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L’Economist elogia la denatalità, ma commette un passo falso…

Il tema della denatalità non viene mai affrontato in maniera aperta, come altre questioni, dal sistema politico-mediatico: è come se ci si vergognasse di esser giunti allo spopolamento totale e non si riuscisse nemmeno a trovare qualche giustificazione del tipo “è il prezzo da pagare per i diritti delle donne” (anche perché quando ammettono cose del genere è come se pisciassero fuori dal vaso – tra poco ci arriveremo).

Addirittura i governanti di destra e sinistra promettono bonus e prebende a chi si mette a far figli: lungi tuttavia dall’assomigliare a degli incentivi, sembrano perlopiù un rimborso per tutta la propaganda “anti-familista” con cui sono stati allevati i residui aspiranti al ruolo di genitore 1 e 2.

Tuttavia, c’è chi, naturalmente nell’anglosfera, non teme di parlar chiaro e finalmente rivelare il segreto di Pulcinella: la denatalità piace a chi ci governa. A svolgere il compito l’Economist, che poco tempo fa ha invitato un demografo norvegese (Vegard Skirbekk) a spiegare ai lettori perché un tasso di fecondità diretto verso lo 0,0% non è per forza sinonimo di decadenza (Why we should embrace low fertility rates, 1 giugno 2022).

Discutendo di sostenibilità dei sistemi nella prospettiva di un inverno demografico, Skirbekk afferma che un’economia forte si basa più sulla salute e l’istruzione di una popolazione che sulla sua età: in soldoni ciò significa che i governi occidentali devono prepararsi a “offrire incentivi alle persone affinché lavorino più a lungo” e al contempo favorire l’ingresso di forza lavoro dalle scuole il prima possibile.

E qui uno potrebbe domandarsi cosa dovrebbe guadagnarci uno a non far figli, se poi deve sgobbare dai 15 ai 100 anni… ma Skirbekk ha sempre la risposta pronta: tanto in futuro ci saranno i robot e si lavorerà in maniera più facile e veloce. In definitiva non esiste che il vostro rifiuto di procreare possa evitarvi la responsabilità di ammazzarvi comunque di lavoro per tenere in piedi il sistema. Sì, vi hanno venduto la scelta come il non plus ultra del disimpegno e dell’eterna giovinezza, ma ora che la frittata è fatta vi dicono apertamente che dovrete lavorare at an older age.

Ad ogni modo, questo Skirbekk parla davvero così tanto che alla fine giunge involontariamente a sostenere una tesi scorrettissima, ovvero che è inutile che i governi occidentali si impegnino in politiche a sostegno della famiglia semplicemente gettando monete a destra e a manca, perché non sono i soldi il problema.

Le cause della denatalità sono semmai da riscontrare nei seguenti fattori:

«la disponibilità di metodi contraccettivi più efficaci, duraturi e meno invasivi; la maggiore autonomia riproduttiva; l’aumento delle opportunità per le donne; il costo della crescita dei figli; l’aumento del tempo dedicato all’istruzione; la diminuzione della religiosità e la maggiore tolleranza per strutture familiari e stili di vita diversi».

Praticamente le 3G dello spopolamento: ginecocrazia, gattare e ghei. Nemmeno i cattolici parlano così chiaro: penso al libro del demografo Alessandro Rosina che nel suo recentissimo Crisi demografica. Politiche per un paese che ha smesso di crescere continua ad additare cause materiali (come il peso sul PIL delle risorse dedicate alle politiche familiari o la percentuale di servizi per l’infanzia offerti da vari Paesi europei) ma non riesce a spendere una parola sugli “stili di vita”. Per carità, il discorso è giustissimo, ma da un cattolico italiano ci si aspetterebbe qualcosa di più.

E invece ce lo deve venire a dire un demografo di Oslo che se si volesse invertire la rotta si dovrebbe condurre una “guerra culturale” contro la modernità, più che buttare risorse in programmi che non convincono nemmeno terroni e immigrati. Persino Papa Bergoglio, nonostante l’allure da “prete operaio” che dovrebbe spingerlo ad additare solo i motivi economici alla denatalità, almeno una volta all’anno trova il momento di polemizzare contro le persone che preferiscono cani e gatti ai figli, un atteggiamento che esprime la volontà di godere di un “affetto programmato e senza problemi”. Se non altro è un modo per tentare un approccio diverso alla questione, che gli opinionisti cattolici hanno però abbandonato da secoli. Per fortuna c’è l’Economist a ricordarci le vere cause della denatalità.

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