (preferibilmente cattolica): in effetti basta una semplice ricerca per accorgersi come «the standard porn scenario became as a result a Jewish fantasy of schtupping the Catholic shiksa» (tutto il testo è infarcito di slang yiddish: in questo caso si può intuire facilmente il significato di schtupping, mentre la shiksa è “una ragazza non ebrea giovane e attraente”). Non è un caso quindi che le porno-attrici siano perlopiù di origine europea o sudamericana, mentre gli uomini, gli odierni “Re David”, appartengano alla stessa etnia, indipendentemente dalle loro capacità “performative” (diciamo così).

Molti dei protagonisti di questa industria fanno esplicita professione di odio verso il cristianesimo. Per citare ancora Abrams «alcune pornostar si considerano combattenti in prima linea nella battaglia spirituale tra l’America cristiana e l’umanesimo secolare». L’autore, in un’overdose finale di chutzpah, riporta una citazione dell’editore di pornoriviste Alvin Goldstein (1936–2013) che ha fatto la gioia (si fa per dire) di molti antisemiti: «L’unico motivo per cui noi ebrei facciamo pornografia è che pensiamo che Cristo e il cattolicesimo facciano schifo».

Mazel tov! Perché non fare anche qualche battuta sulle decine di shiksas morte per aids, droga, alcolismo o suicidio? La lista è sterminata; da una ricerca estemporanea (condotta, a scanso di equivoci, esclusivamente su Wikipedia) ricordiamo: Alex Jordan (suicidio, 32 anni), Lolo Ferrari (suicidio, 37), Bodil Joensen (suicidio, 41), Chloe Jones (alcolismo, 30), Elisa Bridges (overdose. 29), Haley Paige (overdose, 26), Kandi Barbour (inedia, 56), Karen Lancaume (suicidio, 32), Megan Leigh (suicidio, 26), Rene Bond (alcolismo, 45), Savannah (suicidio, 24), Shauna Grant (suicidio, 20), Tera Wray (suicidio, 33).

E le attrici ebree? Ah no, quelle muoiono solo nei film sull’olocausto (chiedo perdono, ma per noi goyim la chutzpah è solo cattivo gusto).

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Addenda et corrigenda

Mi piacerebbe consigliare la ricerca del mitico Centro Culturale San Giorgio su Gli ebrei nella pornografia (21 maggio 2017) come ovvio compendio al pezzo; tuttavia, sono costretto a dissentire sia sulle premesse che sulle conclusioni di questo seppur interessantissimo contributo.

Innanzitutto perché in esso si “accolla” qualsiasi responsabilità sul groppone degli ebrei, peraltro con lo stratagemma di giudaizzare i due nomi in cima alla lista dei propalatori, Hugh Hefner e Larry Flynt, tra i prodotti più puri dell’America WASP. Per soprammercato, il fondatore di Playboy ha addirittura un tratto “ariano” da non sottovalutare, poiché, come scrissi in altra sede, egli ha consapevolmente o meno «riportato la nascente rivoluzione sessuale (improntata all’iconoclastia e al nichilismo) verso canoni di bellezza più tradizionali, in un contesto che potremmo definire “pseudo-barocco” nella misura in cui è controrivoluzionario e anti-apocalittico». È quindi paradossale che i pionieri del porno di massa siano forzatamente innestati in un milieu ebraico, quando invece è nel puritanesimo anglosassone che sarebbe più logico rintracciarne le radici.

In secondo luogo, tra le fonti principali viene appunto utilizzato il pezzo della Jewish Quarterly di Nathan Abrams ovviamente citato anche dal sottoscritto, ma solo allo scopo di dimostrare che l’autore non ha fatto che prendere le tesi del polemista cattolico americano Michael E. Jones per rivendicare la kasherut del porno come ennesima manifestazione del genio ebraico. Dunque sarebbe preferibile che i cattolici, soprattutto quelli conservatori, mettessero da parte questo Abrams come fonte per rifarsi invece direttamente a Jones: quanto meno per evitare la mise en abyme del teorema di quest’ultimo, basato sulla completa identificazione tra ebraismo e rivoluzione.

Infine, per restare in tema di “teoremi”, fare una lista mettendo assieme produttori, registi, editori e attori non è un buon modo per dimostrare che (citando ancora Abrams), «lo scenario standard del porno scaturisce dalla fantasia ebraica di farsi una shiksa cattolica», perché per certi versi la presenza di Jewish Princesses contraddirebbe la vera “ispirazione” del genere.

Peraltro, proprio grazie alla carrellata del Centro San Giorgio, ho scoperto che la celeberrima pornostar italoamericana Jenna Jameson, dopo aver passato una vita a “recitare” continuando a proclamarsi “una fervente cattolica” (sic), alla fine ha abbandonato definitivamente le scene in concomitanza con la sua conversione al giudaismo ortodosso. Se utilizzassimo il “metodo” seguito dagli estensori dell’articolo, dovremmo forse concludere che una cattolica è più a rischio di imputtanirsi di un’ebrea?

Evidentemente no, dunque evitiamo di fare un calderone unico (stavo per dire “orgia”) tra vittime e carnefici. L’attrice di origine semita ha meno a che fare col grasso produttore ebreo che con le sue “colleghe”, il che la pone comunque in una posizione di subalternità (no pun intended). Difficile, a tal proposito, a non pensare alla scia di suicidi che negli ultimi mesi ha segnato l’ambiente del cinema hard americano: in particolare indigna la vicenda di August Ames, letteralmente morta di “politicamente corretto” dopo aver subito una lapidazione mediatica a causa del suo rifiuto di “recitare” con un attore omosessuale.

Insomma, anche questo universo è decisamente composito, e per quanto l’antisemitismo sia a tratti esilarante (nella sua assurdità, s’intende), ridurre tutta la questione a una lotta tra ebrei corruttori e fanciulle cristiane è a dir poco ingenuo. Per affrontare il tema dei film per adulti bisogna essere altrettanto adulti da riconoscere che la piaga coinvolge tutte le fedi e tutte le etnie, forse con particolare accanimento verso le ragazze cattoliche, che a quanto pare anche nel peccare rifuggono gli austeri e mesti modelli anglosassoni o “nordici”.

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