Site icon totalitarismo.blog

Elogio di Giuseppe Stalin (Alcide De Gasperi)

Il 23 luglio 1944, al Teatro Brancaccio di Roma, Alcide De Gasperi tenne il primo intervento pubblico dopo la liberazione di Roma, avvenuta in giugno ad opera della V Armata del generale Clarke. Il governo in carica era il I governo Bonomi, composto dai partiti del Comitato di Liberazione Nazionale, nel quale faceva parte lo stesso De Gasperi come ministro senza portafoglio.

Come membro del Governo comincio con un ringraziamento agli Alleati perché più rapidamente di quel che si pensasse, concessero il ritorno del Governo nazionale a Roma – e prossimamente il ritorno di Roma al Governo italiano. Questo ringraziamento non vale tanto per i riflessi amministrativi, ché agli intenti ed all’opera riorganizzatrice del colonnello Poletti rivolgo un doveroso omaggio; ma qui mi soccorre il pensiero che il ritorno a Roma vuol dire ritorno alla sorgente della nostra vitalità spirituale, ritorno alla nostra storia, come una immersione, come una reinvestitura nella storia che è nostra. Qui veramente ci sentiamo amici degli Alleati, qui veramente superiamo con lo spirito la lettera delle condizioni dell’armistizio, qui sentiamo che unico in noi e in loro è il pensiero fondamentale di questa guerra, unica la mèta cui dobbiamo rivolgere i passi.
Non è un caso che autorità romane e alleate si siano trovate riunite dinanzi alle tombe di San Callisto, né è un caso che quelle tombe siano contigue ad altre tombe, alle tombe dei martiri, dei milioni di martiri e dei papi romani, difensori e vittime anch’essi della libertà delle coscienze contro la tirannia dello Stato.
Una volta Orazio Marucchi [(1852-1931), uno dei principali archeologi cattolici], dopo una delle sue famose conversazioni catacombali, ci diceva che il lungo peregrinare insieme a Giovanni Battista De Rossi [(1822–1894), anch’egli archeologo cattolico] nelle catacombe, gli aveva rivelato il senso arcano della storia. “Sembra – notava – che vi siano tra i secoli dei cunicoli segreti come qui nelle catacombe: questi cunicoli congiungono un secolo all’altro e un’idea all’altra”. Questa immagine mi torna alla mente innanzi alla duplice serie catacombale di San Callisto, e questo stesso pensiero mi riallaccia a tutta la concezione della libertà politica, come si è svolta nei paesi anglosassoni e nei paesi italiani, disposata all’idea cristiana; perché in fondo è la stessa idea che domina le famose chartae medioevali inglesi, da quella di Enrico III del 1225 che parla delle libertà concesse intuitu Dei (ricordate che anche su un noto arco trionfale di Roma c’è scritto: intuitu divinitatis: segnacolo anch’esso di nuova era di tolleranza) fino alla Magna Charta libertatum che viene conservata nelle cattedrali e lì letta al popolo due volte l’anno; ed è lo stesso spirito delle carte medioevali e dei cristiani statuti dei nostri liberi comuni che ricompare nelle costituzioni americane; la stessa idea che incoraggiava i guelfi nel Risorgimento; e la stessa che ricompare nei discorsi di Wallace sulla democrazia cristiana e di Roosevelt e Churchill, che opponevano la civiltà cristiana al concetto neo-pagano dello stato hitleriano e mussoliniano. È la stessa idea di libertà che, bene interpretata, ci viene dall’essenza del Cristianesimo che deve essere la sicurezza del nostro domani.
Né fu un caso che l’interprete più autorevole, l’interprete più attento e più vigile di questi sentimenti dell’umanità, l’autore dei richiami più autorevoli fosse precisamente il Pontefice di Roma.
La vostra dimostrazione mi esonera dall’aggiungere altre parole in argomento.

