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L’educazione cinese in Africa

Sta facendo -come si dice- “il giro del web” un video pubblicato da una attivista canadese di origine uigura che mostrerebbe dei bambini africani “costretti a imparare il cinese” a causa del “malefico imperialismo cinese in Africa”.

I due bambini color del cioccolatte reggono un bastoncino con gli avambracci e recitano le prime strofe di una nota canzone patriottica cinese:

我们都有一个家名字叫中国
Wǒmen dōu yǒu yīgè jiā míngzì jiào zhōngguó
(Abbiamo tutti una casa chiamata Cina)

兄弟姐妹都很多景色也不错…
xiōngdì jiěmèi dōu hěnduō jǐngsè yě bùcuò…
(Laggiù sono tutti fratelli e sorelle e hanno anche tanti bei panorami…)

Per carità, qualsiasi spunto va bene per polemizzare con il colonialismo cinese, però in tal caso si tratta della solita bufala spacciata a “fin di bene”: i bambini in questione infatti vengono sottoposti allo stesso tipo di educazione a cui sono sottoposti i loro coetanei cinesi. Giusto o sbagliato che sia, non è questione di “imperialismo culturale” (se non in senso fin troppo lato): questa è la fatidica Mǎ Bù (馬步), “Posizione del cavaliere” (o “del cavallo”) del kung fu (che adesso chiamano wushu).

La passione per le arti marziali in Africa più che di origine pechinese sembra andare di pari passo con l’ascesa dell’industria cinematografica locale, chiaramente ispirata al modello dei film d’azione americani. Un esempio celebre da essere diventato un meme è il capolavoro Who Killed Captain Alex? del 2010, il “primo action movie ugandese della storia”:

Esistono anche esempi tecnicamente più pregevoli (o meno cringe), come Karaté dal Malawi (vabbè il karate è giapponese, ma tutto fa brodo).

Naturalmente i cinesi ne hanno approfittato innestandosi in questo contesto e finanziando centinaia di scuole di arti marziali.

Dunque non è proprio una fake news ma poco ci manca: in ogni caso è sempre meglio verificare qualsiasi cosa prima di farla diventare un “caso internazionale”.

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