Saluto agli Alleati
In questa continuità della storia, nel tessuto di questi legami spirituali, avvenne per oltracotanza di un governo tirannico, uno strappo che fu, speriamo, ne siamo certi, solo una brutta parentesi: la rottura con quell’Inghilterra che noi abbiamo sempre ammirata per il suo regime di libertà e di ordine, e che aveva confortato il nostro travaglio del Risorgimento; la rottura con l’America, con la quale abbiamo avuto tanto scambio e commistura di lavoro, di idee, di pensiero, di sangue e cultura.
Al saluto alla gloriosa Inghilterra, al saluto alla libera America, io aggiungo un saluto dal cuore per la Francia.
Quella Francia che ha combattuto anche per noi, benché l’Italia avesse sulla coscienza, non certo per colpa del popolo italiano, un atto da Maramaldo, che noi dobbiamo assolutamente cancellare. E preghiamo Iddio, che guida la storia, preghiamo la Provvidenza che ci dia occasione di provare coi fatti alla Francia che il popolo italiano rinnega e cancella per sempre dalla sua storia l’ignominiosa aggressione.
E poiché il corpo di liberazione italiano è strettamente connesso all’esercito polacco, lasciate che un saluto speciale venga rivolto alla Polonia. Ai polacchi, a questi nobili cavalieri della libertà e del Cristianesimo, auguriamo che questa guerra non lasci ferite nello spirito e confidiamo ed esprimiamo la viva speranza che Giuseppe Stalin, grande maresciallo, grande condottiero di popoli, trovi il modo di conciliare gli interessi della difesa delle proprie frontiere con la libertà, con l’unità della Polonia.
Quando vediamo nei nostri quartieri popolari i nostri bambini accarezzati con tanta affettuosità dai soldati angloamericani, ci nasce la speranza che questo sia il simbolo della fraternità di domani verso la quale tutti i popoli anelano e alla quale dovremo assolutamente arrivare.

L’armistizio
È vero, oggi esiste la realtà dell’armistizio. E qui, in proposito, vorrei dire una parola, che non deve essere interpretata come indiscrezione di Governo. Sembra quasi ch’esista una “quinta colonna” che lavora ad esagerare la gravità dell’armistizio, ed affermare che nelle clausole segrete esistono impegni per la nostra nazione fatali e definitivi. Ora, se l’armistizio è un duro strumento di guerra e nel rileggerlo, a Salerno, abbiamo sentito come una mano ruvida che passa sopra la ferita non ancora rimarginata; niente vi è però che compromette la pace e l’avvenire: né porti, né ferrovie, né altri impegni territoriali. Per nostro conto non ci siamo opposti alla pubblicazione. Ma nell’interesse del mondo avvenire, del mondo nuovo che si deve creare sarebbe forse meglio che (fermo sempre l’impegno di eseguirlo da parte nostra) lo pubblicassero in quel momento in cui, nella fraterna comprensione, nella collaborazione di fatto, nel fraterno combattimento, tanto la lettera fosse superata dallo spirito, che ormai pubblicandolo, sarebbe come archiviare qualche cosa che appartiene al passato.
Agli Alleati rivolgo due preghiere: la prima è che ci aiutino a portare il peso della nostra sventura con dignità. Sembra certo che gli Alleati vogliano concederci un notevole aumento del corpo di liberazione. Se questo sarà, si verrà incontro al desiderio che noi abbiamo di alleggerire il già grave tributo di sangue che le madri inglesi, americane e polacche e di tutti i combattenti delle nazioni unite hanno già offerto per la liberazione d’Italia. E non per soddisfare una specie di baratto, simile a quello vergognoso, cui si riferiva Mussolini allorché diceva che attaccava la Francia perché aveva bisogno del sangue di duemila morti da portare sul tavolo della pace. Noi non cerchiamo di questi baratti; non domandiamo di combattere per ottenere patti speciali: i patti saranno quelli che saranno nella coscienza degli uomini e nelle correnti che domineranno nel mondo durante i negoziati di pace.

Necessità morali e civili della Nazione
Noi vi chiediamo di combattere per la nostra ricostruzione morale e civile. Non c’è esercito che possa resistere senza combattere e facendo solo della manovalanza per quanto utile e necessaria. Non è possibile che la nostra gioventù soffochi il desiderio ardente del combattimento. Le virtù civili di un popolo sono talmente legate alle virtù militari, della disciplina, del coraggio, dell’ardimento e dell’onore che darci questa possibilità è darci il mezzo di salvare il popolo italiano, salvarlo dal caos, salvarlo nella sua dignità, nel suo onore, nella sua forza. Certo il Governo ha il compito di snellire, epurare, migliorare, nella dignità e nel rendimento l’esercito; ha il compito di organizzare d’accordo cogli Alleati i volontari; ma per tutti e per tutto il popolo, esercito e volontari, governo e popolo hanno bisogno della prova del sacrificio. Questo per la nostra ricostruzione morale.

La ricostruzione materiale
C’è poi la ricostruzione materiale del paese. Anche qui, ed è la seconda preghiera, abbiamo bisogno di una cooperazione stretta, piena di fiducia, piena di generosità da parte degli Alleati. Qui a Roma, non dobbiamo dimenticarlo, perché siamo per nostra somma fortuna nella capitale della Cristianità, a Roma, siamo come in un’isola. Non dobbiamo dimenticare le zone distrutte, le immense zone distrutte. Si tratta di ricostruire la viabilità, si tratta dei trasporti, si tratta delle materie prime, si tratta di aiutare l’iniziativa privata, la quale è scoraggiata ed è vicina alla disperazione. Si tratta di creare i primi ricoveri, di fare i lavori di riattamento per l’inverno. Governo nazionale e Alleati devono dunque fare opera comune per far rinascere la fede nel popolo accasciato, creare uffici di collegamento, alti commissari per le singole regioni, procurare le materie prime, sistemare il recupero dei materiali, costituire quegli enti e consorzi comunali di costruzione, per i quali l’esperienza dei terremoti e di disastri nazionali ha già creato in Italia una prassi e una tecnica.
E qui è necessario parlare del graduale ritorno dei prigionieri. Abbiamo un milione di prigionieri. Abbiamo bisogno degli operai specializzati che sono tra i prigionieri. Abbiamo bisogno di contadini che lavorino la terra. Gli operai specializzati sono quelli che, ricostruendo gli utensili, daranno lavoro a migliaia di altri operai disoccupati. I contadini traggono l’alimento da questa nostra “alma mater”, che è la nostra terra d’Italia. La Russia ha cominciato a restituire 2.500 prigionieri alla Francia. Perché l’esempio non verrà seguito anche in confronto dell’Italia? Siamo ancora nel vivo della guerra; immaginiamo le difficoltà, ma crediamo di superarle, se gli Alleati continueranno a darci il loro aiuto.
Se parlasse qui il Ministro del lavoro, vi dovrebbe dire delle difficoltà che trova nella ricostruzione delle industrie, e soprattutto ad infondere il coraggio morale di riprendere; e le difficoltà sue sono più o meno le difficoltà di tutti i ministri che sono al Governo. L’amico Gronchi vi pensa colla sua solerzia geniale e colla sua capacità. Ma ogni ministro ha la sua ricostruzione: nell’economia, nell’agricoltura, nelle finanze e tesoro, nelle forze armate, nella giustizia, nell’epurazione fascista e dappertutto. È ora necessaria una concentrazione di sforzi di cui non abbiamo mai avuto tanto bisogno in altri periodi della nostra storia. E’ un compito immenso, un compito complesso, per il quale lavora il Governo Bonomi. E’ un compito immenso quello che ci ha costretto noi sei diversi partiti, a dare l’esempio, primo al mondo, che nonostante la diversa provenienza, la mentalità diversa, tutti facciamo lo sforzo comune di collaborazione per la salvezza e per gli interessi della Patria, sotto la presidenza di un uomo di specchiata probità politica e di grande esperienza amministrativa.

Momento di unità e di concordia
Per questo sforzo abbiamo bisogno di unità, abbiamo bisogno di collaborazione concorde, abbiamo bisogno dell’indulgenza del pubblico, della pazienza del popolo, dell’appoggio di tutti coloro che hanno cuore e mente per la loro patria. Noi abbiamo bisogno che tutte le questioni le quali ci dividono vengano per il momento messe da parte, perché questa unità necessaria non venga turbata. Perciò noi siamo d’accordo, e abbiamo preso l’impegno di demendare ad una consultazione popolare e più precisamente alla Costituente, i problemi che riguardano la futura costituzione dello Stato.
È chiaro che se gli uomini responsabili di tutti i partiti bloccassero una data soluzione o affermassero una delle due, creerebbero una situazione diversa da quella che è oggi, che si fonda sull’equilibrio di un compromesso. E’ logico e responsabile che io questo oggi non faccia e chiedo che tutti nel Partito sentano la responsabilità e la dignità di non domandarmelo.

I nuovi ordinamenti costituzionali
Abbiamo preso formale impegno due volte davanti agli Alleati di non pregiudicare in nessun modo la questione istituzionale. Questo impegno intendiamo mantenerlo e chiediamo a chi ci segue e alle nostre organizzazioni il senso di responsabilità di sostenerci in questo compito.
Per me, come Ministro, aver detto questo dovrebbe bastare. Aggiungerò come capo partito che la formula che ha usato Togliatti a questo tavolo [Togliatti aveva parlato al Brancaccio il 9 luglio precedente], di “rispettare domani quella che sarà la volontà del popolo italiano”, la accetto senza difficoltà. Aggiungerò che l’espressione che egli ha usato nell’intervista col New York Times: “Noi diciamo che la questione monarchica rimanga da parte fino alla fine della guerra e poi deciderà il popolo italiano”, è anche la nostra linea.
Noi abbiamo anzi in un certo momento lanciato l’idea di una consultazione diretta, di un referendum, senza toccare con ciò minimamente il diritto ultimo decisivo dell’Assemblea costituente. In fondo un referendum può essere anche un’inchiesta. In ogni modo non occorre discuterne ora, ma è certo che il popolo italiano dovrà abituarsi a giudicare di questa questione con più consapevolezza, con moderazione, serenità, oggettività e con la coscienza dell’interesse della Nazione.

Responsabilità ventennali
Intendiamoci. Questa nostra moderazione e questo nostro riserbo, non deve lasciar sorgere dubbi sul giudizio che abbiamo dato intorno alle responsabilità ventennali del monarca. C’è stato un giornale che ha ardito scrivere che noi, Aventino, siamo mancati nel momento del colpo di stato come eravamo mancati nel 1924. Brevemente rispondo. Io ho due ricordi del Re: uno, quando si è presentato nel mio Trentino come rappresentante delle forze liberatrici nazionali e come rappresentante del popolo italiano che otteneva, finalmente, la sua integrità; e quello è un ricordo simpatico rivolto all’interprete del popolo italiano vittorioso e dell’esercito liberatore. Ma ce ne ho un altro ed è quello aventiniano sulle responsabilità. Allora i partiti costituzionali dell’Aventino, oltre i partiti dell’opposizione alla Camera, decisero di presentarsi al Re, cogliendo l’occasione di una commemorazione statutaria, per avvicinarlo e tentare di strapparlo al fascismo, per tentare così di salvare l’Italia dal baratro verso cui si volgeva. Sentivamo già allora il precipizio in cui si andava a finire. Ci siamo rivolti a lui ed io, l’ultimo dei tre capi dell’opposizione, comparvi in udienza, dopo di Cesarò ed Amendola.
Ci siamo scambiati poi, noi tre, dopo la triplice udienza, le informazioni e impressioni e siamo arrivati alla stessa conclusione. Il tentativo di convincere il re di sciogliere la Camera, fare appello al popolo, cercare con noi una nuova strada era fallito. Due dei tre sono morti e voi sapete Amendola come è morto! Ma io rimango ancora testimonio della moderazione e degli ultimi vani sforzi fatti dai partiti costituzionali per distorre il sovrano dalla via falsa.
E su questo la storia ormai ha dato il suo giudizio e noi lo confermiamo con la nostra testimonianza e col nostro atteggiamento.
Nel periodo di cospirazione ci riunivamo nella casa coraggiosamente ospitale dell’amico Spataro, noi, rappresentanti specialmente delle democrazie riunite, ed in quelle sedute donde è partito qualche eccitamento, qualche incoraggiamento perché il colpo di stato si facesse, in quelle sedute abbiamo sempre supposto che il primo e intuitivo dovere del re in quel frangente fosse quello di tirare anche personalmente le sue conseguenze.
Aggiungiamo che l’accusa di sfuggire le responsabilità è ridicola, perché è notorio che uomini che stanno oggi al Governo erano disposti anche allora ad assumersi la terribile responsabilità del momento e l’hanno anche espressamente fatto sapere.
Del resto, nel colpo di stato riconosciamo l’atto di coraggio di chi lo ha fatto. A ciascuno bisogno tentare di dare la parte che gli viene nella storia. Noi riconosciamo il coraggio che ci volle a cimentare quattro o cinquemila carabinieri nel grosso e pericoloso colpo di mano e soprattutto la risolutezza che ci volle in Badoglio a strappare al re il permesso di fare quel colpo di stato che era nella coscienza del popolo, dei carabinieri e di parte notevole dell’esercito.
Queste osservazioni non hanno scopo di recriminare o di polemizzare né di dire qualche cosa che a qualcuno dispiaccia o piaccia. No. Hanno lo scopo di prevenire gli apologisti che contraffanno un manuale sullo stile di quelli che dopo il Principe si pubblicarono nel seicento e settecento per la buona condotta del principe o del delfino. No, in materia qui non c’è nulla da imparare o imitare.

Base e struttura dello Stato
Però noi ripetiamo che non vogliamo creare ab irato il nuovo Stato, che non bisogna fare la Repubblica semplicemente per far dispetto al re come ha fatto Mussolini; che noi vogliamo il “Nuovo Stato” crearlo non sotto la impressione di reazione o di vendetta, ma crearlo per convinzione intrinseca e per alto senso di responsabilità. Voi gridate facilmente oggi “Viva la Repubblica”, perché volete dire sostanzialmente “Viva la libertà”. Ma io aggiungo: quel che dobbiamo tener alto, e sopra ogni cosa, è il senso di responsabilità.
Diceva Victor Hugo: Avant la république ayons s’il se peut une chose publique. Questa volta noi vogliamo creare il definitivo. Basta con gli esperimenti pseudo democratici. Il “Nuovo Stato” deve essere lo Stato italiano definitivo in cui il popolo possa governarsi da sé. Esso deve fondarsi sulla più larga e più consapevole adesione delle masse popolari e la decisione deve avere carattere non di club o di partito, ma di popolo. Vogliamo che anche gli stranieri vedano che se tu, o Italia, non puoi più dirti “Italia, Italia, antica condottiera di popoli”, ti possano dire, secondo il poeta [Giacomo Zanella (1820–1888)]: “…se il mondo a te più non si prostra, che sai regger te stessa almen dimostra”.
Un certo periodo di preparazione e di riflessione conviene anche agl’italiani, perché non si confonda la forma con la sostanza; perché avete un bel dire: “Viva la Repubblica”, ma volete la repubblica sociale, la repubblica socialista, la repubblica comunista, la repubblica democratica?
Ecco che noi arriviamo ai “problemi base”, ai “problemi sostanziali”. Noi abbiamo una piramide. Sulla cima della piramide vi è un capo dello Stato che può essere il presidente o il re, elettivo o ereditario, ma la base fondamentale è il popolo. E anche la struttura deve darla il popolo: è il popolo che deve reggere. Anche per la sostanza bisogna guardare alla base della piramide per la ricostruzione.
La formula generica americana di Lincoln “per il popolo, a mezzo del popolo, dal popolo”, è facilmente accettata da tutti. Ma quando si viene al concreto saltan fuori certi discorsi sopra i “consigli” e le circoscrizioni territoriali. Nenni dice veramente che io esagero quando esprimo delle diffidenze al riguardo. Però a un certo momento ho letto sull’Avanti! questo postulato formale: “i consigli devono avere carattere politico, devono formare la base dell’autogoverno… è l’eterna questione del potere che si ripropone”.
Tre giorni dopo, parlando dei consigli di fabbrica che dovrebbero essere utili strumenti di ricostruzione egli scriveva: “Pare che la parola consiglio faccia rizzare le orecchie a più asini attardati nella contemplazione del mondo che fu”.
Ora io vi dico: appartengo a questa triste categoria.
C’è un precedente grossissimo, un precedente che farà storia, ed è appena di ieri. Se voi leggete quel libro che i comunisti hanno diffuso durante il periodo di clandestinità sopra gli elementi del leninismo che contiene le conferenze sintetiche di Giuseppe Stalin fatte sulla teoria di Lenin, Marx, ecc. voi troverete che il consiglio, cioè il soviet, è la forma ideale della dittatura del proletariato; che qui si tratta dell’unità di produzione delle fabbriche ed officine in contrasto coll’antica unità territoriale; che la comune di Parigi è stata l’embrione e questa dei soviet o consigli è la forma ideale scoperta per la nuova costituzione dello Stato. Anzi questa forma dei consigli prepara “il deperimento del sistema statale che è uno degli elementi essenziali della futura società comunista”.
Ora qui siamo proprio a un punto grave su cui richiamo la vostra attenzione e che vale di più nella alternativa “Repubblica o Monarchia”. Vogliamo fondare il nostro Nuovo Stato, la nostra nuova Italia sopra la larga base del popolo italiano, unito, come è nei suoi comuni, costituito dalle sue famiglie, nel suo carattere storico, o vogliamo dissolverlo in rappresentanze di officine? Non è che io non accetti i consigli, perché li accetto come rappresentanze di carattere sindacale, come rappresentanze di interessi che dovranno avere anche la loro funzione politica, per esempio nel costituire il senato. Ma la base fondamentale deve essere il comune, deve essere la regione, deve essere il suffragio universale maschile e femminile. Il comune, organo del nostro autogoverno, self gouvernment che come parola ci viene dalla storia inglese, ma come esperienza, più ancora dai nostri gloriosi comuni italiani.
Il comune che raccoglie le famiglie del territorio in cui c’è la torre che ricorda un passato, un campanile che indica il cielo, delle libere istituzioni le quali vengono dai padri e rappresentano il patrimonio della nostra storia italiana; il comune deve rimanere la base della futura democrazia.
Questa unità territoriale è tanto più necessaria perché l’esperimento che essa ha fatto è tutt’altro che negativo. Quando il fascismo ha voluto cominciare a distruggere il tessuto delle nostre libertà, ha iniziato il suo attacco ai comuni perché è là nei consigli comunali, anche nei più piccoli, che il popolo impara a reggersi, e anche in molti consigli comunali dell’alta montagna certe volte i rappresentanti rurali hanno dimostrato molta più sapienza politica e amministrativa del gran consiglio del fascismo.
Coi consigli invece rischiamo di prendere un’altra strada. A ragione scrive il Bryce a proposito della democrazia: “La parola democrazia è stata sempre usata da Erodoto ai nostri giorni a denotare quella forma di governo nella quale la sovranità dello Stato è legalmente devoluta non ad una o a certe classi particolari, ma ai membri tutti della comunità”. Vero è che il suffragio universale va disciplinato e organizzato.
Abbiamo tentato nel 1919 con la proporzionale e ne sono derivati difetti che esigono correzioni. Bisogna organizzare la vigilanza dei partiti da parte di una magistratura superiore, affinché né imbrogli né intrighi possano inquinare quella che deve essere la serena volontà del popolo. Dovremo disciplinare anche le assemblee, e se reclamo il parlamento non è che non riconosca i difetti del sistema parlamentare, gli errori commessi e la necessità di riforme.
E dobbiamo aggiungere una suprema corte di giustizia, perché se una volta è avvenuto che per colpa della piazza o del Capo dello Stato o di tutti e due insieme la libertà nostra costituzionale è andata perduta, ciò non deve avvenire mai più.

L’esperienza comunista
Mi riferirò adesso anche all’esperimento russo. Con ciò non voglio menomamente diminuire il merito immenso, storico, secolare delle armate organizzate dal genio di Giuseppe Stalin.
Lo riconosco questo merito e ho fiducia, ho speranza, che dal concorso delle forze operaie russe e delle forze occidentali, nasca un nuovo mondo. Bisogna però che c’intendiamo su parecchie questioni importanti e pregiudiziali. È stato scritto da parte autorevole comunista che “l’Unione delle repubbliche sovietiche è la prefigurazione vivente della futura unione dei popoli stretti in una economia mondiale unica”. E sia. C’è qualche cosa di immensamente simpatico, qualche cosa di immensamente suggestivo in questa tendenza universalistica del comunismo russo. Quando vedo che mentre Hitler e Mussolini perseguitavano degli uomini per la loro razza, e inventavano quella spaventosa legislazione antiebraica che conosciamo e vedo contemporaneamente i russi composti di 160 razze cercare la fusione di queste razze superando le diversità esistenti fra l’Asia e l’Europa, questo tentativo, questo sforzo verso l’unificazione del consorzio umano, lasciatemi dire: questo è cristiano, questo è eminentemente universalistico nel senso del cattolicesimo.
E cristiano è anche il formidabile tentativo di accorciare le distanze fra le classi sociali, questo sforzo per la elevazione del lavoro manuale. Mi capitò una volta fra mano un documento segreto dello stato maggiore tedesco sulle impressioni che riportavano gli ufficiali in Russia. Conclusione: quel che fa impressione ai soldati tedeschi è trovare un paese dove nessuno vive senza lavorare. Ora questo è un principio a cui tendiamo e che deve applicarsi anche in Italia. A questo scopo tendiamo noi e altre democrazie che si basano sul lavoro.
Le varie fasi attraversate dal comunismo negli ultimi 25 anni, le trasformazioni avvenute ci rendono difficile precisare che cosa ora nell’esperimento attuato, sia considerato proprietà privata e fino a qual punto sia giunto l’assorbimento collettivista; onde senza fermarci su tali problemi diremo che se comunismo s’intende nel senso generico che i beni della terra devono essere comunicati a tutti, ut communicentur, direbbe il teologo medioevale, o che a tutti, secondo la formula americana, sia dato eguale accesso alla proprietà, questo comunismo è anche nostro.

Lo statalismo oppressore della libertà
In quanto alle applicazioni pratiche, ci sarebbe da sperare che la presenza di Togliatti in Italia potrebbe in ogni caso servire a evitare gli esperimenti negativi e gli errori del sistema russo. Accenno qui alle varie trasformazioni subite dal comunismo russo, dal comunismo di guerra raggiunto, fra l’altro, non soltanto con la soppressione della moneta e dell’oro, ma anche con la soppressione fisica dei capitalisti alla NEP che ridà il commercio interno ai privati, e fa fiorire la classe dei contadini medi (kulaki) finché la volontà di industrializzare la Russia per farne il paese ideale del socialismo, e, più ancora poi, la minaccia rivelata dal Mein Kampf spingono i capi sovietici alla grande impresa economica coi tre famosi piani del ’28, del ’33 e dell’ultimo ancora in corso quando scoppiò la guerra. Se nel 1917 si erano colpiti tre o quattro milioni di latifondisti, nel 1929 si porta uno sconquasso in tutta la classe dei piccoli e medi proprietari trasformando in poderi collettivi le proprietà private, incaricando la polizia federale della liquidazione dei renitenti che vennero trasportati a distanza di migliaia di chilometri a fare gli operai nelle miniere, sui canali e nelle fabbriche. Altro fenomeno, la denomadizzazione: milioni di nomadi che vengono costretti ad abbandonare il loro secolare sistema di vita. Ed eccovi ad un tratto il sabotaggio nelle miniere. Vi ricordate che noi credevamo che i processi fossero falsi, che le testimonianze fossero inventate, che le confessioni fossero estorte: e invece no. Eccovi che oggettive informazioni americane assicurano che non si trattava di un falso, e che i sabotatori non erano truffatori volgari, ma vecchi cospiratori idealisti, che mal si adattavano ai concetti più democratici della costituzione del ’36 e che affrontavano la morte piuttosto che adattarsi a quello che per loro era tradimento del comunismo primitivo.
Accenno a tutto questo per due ragioni: l’una per ricordare che il sistema comunista è stato ed è, economicamente parlando, in continua trasformazione, e quindi non può venir giudicato come una forma definitiva; vi sono errori, rifacimenti, demolizioni e ricostruzioni. La seconda perché in tutte queste trasformazioni quello che rimane costante è l’eccessiva coazione e l’eccessivo intervento dello Stato e della sua polizia. Se la dittatura trova resistenza, diventa violenta e sanguinaria: e non lo fa per capriccio e per istinto brutale, ma lo fa perché è costretta dalla logica interna del suo compito innaturale, che è quello di determinare i destini morali, economici e materiali di tutti i cittadini. Per raggiungere l’ideale comunista ci vuole o un’altissima temperatura morale o una immensa coercizione. La temperatura morale si ebbe solo nelle condizioni straordinarie delle comunità cristiane della Chiesa antica attraverso la povertà volontaria, e si ha ancora nelle comunità monastiche. Per le masse, tolto il periodo di estrema accensione, come può essere la guerra di estrema difesa, non rimane che la coercizione. E il fatto dei sabotaggi compiuti dai vecchi idealisti prova che la morale che si può dedurre dal concetto materialistico della storia è insufficiente a dirigere le coscienze.

L’idea ricostruttiva della DC
Ma che cos’è dunque che sentiamo come un insuperabile limite sul cammino di queste esperienze sociali? Prima di tutto la libertà, che non è semplicemente la libertà di parola e di riunione; la libertà per il popolo è essenzialmente l’esser padroni in casa propria, dunque proprietario o almeno mezzadro e affittuario, il poter allevare i figli secondo le proprie condizioni e il poter risparmiare per loro: libertà del risparmio trasmissibile. Ma come può esser libero l’uomo se dalla mattina alla sera lo Stato interviene attraverso i suoi commissari a regolare tutta la sua vita? I nostri sforzi devono tendere all’uomo proprietario e libero.
Il nemico della libertà è il totalitarismo di Stato. Si parla sempre di diritti dello Stato come fossero diritti sovrani e superiori a qualunque altro diritto mentre la verità è che prima viene l’uomo e poi lo Stato.
Collega Togliatti, abbiamo apprezzato, come meritava, la tua dichiarazione di rispetto per la fede cattolica della maggioranza degli italiani, e confidiamo che nella pratica tutto il Partito ne tirerà le conseguenze. La tolleranza mutua nelle forme della civile convivenza che voi proponete e noi volentieri accettiamo, costituisce in confronto al passato un notevole progresso, che potrà farci incontrare più spesso lungo l’aspro cammino che dovremo percorrere per il riscatto del popolo italiano.
Ma lassù sull’erta, e mi par di vedere con gli occhi della fede la Sua luminosa figura, cammina un altro Proletario, anch’Egli israelita come Marx; duemila anni fa egli fondò l’Internazionale basata sull’eguaglianza, sulla fraternità universale, sulla paternità di Dio, e suscitò amori ardenti, eroismi senza nome, sacrifici fino all’immolazione. Ma l’uomo, incline al male, resiste; è avido (mammona iniquitatis), superbo (superbia vitae) e sanguinario: alla vigilia della guerra invano risuonò la voce del Papa.
Ebbene bisogna riprendere il cammino, bisogna seguire quella Figura divina. Non l’avete, ciascuno di voi già incontrato questo Proletario, Cristo, col suo dolce sguardo nelle giornate tremende che abbiamo passate di dolore e di tragedia nei ricoveri, nelle trincee, nei carceri o nel buio d’una catacomba?
Il Salvatore è Lui.
Per risorgere dalla sua morte civile e materiale, bisogna che la nuova Italia disposi il lavoro alla fede come facevano le nostre repubbliche comunali, e che le forze morali e materiali della carità cristiana soccorrano, come ha già fatto meravigliosamente il clero romano, all’opera di giustizia sociale che vogliamo intraprendere.

On. Alcide De Gasperi
Teatro Brancaccio
Roma, 23 luglio 1944

Exit mobile version